Riprendiamo da SHALOM di oggi, 30/01/2023, il commento di Ugo Volli dal titolo "Perché l'ondata terrorista in Israele si è aggravata".

Ugo Volli
Gli attentati e le reazioni
È stato il più grave attentato da parecchio tempo: sabato sera a Neve Yaakov, un sobborgo di Gerusalemme, un terrorista palestinese ha ucciso sette persone all’ingresso della sinagoga dove andavano a pregare; poche ore dopo alla “città di Davide”, sempre a Gerusalemme, un altro terrorista, di appena 13 anni, ha ferito gravemente un padre e un figlio ebrei. Successivamente vi sono stati altri attentati per fortuna sventati in tutto il territorio di Israele, dal Golan a Gerico, dal Monte Hebron al Kfar Tapuah vicono ad Ariel. Dagli stati occidentali e in particolare dall’Italia, ma anche da paesi arabi come gli Emirati, la Giordania, perfino l’Arabia sono arrivate numerose dichiarazioni di solidarietà a Israele; al contrario tutte le fazioni palestiniste hanno manifestato gioia e esultanza per gli omicidi: un sentimento, va detto, che è stato vistosamente condiviso, con danze e canti, fuochi d’artificio, offerte pubbliche di dolci ai passanti, sfilate in cui si ostentavano le armi in tutti i centri dove la popolazione araba è numerosa, perfino in alcuni sobborghi di Gerusalemme. E un atteggiamento che conferma l’impossibilità di un progetto di pace con questi leader (e forse anche con questo pubblico, profondamente imbevuto di odio). Bisogna notare inoltre che ha fatto scandalo la presenza di bandiere palestinesi alle manifestazioni dell’opposizione di sinistra contro il governo israeliano, sabato sera a Tel Aviv e a Haifa. Uno dei problemi di Israele è che in certi ambienti l’odio contro Netanyahu sembra più importante della condanna del terrorismo.
Perché le stragi
L’orrore e la deplorazione per la strage sono ovvie e istintive; ma c’è bisogno anche di capirne le cause e analizzarne le dinamiche. La prima cosa da notare è che questi attentati rispondono a una pura logica terrorista, non strategica. Non sono stati colpiti obiettivi economici o militari e neppure simbolici. Gli assassinati non erano combattenti né politici. I terroristi hanno sparato a gente qualunque, che non conoscevano, di cui ignoravano i ruoli, solo perché ebrei: una logica analoga alle stragi naziste. Non possono certo sperare in questo modo di indebolire la forza di Israele, e neppure di terrorizzare la sua popolazione che resiste alle carneficine arabe da ben prima della fondazione dello stato ebraico. In altri termini, non vi è un progetto razionale che finalizzi questi orribili attentati (e la anche morte assai probabile di chi li compie) al progetto strategico dei palestinisti, cioè la distruzione dello Stato di Israele e l’instaurazione al suo posto di un regime islamista o nazionalista. Essi sono in primo luogo espressione di un odio antisemita violentissimo che si vede anche nella gioia selvaggia dei sostenitori del terrorismo. Ma vi è certamente di più, vi sono progetti politici e personali più limitati ma altrettanto velenosi.
L’interesse personale
Una prima ragione è biecamente personale. L’autorità palestinese spende più di mezzo miliardo di euro l’anno, circa il 15 % del suo bilancio, per pagare stipendi ai terroristi condannati e alle famiglie dei defunti. Un condannato per omicidio prende almeno 3000 euro al mese di stipendio o lo lascia in eredità alla famiglia se cade durante il suo crimine. Da quelle parti sono somme rilevanti, che fanno del terrorismo la carriera meglio pagata dello “stato di Palestina”. Inoltre il nome dei terroristi viene celebrato e ogni problema economico o giudiziario perdonato. E’ una forte e abbietta motivazione per l’assassinio di innocenti - e una altrettanto grave responsabilità dell’Autorità Palestinese.
La concorrenza fra i gruppi
Una seconda ragione è la competizione per la successione a Mohamed Abbas. Il “presidente” palestinese (eletto diciotto anni fa per un mandato di quattro anni, mai più confermato o esposto alle elezioni) ha 87 anni, cattiva salute e pochissima popolarità. Non ha eredi designati: la sua uscita dal gioco politico è questione di anni, forse di mesi. Alla sua morte o rinuncia il sistema dell’Autorità Palestinese rischia di esplodere. Il terrorismo, con la popolarità che ne consegue, sarà fra le ragioni determinanti della selezione del successore: non nel senso che gli assassini attuali abbiano la possibilità di una carriera politica, anche perché di solito muoiono negli attentati, ma chi li manda o gestisce la fazione che li manda sì. Dato che la comunità internazionale non sanziona seriamente le organizzazioni palestiniste per il terrorismo, ma guarda di fatto con indulgenza ai loro crimini e appena può li aiuta a violare la legge israeliana, la competizione fra le fazioni si gioca sull’estremismo verbale, e sulla capacità pratica di uccidere gli ebrei.
Per inviare a Shalom la propria opinione, telefonare: 06/87450205, oppure cliccare sulla e-mail sottostante