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Rassegna Stampa
23.11.2006 In Libano l'Occidente non aiuta i suoi sostenitori
l'analisi di Stefano Magni

Testata:
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Libano nel caos»

Dal sito RAGIONPOLITICA.IT:

Pierre Gemayel era figlio del noto presidente Amin Gemayel, cioè dell'uomo che resse le sorti del Libano per quasi tutta la durata della Guerra Civile. Ultimo di una dinastia cristiana che fu sempre filo-occidentale
e distante dal mondo arabo, il giovane Gemayel si era sempre opposto al ricatto di Hezbollah. Anche nel corso della guerra della scorsa estate, si era rifiutato di riconoscere il gruppo integralista sciita come una «forza patriottica» e aveva rilasciato dichiarazioni esplicite in merito. «Il Libano - aveva detto all'indomani della fine del conflitto - non sarà fagocitato dal progetto khomeinista iraniano. Il Partito di Dio deve dimostrare di avere un'agenda libanese e di non lavorare nell'interesse di altri attori regionali». Aveva anche contestato l'atteggiamento trionfalistico dei leaders fondamentalisti: «Non c'è alcuna vittoria da festeggiare, tantomeno per il Libano, che non esce certo vincitore da questo conflitto: è una guerra combattuta da altri sul nostro territorio».

Dietro l'omicidio di Gemayel potrebbe esserci direttamente Hezbollah. L'attentato, infatti, avviene proprio in un periodo in cui il Partito di Dio ha scatenato un'offensiva politica su tutta la linea, ritirando i suoi ministri dal governo (accusato di essere troppo filo-occidentale) e minacciando di portare in piazza i suoi sostenitori per rovesciare l'esecutivo. Oppure, dietro al sicario ci possono essere i siriani, le cui responsabilità sono state subito additate sia da Saad Hariri, figlio dell'ex premier libanese ucciso il 14 febbraio 2005, sia dal ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni. Anche la Siria avrebbe tutto l'interesse ad eliminare un politico che si è sempre opposto all'egemonia siriana. D'altra parte, Siria e Hezbollah sono alleati ed hanno interessi comuni. Da quando Damasco (dopo l'attentato ad Hariri) ha dovuto ritirare le truppe, Hezbollah è diventato, praticamente, il suo braccio armato, oltre che lo strumento per cementare l'alleanza con l'Iran, da cui il Partito di Dio dipende militarmente e politicamente.

Dopo l'uccisione di Hariri, il Libano è stato scenario di numerosi altri attentati, sia di massa che contro singole persone. Tutti gli attentati (nessuno escluso) hanno portato all'uccisione o al ferimento di cristiani e di politici anti-siriani. Un'unica scia di sangue che risponde ad un'unica logica: la Siria e l'Iran vogliono mantenere il Libano sotto il loro protettorato per farne un avamposto militare contro Israele, schiacciando ogni opposizione interna a questo progetto. Uomini come Gemayel stanno combattendo contro questo progetto totalitario, ma evidentemente sono soli e in balia dei loro killer. Il governo libanese (votato da una maggioranza anti-siriana) non li protegge, perché preferisce il compromesso. Stiamo parlando di un esecutivo che ha ospitato ministri di Hezbollah e che, nel corso della guerra tra il Partito di Dio e Israele, ha considerato il primo come una forza patriottica in difesa del Paese, additando il secondo come l'unico vero nemico. Il governo di Fouad Siniora non solo non ha fatto nulla per disarmare le milizie Hezbollah, ma non le ha neppure contrastate politicamente, né le ha condannate moralmente.

Ma i rari dissidenti filo-occidentali non sono protetti nemmeno dall'Occidente stesso. Il governo italiano, ormai, preferisce dialogare con Hezbollah. E se proprio non ama Hezbollah in sé, considera Israele il principale responsabile della sua ascesa. L'atteggiamento dell'esecutivo italiano non è isolato, ma rispecchia quello della maggioranza dei governi europei. La reazione dell'Onu alla crisi libanese è stata quella di inviare una forza di interposizione. A due mesi dall'inizio della missione, possiamo constatare che questo contingente Onu non ha disarmato le milizie Hezbollah, mentre, in compenso, ha già minacciato (per bocca del suo comandante, il generale francese Pellegrini) di abbattere gli aerei israeliani. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno sempre premuto per la democrazia in Libano, ma non si sono preoccupati troppo dei partiti che ne facevano parte. Bush, in Libano, non ha agito come agì Truman in Europa, non ha promesso aiuti e legittimazione solo nel caso vincessero schieramenti filo-occidentali. E così è nato un governo democratico di cui faceva parte anche Hezbollah. L'Occidente, insomma, non aiuta i suoi sostenitori. Finché le democrazie occidentali manterranno questo atteggiamento, sarà difficile che la loro (cioè: la nostra) causa vinca nel Medioriente.

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