domenica 28 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Panorama Rassegna Stampa
20.09.2003 Ritratto di Arafat
Perchè il rais è sempre in piedi

Testata: Panorama
Data: 20 settembre 2003
Pagina: 39
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il segreto di Arafat»
Un ritratto di Arafat, scritto da Fiamma Nirenstein, ci aiuta a capire perchè il dittatore, abilissimo nel raccontare frottole, è sempre in piedi. E a gestire sempre lui il potere.
Da oltre 30 anni è al potere e nessuno riesce a scalzarlo. Come fa? Con una politica ambigua e sfuggente che da un lato sostiene il terrorismo ma dall'altro auspica pace e distensione. E grazie al controllo capillare e personale sulle finanze (sia legali sia illegali), sugli uomini di governo e sulle forze di sicurezza



Tutto il mondo critica, anzi condanna Israele perché vuole esiliare Yasser Arafat. Ma tutti vogliono una fine del conflitto, siamo tutti favorevoli a un ritiro israeliano e a uno stato palestinese in cambio della pace; ma finché lui comanda, e comanda fino in fondo, nessun progresso è possibile. Quindi, dobbiamo scegliere: vogliamo la pace o Arafat? Uno stato palestinese o Arafat?". Barry Rubin, lo storico che ha appena scritto una biografia del leader dell'Olp di cui si parla in tutto il mondo, non fa giri di parole.
È il potere del vecchio Yasser il grande ostacolo sulla via della pace, l'impero personale costruito su fortuna, spregiudicatezza, denaro, armi, influenza, minacciosità, forza simbolica per cui egli è "Mister Palestina".
Del resto non è cosa nuova per le satrapie mediorientali restare miracolosamente al potere per più di trent'anni. Ma Arafat è un gatto dalle sette vite. E in questi giorni festeggia il suo ennesimo fiammeggiante ritorno. Arafat ha tenuto saldamente in pugno tutti i gangli del potere grazie a una linea politica ambigua e a lungo inintelligibile allo spirito occidentale, che è il nerbo della sua forza. È la stessa linea ripetuta in un discorso pubblico tenuto alla Mukhata, di fronte a una folla accorsa a difenderlo con i corpi dalle minacce israeliane, in cui da una parte ha esaltato "la pace dei bravi" e dall'altra un terrorista suicida che su un autobus ha fatto fuori 38 israeliani d'un colpo. La sottile e continua sostanziale riabilitazione del terrore che Arafat compie fornendogli lo scudo della lotta palestinese per una patria a sua volta è un cemento per il suo potere.

Dopo il discorso del giugno 2002 del presidente americano George W. Bush, che chiedeva una nuova leadership palestinese democratica, il capo dell'Olp sembrava veramente messo in un angolo, tanto che nel settembre scorso il suo gabinetto fu costretto a rassegnare le dimissioni per evitare l'espulsione dal nuovo corso della road map e del nuovo leader Abu Mazen. Da poco durante l'operazione Muro di difesa erano state trovate nei suoi uffici prove di un sostegno attivo e personale alle Brigate di Al Aqsa; e gli americani si convinsero che Arafat non avrebbe mai combattuto il terrorismo, anzi lo avrebbe promosso. Ma egli mise immediatamente in atto una strategia di salvataggio del suo potere che innanzitutto attivò le forze dell'Olp in modo da strangolare il nuovo governo.
L'Olp non è un corpo eletto dai palestinesi, ma l'Autonomia palestinese le è di fatto subordinata. Arafat è presidente dell'una e dell'altra, sul modello dell'Urss, dove tutto era subordinato al Pcus. Il ruolo extracostituzionale di Arafat (che non manca mai di dichiararsi leader democraticamente eletto per legittimare il suo ruolo) gli ha consentito, durante i miseri 80 giorni di Abu Mazen, di bloccare ogni suo movimento.
Abu Mazen, per esempio, ha cercato di gestire la situazione con Hamas e la Jihad islamica a Gaza, dove hanno le loro maggiori sedi; ma Arafat ha continuato a comandare i circa 50 mila uomini salariati (di cui la metà armati) e le decine di migliaia di sussidiati che fanno parte dell'establishment della difesa; di questi, solo poche centinaia sono parte dell'apparato di sicurezza preventiva che era subordinato a Muhammed Dahlan, ministro dell'Interno di Abu Mazen.
In più Arafat ha mantenuto il potere sulle varie milizie armate, di cui una quota (solo a Gaza sono circa 2 mila i palestinesi in divisa) partecipa a organizzazioni terroristiche, da Hamas alla Jihad islamica. Quando prese il potere, guadagnò il controllo, oltre che della polizia preventiva, della polizia civile (in blu) e dell'apparato di difesa civile. Gli Usa e indirettamente Israele accettarono quindi che Arafat mantenesse il controllo della sicurezza nazionale, l'intelligence militare, la Forza 17, i Servizi di sicurezza generale (Gss).
Il leader dell'Olp, per estendere ulteriormente la sua forza, accusando Abu Mazen di voler prendere tutto il controllo delle forze di sicurezza (cosa che ha negato) nominò Jibril Rajub capo del coordinamento delle forze di sicurezza per l'autorità palestinese. Anche quando scelse il Consiglio nazionale di sicurezza Abu Mazen non obiettò. E adesso che il primo ministro si è dimesso Arafat ha istituito un comando unificato delle milizie. Sotto di lui naturalmente.

Nel frattempo Arafat si è procurato illegalmente una gran quantità di armi e ha lasciato proliferare le fabbriche di materiali bellici, compresi i missili Kassam. L'ispezione sulla Karin A, una nave carica di armi iraniane in viaggio verso le coste palestinesi, impedì che Arafat ricevesse un carico micidiale di armi pesanti.
Arafat controlla personalmente tutto il denaro dell'Autonomia palestinese. Il suo apparato economico, nonostante gli sforzi del ministro delle Finanze Fayyad, che pur non mettendosi mai contro il rais ha cercato di temperare la corruzione nell'Autorità, è incontrollabile. Il sistema sanitario e le operazioni di frontiera sono fonti di guadagno improprio per singoli e organizzazioni.
Niente avviene senza che la punta della piramide controlli. Dalla distribuzione degli aiuti umanitari stranieri (che prende le strade più svariate) al flusso di denaro dai paesi arabi (che durante questa intifada è aumentato da 555 milioni di dollari a oltre un miliardo) il rais non permette mai a nessuno di controllarne la gestione. Anche fra il '64 e il '93, quando l'Olp era classificata come organizzazione terrorista, il flusso non è mai cessato.
Nel giugno del 2002 il giornale arabo Al Watan aveva accusato Arafat di avere depositato in una banca del Cairo 5 milioni di dollari provenienti dagli aiuti stranieri; durante l'agonia del governo Abu Mazen il rais è tornato a distribuire fondi per vari gruppi, dagli attivisti di Al Fatah a Betlemme fino ai gruppi dell'apparato militare a Jenin. Fayyad non ha alcuna possibilità di bocciare le assegnazioni di denaro decise da Arafat.
Uno dei segnali del ritorno del vecchio leader alla gestione minuta di tutta l'Autorità, alla vigilia della cacciata di Abu Mazen, fu una sua delibera passata a Fayyad per l'acquisto di 6 mila metri di stoffa per le divise dei poliziotti al costo di 20 mila dollari.

Molte le attività illegittime, per esempio la compravendita di beni rubati, i permessi speciali venduti ai check-point di Karni e di Kalandia a certe società, il riciclaggio di medicinali e cibi donati, i taglieggiamenti dei tassisti. I proventi vanno poi in finanziamenti per i tanzim e altre organizzazioni. Insomma, un complesso sistema di uso di privilegi e denaro pubblico, insieme all'intervento criminale di organizzazioni private e politiche, forma il magma economico miliardario in cui Abu Mazen non ha avuto la possibilità di mettere le mani, e nemmeno Fayyad.
Il rais vive una vita modestissima a Mukhata, non gli si conosce alcun vizio, dorme poco, mangia ancor meno, e in questo periodo gode soprattutto del rinnovato sostegno internazionale e locale alla sua figura, alla sua linea.
Il nuovo governo di Abu Ala è calibrato uomo per uomo, l'opposizione è risibile. E i mezzi di comunicazione esaltano la nuova linea di battaglia dura, unita alle proposte di nuova distensione annunciate da Jibril Rajub ma certo invenzione del rais alla ricerca della stabilizzazione del consenso che oggi lo circonda dopo tanto isolamento.
La doppia linea è la culla ideologica dell'Olp a partire dal 1991, dopo la gaffe del sostegno a Saddam Hussein che aveva aggredito il Kuwait. Ma essa fu fissata già nel 1970, quando in un documento dell'Olp nacque "la politica degli stadi". I mille documenti, anche successivi al 13 settembre 1993 (accordo di Oslo), provano senza possibilità di dubbio che "la pace dei bravi" era un cavallo di Troia, come disse Feisal Hussein in un'intervista del 1994 in Kuwait. O, come ha ripetuto Arafat, "la tregua di Maometto con i Kureish", che furono poi distrutti al momento opportuno. "State pronti, state pronti alla battaglia definitiva" ammonivano i documenti, mentre Arafat era a Camp David, con Bill Clinton ed Ehud Barak, a parlare di pace.
La chiave della linea di Arafat sta nel suo rifiuto a definire i confini definitivi per un accordo e per garantire i diritti dei profughi (ormai quattro generazioni) del 1948 a tornare dentro Israele, facendolo esplodere demograficamente come stato ebraico. La promessa della "Carta" non è mai stata abbandonata: per la stragrande maggioranza dei palestinesi è una vergogna immaginare due stati per due popoli, uno accanto all'altro.
La linea di Arafat è ancora vincente e operante, come lo sono i suoi uomini, le sue istituzioni, il suo denaro. E tuttavia, o con Arafat o con "due stati e due popoli", come verrà risolto questo problema dal consesso internazionale? Qui l'Onu e l'Europa potrebbero avere un ruolo fondamentale nel chiedere all'unisono che Arafat pronunci in pubblico questa storica espressione.

CONFINATO IN POCHI METRI E PIU' POTENTE CHE MAI
Le tappe dei quasi due anni di assedio israeliano al complesso di Ramallah


3 dicembre 2001
Dopo gli ennesimi attentati, gli israeliani distruggono i tre elicotteri di Arafat e di fatto lo confinano a Ramallah.


18 gennaio 2002
Per rappresaglia dopo un attentato costato sei vittime, Israele stringe d'assedio Arafat e lo relega nell'edificio del suo ufficio, alla Mukhata.


29 marzo 2002
Nuovi attacchi suicidi e nuovo giro di vite di Gerusalemme: ad Arafat e ai suoi collaboratori vengono lasciate solo poche stanze dell'edificio dell'Autorità palestinese. Il resto viene distrutto.


1° maggio 2002
Dopo la consegna di sei terroristi, gli israeliani si ritirano da RAmallah.


19 settembre 2002
L'assedio ricomincia, dopo che un kamikaze si fa saltare in aria in una strada di Tel Aviv uccidendo cinque israeliani.


21 settembre 2002
L'esercito di Gerusalemme rade al suolo tutti gli edifici intorno a quello che ospita il rais. Israele chiede la consegna di 20 terroristi, ma Arafat non cede e rimane asserragliato nelle sue stanze.


29 settembre 2002
Grazie alle pressioni dell'Onu e degli Usa, Israele mette fine all'assedio e ritira i tank da Ramallah. Il controllo sui movimenti di Arafat rimane molto stretto e continua tuttora.




















Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione di Panorama. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.


















rossella@mondadori.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT