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Panorama Rassegna Stampa
22.05.2019 Golda Meir: tutta la vita privata e pubblica in un ritratto
Commento di Alessandra Necci

Testata: Panorama
Data: 22 maggio 2019
Pagina: 47
Autore: Alessandra Necci
Titolo: «Golda Meir»

Riprendiamo da PANORAMA di oggi, 22/05/2019, a pag.47, con il titolo "Golda Meir" il commento di Alessandra Necci.

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Golda Meir

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Alessandra Necci

Ha i capelli grigi e ricciuti. Un viso stanco e grinzoso, un corpo pesante sorretto da gambe gonfie, malferme, di piombo. Come mia madre, ha quell'aspetto da massaia ossessionata dalla pulizia. Perché, capisci, sono donne che non usano più. E la cui ricchezza consiste in una semplicità disarmante, una modestia irritante, una saggezza che viene dall 'aver sgobbato tutta la vita...». A questa suggestiva descrizione di Golda Meir, tratta da un'intervista di Oriana Fallaci, se ne possono aggiungere molte altre. Spesso, sono più che altro battute, bon mots. Come a volte capita quando si vuole elogiare una donna per la sua fermezza, la sua forza, la sua intransigenza, le sue capacità politiche, la «lady di ferro» di Tel Aviv viene anche accostata ai maschi. «L; unico vero uomo in Israele» si diceva in giro, all'epoca del suo premierato. «II miglior uomo al governo», secondo David Ben Gurion. Eppure, guardando le immagini di repertorio e le interviste, tali accostamenti non convincono completamente. Come non convince nemmeno il paragone con un'altra grande donna premier, cioè Margaret Thatcher. Le due sono troppo diverse, per pensiero politico, immagine pubblica, vita familiare. Rende di più la definizione secondo cui Golda è «la nonna del popolo israeliano»: bisogna aggiungere, però, che quell'aria saggia, dimessa e materna - dietro cui si cela una tempra di diamante - effigiata dalla Fallaci, rassicura e confonde al tempo stesso. In un ceno senso, porta fuori strada. La signora che si vede m alcune fotografie con una crocchia di capelli ingrigiti, l'alta fronte scoperta, gli occhi penetranti e un po' tristi, il naso importante, le rughe ai lati della bocca sottile, la sigaretta fra le dita, il tailleur scuro e la collana chiara, potrebbe ricordare a molti una nonna, o un'anziana parente, che si è vestita in modo formale per un'occasione speciale. E che non vede l'ora di cambiarsi, per tornare ad occuparsi di faccende più utili e serie. Quella stessa signora, tuttavia, ha tenuto in mano i destini di una terra e di un popolo, è stata elevata a paradigma di leadership e durezza politica, soprannominata «la leonessa», effigiata in film e serie televisive. Basti pensare alla miniserie interpretata da Ingrid Bergman, Una donna di nome Golda. Oppure a Munich di Steven Spielberg, nel quale è raccontato il dramma delle olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, durante le quali atleti e allenatori israeliani furono presi in ostaggio da un commando di palestinesi - Settembre nero - alcuni trucidati subito, altri nel blitz della polizia tedesca. Avevano chiesto uno scambio con alcuni prigionieri politici, mala premier israeliana disse di un secco no. Nel film, Golda si vede solo per pochi minuti, però è lei che ordina l'uccisione successiva, segreta e graduale dei terroristi responsabili dell'eccidio; lei che si assume la responsabilità dell'operazione poi nota come «Collera di Dio». Proprio questa apparente contraddizione fra ciò che sembra e ciò che è, fra forma e sostanza, apparenza ed essenza, fornisce la cifra del personaggio, offre la misura della sua complessità. A ben vedere, più che una nonna ha lo spirito di una matriarca. Potrebbe provenire dall'Antico Testamento o dall'antica Roma, ma l'idea è quella. Golda Meir nasce il 3 maggio 1898 a Kiev, in Ucraina. Il suo nome esatto è Golda Mabovic o Mabovitz. Sarà il fondatore di Israele, cioè Ben Gurion, a darle nel 1955 un cognome più «tipico», più ebraico. Meir vuol dire «illuminato». Il contesto nel quale Golda viene al mondo e passa i primi anni di vita è povero, doloroso, reso più complicato dalle persecuzioni. Segnerà in modo definitivo la sua esistenza, probabilmente ne determinerà parte degli obiettivi. II padre è un carpentiere, la madre si occupa della famiglia, che vive in condizioni di indigenza, tanto che alcuni dei suoi fratelli muoiono ancora piccoli. Non aiuta il fatto che i Mabovitz siano ebrei e di idee socialiste. C: Ucraina dell'epoca, infatti, è parte dell'Impero russo e zarista, che si accanisce contro costoro, dando vita ai famigerati pogrom. Per tentare di sfuggire alla povertà, i Mabovitz si spostano a Pinsk, nell'odierna Bielorussia. Le persecuzioni, tuttavia, non si fermano, anzi si accentuano. L'unica soluzione sembra emigrare, andare molto più lontano, oltre il mare. Il padre è già partito nel 1803 per gli Stati Uniti, gli altri si apprestano a raggiungerlo. La bambina ha otto anni quando l'intera famiglia va a vivere a Milwaukee, nel Wisconsin: per lei, è veramente la «scoperta dell’America», di quella «land of freedom, home of braves», «terra della libertà, casa dei coraggiosi», al cui miglior spirito, aperto e pioniere, rimarrà sempre legatissima. Benché all'inizio non parli l'inglese, impara in fretta e compie in Usa il primo ciclo scolastico. A causa di un contrasto con i genitori, che avrebbero voluto farle poi interrompere gli studi, la già molto autonoma Golda trasloca ancora una volta. Ha 14 anni e va a vivere a Denver, in Colorado, Da sinistra, il primo ministro inglese Harold Wilson, Golda Meir e il cancelliere tedesco Willy Brandt nel 1969. dalla sorella più grande. Legge, approfondisce la letteratura, si appassiona al sionismo, al socialismo e al femminismo. Scriverà nella sua autobiografia: «Denver fu un punto di svolta, perché lì ebbe inizio la mia vera istruzione. A Denver la vita misi apri davanti per davvero». Subito dopo incontra Morris Meyerson, che sposa il 24 dicembre 1917, a 19 anni, appena avuta la cittadinanza. Per vari anni il matrimonio sarà felice, ma diverrà in seguito, per la Meir, un tasto dolente, perché in anni successivi trascurerà Meyerson per la politica, sino alla separazione. Il marito morirà quindi di infarto nel 1950. «Era una creatura meravigliosa» dirà lei «e con una donna diversa da me avrebbe potuto essere felice». Ottenuto il diploma, Golda si iscrive all'università - la Milwaukee Normal School - e insegna in una scuola yiddish, oltre a dedicarsi alle organizzazioni politiche e sioniste. Nel 1918, quindi, partecipa come delegata della sua città al Congresso degli Ebrei Americani. Nel 1921 parte con il marito per la Palestina, che allora è un protettorato inglese, viaggiando a bordo della SS Pocahontas. 1r curioso che la nave prenda il nome proprio dalla nativa americana nata in Virginia, che salvò la vita dell'inglese John Smith, poi sposò un altro inglese, John Rolfe, lasciò la patria per l'Inghilterra e lì mori, nel 1617, dopo essere diventata molto famosa. Attraversati l'Atlantico e il Mediterraneo, i Meyerson scendono nel porto di Napoli. Quindi, passate alcune tappe intermedie, giungono in Terra santa. E stata soprattutto Golda a volere il trasferimento, così come è lei a insistere per andare a vivere in un kibbutz, la forma associativa di lavoratori basata sulla comunione delle proprietà, su regole solidaristiche e sull'obbligatorietà del lavoro. Il periodo trascorso nel kibbutz verrà ricordato dalla futura statista come uno dei più felici della sua vita. Pur tuttavia, a seguito della malattia del marito e della nascita del figlio Menahem, la famigliola si sposta Gerusalemme. Lì la Meir aumenta il suo impegno politico e sociale con molti incarichi e ruoli pubblici. Nel frattempo, nel 1926 è nata Sarah. Golda si occupa quindi, con grande determinazione, dell'Histadrut, l'unione sindacale dei lavoratori. Nel 1946 viene nominata capo del dipartimento politico dell'Agenzia ebraica perla Palestina, nonché delegata della World zionist organization. Ancora, durante la tragedia della seconda guerra mondiale, si dedica all'immigrazione illegale dei profughi dall'Europa alla Palestina. Alla fine del conflitto, la futura premier impiega molte delle sue energie intellettuali e culturali a lavorare sul grande progetto di istituzionalizzazione dello Stato di Israele, per agevolare il quale torna in America a cercare fondi e appoggi. Anche grazie alla sua azione, il 14 maggio 1948 nasce lo Stato a cui tanto agognava: lei è fra i 24 firmatari della dichiarazione di indipendenza, nonché membro del Consiglio provvisorio di Stato. Nel solco del modello di quei pionieri il cui spirito I'ha tanto colpita, Golda può essere definita a ragione una «pioniera» della libertà, dell'indipendenza, della stessa creazione di Israele. Poco dopo, la Meir è la prima ambasciatrice del suo Paese a Mosca - e chissà cosa avrà pensato, rimettendo piede come autorevole diplomatico in quella Russia da dove era emigrata per sfuggire a fame e persecuzioni. Quindi viene eletta in Parlamento (la prima Knesset) nel 1949: Ben Gurion le chiede di andare a ricoprire l'incarico di vice primo ministro, ma Golda preferisce dirigere il ministero del Lavoro, un incarico che le frutta elogi ma anche critiche. Nel 1955 si candida a sindaco di Tel Aviv e non viene eletta. Subito dopo, tuttavia, diventa ministro degli Esteri. Non è un ruolo facile: nel 1956, Golda si trova a gestire la crisi del canale di Suez, cioè il conflitto derivante dall'occupazione del più importante collegamento al inondo da parte di Regno Unito, Francia e Israele. L'Egitto si oppone con forza, sostenuto dall'Urss. Anche gli Stati Uniti, a quel punto, intervengono. Temendo che la guerra si allarghi, costringono la Gran Bretagna e i suoi alleati a retrocedere. Purtroppo nel 1963 Golda si ammala per cui nel 1966 si dimette dagli Esteri, anche se resta in parlamento. Subito dopo, pero, viene eletta segretario generale del partito e riesce a riunire i tre gruppi laburisti in uno solo. Sull'onda di una serie di pressioni e di eventi, si trova a presiedere il partito stesso. Dopodiché, il 17 marzo 1969 viene nominata primo ministro di Israele: è il quarto in carica, ed è la prima donna. L'attenzione, la curiosità il clamore che suscita in tutto il mondo sono notevoli. Come tutte le persone carismatiche e dotate di grande forza, ha molti estimatori che la considerano una figura di culto, ma anche svariati detrattori. In politica interna, opta per la continuità con il predecessore Eshkol; in politica estera stringe ancor di più i rapporti con l'America, Paese a lei molto caro, e con il presidente Richard Nixon. nonché con la comunità ebraica americana, estremamente grande e influente. Durante il suo mandato si trova prima di fronte al dramma dell'eccidio di Monaco del 1972, poi alla Guerra dello Yom Kippur del 1973. È proprio durante la festività dedicata all'espiazione, il 6 ottobre 1973, che avviene l'attacco a sorpresa perpetrato da Egitto e Siria nel Sinai e sulle alture del Golan, ai danni di Israele. Quest'ultimo, preso alla sprovvista, si trova all'inizio in grave difficoltà, benché poi riesca militarmente a recuperare. La guerra ha termine il 26 ottobre, anche grazie all'intervento diplomatico di Stati Uniti e Urss, senza risultati decisivi da una parte e dall'altra. Tuttavia, le gravi polemiche che sono sorte in Israele a causa del fatto che l'attacco ha colto tutti abbastanza impreparati, portano Sopra, un'immagine della Guerra dello Yom Kippur, un conflitto armato che coinvolse Israele, Egitto e Siria nel 1973. La foto simbolo del massacro di Monaco di Baviera, l'attentato terroristico avvenuto durante le Olimpiadi del 1972 e in cui morirono 11 atleti israeliani e cinque attentatori palestinesi, alle dimissioni di Golda, nonché del ministro delle Difesa Moshe Dayan e del capo di Stato maggiore David Elazar. È a Washington, nel dicembre 1973, che la Meir tiene il suo ultimo e grande discorso pubblico. A un giornalista che le dice: «Lei ha contribuito come pochi alla nascita di una nazione». Ripeteva sempre: «Questa è la mia unica speranza di vita». «Quale altro desiderio è rimasto inappagato?» Lei risponde: «Dormire, come una vecchia che è stanca di discutere e arrabbiarsi». L'ormai 76enne Golda, affaticata e malata, nel 1974 si ritira dalla politica attiva e si dedica alla sua autobiografia My life, in Italia uscita da Mondadori, nonché ai nipotini. Il primo ministro è diventato Yitzhak Rabin, un generale che era stato sino ad allora ambasciatore negli Stati Uniti. L'8 dicembre 1978, la vita così coraggiosa di una delle più interessanti donne del Novecento si conclude. Fra le molte frasi che ha pronunciato, ve n'è una che dice: «Essere o non essere non è una questione di compromesso. O sei, o non sei». Lei, certamente, è stata ed è ancora.

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