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Libero Rassegna Stampa
07.07.2021 'Così ho liberato gli ostaggi di Entebbe'
Daniel Mosseri intervista il generale Joshua Shani

Testata: Libero
Data: 07 luglio 2021
Pagina: 12
Autore: Daniel Mosseri
Titolo: «'Così ho liberato gli ostaggi di Entebbe'»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 07/07/2021, a pag. 12, con il titolo 'Così ho liberato gli ostaggi di Entebbe' l'intervista di Daniel Mosseri.

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Daniel Mosseri

Nella notte fra il 3 e il 4 luglio del 1976, Israele invia 200 uomini e quattro Hercules all'aeroporto di Entebbe, in Uganda, a liberare oltre 100 passeggeri ebrei e israeliani di un volo Air France Tel Aviv-Parigi dirottato giorni prima da un manipolo di terroristi palestinesi e tedeschi. Sostenuti dal dittatore ugandese Idi Amin Dada, i sequestratori chiedono la liberazione di 40 terroristi e minacciano di uccidere gli ostaggi. Nell'impresa israeliana di 45 anni fa i prigionieri furono liberati, i sequestratori uccisi e l'aviazione ugandese distrutta ma persero la vita il comandante delle forze speciali israeliane Yoni Netanyahu (fratello del più volte premier Bibi) e un ostale o di 20 anni. Libero ha intervistato il generale Joshua Shani, allora giovane pilota del primo Hercules israeliano atterrato a Entebbe, oggi chief executive di Lockheed Martin Israel.

Don't ask us, ask them: Joshua Shani - Lockheed Martin - YouTube
Joshua Shani

Perché scelsero lei? «Ero il comandante dello squadrone di C-130 da trasporto, all'epoca l'unico nell'aviazione militare israeliana (IAF). A seguito del dirottamento, il governo capì che solo degli Hercules avrebbero potuto portare a termine una missione a oltre cinquemila miglia da casa».

Quanti anni aveva all'epoca? «Troppo pochi, meno di trenta. Ma la situazione era unica: gli Hercules erano nuovi nella dotazione della IAF e io ero stato il primo a pilotare i primi velivoli uno a uno dagli Usa a Israele. Benché giovane, all'epoca ero quello che ne sapeva di più».

ENTEBBE - Twitter Search
Il 4 luglio è il giorno del salvataggio di Entebbe. Ricordiamo quello storico giorno!

La scelta di affidarle la missione aerea fu temeraria? «Lo può dire forte: però mi misero alla prova chiedendomi di far atterrare l'aereo da trasporto su una pista priva di strisce e contrassegni. Mi esaminarono il comandane in capo delle IAF assieme ad altri tre generali: nel cockpit dell'aereo sentivo il loro fiato sul collo. L'esercitazione si svolse presso la base aerea di Sharm el-Sheikh (la penisola del Sinai restò sotto controllo israeliano dalla guerra dei Sei giorni nel 1967 fino agli accordi di pace di Camp David nel 1979, ndr)».

Quale fu il passo successivo? «Dopo che superai il test, fu organizzato un convoglio con quattro Hercules, ma il dettaglio delle operazioni fu discusso fino all'ultimo minuto. All'inizio si era pensato di paracadutare forze speciali, i seals, nelle acque del Lago Vittoria e di lasciare che con dei gommoni si infiltrassero fino allo scalo di Entebbe, costruito proprio in riva al lago. L'ipotesi fu poi scartata perché il governo temeva da un lato la reazione dei militari di Idi Amin, mentre i nostri seals non erano entusiasti all'idea di buttarsi in uno specchio d'acqua infestato dai coccodrilli del Nilo!».

Cosa fu deciso? «La scelta cadde su quattro Hercules. Il primo era il mio: trasportavo l'unità scelta Sayeret Matkal guidata da Yoni Netanyahu, ma anche una Mercedes e due Land Rover. Su Cbs News avevamo visto Idi Amin era solito arrivare allo scalo di Entebbe dalla pista con una Mercedes nera scortata da due fuoristrada. Ci dicemmo: "Se ricreiamo questa scena, i militari ugandesi esiteranno prima di aprire il fuoco". Trovare quel modello di auto non fu facilissimo nell'Israele nel 1976. Seguivano due Hercules con unità speciali di paracadutisti portati come riserva se la situazione fosse degenerata A chiudere c'era un ultimo C-130 da trasporto quasi del tutto vuoto per riportare gli ostaggi a casa».

Come andò il volo? «Volammo da Sharm el-Sheikh per circa quattro ore: appena pochi metri sopra il livello del mare per evitare i radar egiziani da una parte e quelli sauditi dall'altra. Solo una volta entrati nello spazio aereo dell'Eritrea e dell'Etiopia ci portammo in quota: sapevamo che quei due paesi non avevano un sistema radar. In tutto volammo per sette ore e mezza».

E l'atterraggio a Entebbe? «Io atterrai per primo mentre gli altri aerei si attardavano nello spazio aereo del Kenya: l'idea era minimizzare il rumore e massimizzare l'effetto-sorpresa. La prima cosa che facemmo fu segnalare la pista agli altri piloti: sapevamo che al nostro arrivo gli ugandesi avrebbero spento le luci dell'aeroporto. Gli altri atterrarono solo dopo che le forze speciali ebbero preso il controllo dello scalo».

Per quale motivo Entebbe è diventato sinonimo di operazione militare di successo? «La risposta è una sola: chutzpa (termine ebraico che coniuga sfacciataggine e audacia, ndr); nessuno all'epoca si sarebbe mai immaginato che Israele avrebbe inviato quattro aerei e 200 effettivi a salvare degli ostaggi trattenuti a grandissima distanza. La pianificazione strategica si basò su questo: nessuno ci sta aspettando».

E' mai tornato a Entebbe? «Sì, il giornale israeliano Yediot Ahronot invitò me, mia moglie, un ex unità speciale e un ex ostaggio a tornare in quel luogo per qualche giorno: l'accoglienza fu grandiosa».

Come sono le operazioni di oggi? «Più intelligenti e sofisticate. Di alcune si sa qualcosa, come il furto anni fa dei piani nucleari iraniani sottratti dal luogo più sicuro di Teheran; di tante altre non si ha alcuna notizia. La mia impressione è che le nostre capacità e il nostro coraggio sono in crescita costante».

Chi fu il responsabile dell'operazione? «Negli anni si è sostenuto che l'allora premier Yitzhak Rabin fosse la colomba della vicenda mentre il ministro della Difesa Shimon Peres fosse il falco. Io li incontrai più volte e non ho mai avuto questa impressione. Di certo l'ok all'operazione venne dal primo ministro. Rabin era preoccupatissimo che qualcosa potesse andare storto. "E' l'operazione più rischiosa che abbia mai preso", dirà più volte. Se uno degli Hercules fosse precipitato oppure bloccato dagli ugandesi le conseguenze avrebbero potuto essere gravissime».

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