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Rassegna Stampa
16.06.2006 La tattica criminale degli scudi umani
e il suo successo propagandistico presso l'opinione pubblica occidentale

Testata:
Autore: Stefano Magni
Titolo: «Gli scudi umani pagano»

Dal sito  RAGIONPOLITICA (del dipartimento di formazione di Forza Italia), un articolo di Stefano Magni su come il terrorismo  causi e sfrutti propagandisticamente le vittime civili palestinesi.
Ecco il testo:


C'è sempre una foto simbolica che testimonia le sofferenze del popolo palestinese. Dove c'è un palestinese che muore, che soffre, che viene ferito, che impreca contro gli israeliani, c'è sempre e subito un fotografo o un telereporter pronto a fotografarlo o filmarlo, pronto a diffondere la sua immagine in tutto il mondo. Poi, quando si viene a scoprire che le circostanze in cui quella foto è stata scattata, non erano quelle dichiarate all'inizio (ad esempio: che le sofferenze del palestinese in questione non erano causate dagli israeliani, ma dagli stessi palestinesi), le smentite non trovano più spazio. O almeno: vengono pubblicate, ma ormai l'impressione lasciata dalla prima versione è già diventata un simbolo, ben fissato nella mente dei telespettatori occidentali. Nel 2000 la foto del bambino Mohammed al Durra, ucciso in uno scontro a fuoco accanto al padre, aveva fatto il giro del mondo. È servita a poco l'indagine condotta nei mesi e negli anni successivi, in cui si dimostra che Mohammed al Durra e suo padre non sono stati bersagliati a freddo dai soldati israeliani e che, data la loro posizione, è più probabile che siano stati uccisi dai proiettili palestinesi che non da quelli israeliani. La prima impressione, secondo cui «gli israeliani ammazzano i bambini» è diventata indelebile. Adesso si sta ripetendo lo stesso fenomeno mediatico: una bambina palestinese, dopo l'esplosione sulla spiaggia di Gaza, trova il cadavere del padre, piange e grida vendetta contro gli israeliani assassini. L'IDF sta conducendo un'indagine: si potrebbe trattare di un proiettile di artiglieria israeliana finito per errore su un bersaglio civile, invece che sui terroristi che lanciano quotidianamente i Qassam contro Sderot e Ashkelon. Ma può anche trattarsi di una strage tutta palestinese: una mina lasciata sulla spiaggia per impedire infiltrazioni israeliane, o anche uno dei razzi Qassam lanciato male. Non è da escludere nessuna di queste ipotesi, ma alla gente non interessa: la piccola Huda che urla contro gli israeliani è già un simbolo. Così come, mentre scrivo, ci sono già altri due piccoli martiri: due bambini che andavano a scuola, uccisi da un raid aereo israeliano assieme ad altri 7 palestinesi, mentre 17 sono rimasti feriti. In realtà il raid aereo israeliano ha colpito con grande precisione una katiusha palestinese, che viaggiava tranquillamente per le strade di Gaza in mezzo ai civili. Ma è ovvio che vi sia un lanciamissili che gironzola tranquillamente in mezzo alle strade affollate di una città, passando di fianco a mercatini e gruppi di scolari? Ma alla gente questo non interessa: «gli israeliani ammazzano i bambini». I palestinesi hanno capito che la guerra di oggi è fatta anche di informazione: non si vince solo sul campo, ma anche nelle case dei telespettatori europei, lontanissimi dal campo di battaglia, ma in grado di pesare sulle decisioni della diplomazia mondiale. Hanno constatato che la loro strategia, fatta di civili usati letteralmente come scudi umani, paga di più che una battaglia vinta. Lo hanno capito da numerosi esempi precedenti: anche i vietnamiti usavano le stesse tattiche di comunicazione, così come il regime di Saddam dal 1991 in poi. Ma non li possiamo considerare «geniali» per questo motivo. L'uso degli scudi umani è condannato dalle leggi internazionali. Lanciare razzi da zone densamente popolate, fabbricare e nascondere armi in abitazioni civili, nascondere i miliziani (vestiti in abiti civili) in mezzo alla popolazione inerme, usare le immagini dei civili straziati perché sorpresi dal tiro incrociato, sono tutti crimini. E se noi occidentali non condanniamo apertamente questi crimini, non facciamo altro che legittimarli. E questo perché lo facciamo o siamo tentati di farlo? Perché l'ideologia corrente vuole che il mondo sia diviso in oppressi e oppressori, divisi ancora secondo categorie marxiste. Indipendentemente dalla realtà, indipendentemente dal fatto che fossero loro gli aggressori. Vietnamiti, iracheni, palestinesi, rientrano tutti nella categoria degli oppressi che lottano per la loro «liberazione». E i fotografi fanno a gara per ritrarre il volto della loro sofferenza.

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