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L'Espresso Rassegna Stampa
20.02.2003 Con chi marciano i pacifisti
Nella marcia per la pace nei territori occupati sfila anche Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme, scortato però dai terroristi di Fatah.

Testata: L'Espresso
Data: 20 febbraio 2003
Pagina: 34
Autore: Sandro Magister
Titolo: «La marcia della pace del patriarca, scortata da al-Fatah»
Riportiamo un articolo di Sandro Magister pubblicato su L'Espresso-on-line giovedì 20 febbraio 2003.

ROMA – La fonte è "Missioni Oggi", il mensile dei missionari saveriani da tempo schierato su posizioni accesamente filopalestinesi e quindi, nel caso specifico, non sospette.

E l’autore è più che mai attendibile. È Massimo Toschi, fiorentino, rispettato cultore della nonviolenza, esponente autorevole del pacifismo più nobile e genuino.

Nel numero di febbraio 2003 di "Missione Oggi", Toschi pubblica il diario di un suo pellegrinaggio a Betlemme, assieme al cardinale Silvano Piovanelli e ad altri 130 pellegrini toscani, compiuto per unirsi alla marcia della pace del 31 dicembre 2002 indetta dal patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah (v. foto).

Ed è proprio il patriarca Sabbah il soggetto chiave del racconto. Ecco cosa scrive Massimo Toschi:

«Si arriva al punto di inizio del corteo. [...] C'è pochissima gente. [...] Non siamo più di 200, di cui 132 della Toscana. [...] La marcia ha inizio, ma la sua direzione non è verso la basilica, ma verso il check point. Nella prima fila c'è il patriarca [...]. Non c'è nessuno alle finestre e anche lungo la strada. È davvero un corteo sparuto. Sorprende che dietro il patriarca non ci siano i cattolici di Betlemme. Certamente non ci sono i francescani di Betlemme. [...] All'improvviso si inserisce nel corteo un gruppo di ragazzi tra i sedici e i vent'anni. Appartengono a un'organizzazione politica dal nome indicibile, probabilmente vicina a Fatah. Urlano slogan politici. Arrivati ad un incrocio c'è un dialogo fitto con i soldati israeliani, che si ritirano ulteriormente di circa duecento metri. Si arriva in cima ad una salita e di nuovo siamo a contatto con i soldati israeliani. Questa volta ci si ferma e si comincia a pregare e a cantare per una decina di minuti. I soldati israeliani sono vicinissimi, a non più di mezzo metro. Alcuni sono piazzati sui tetti, con il mitra puntato su di noi. Sono giovani ragazzi tra i venti e i trent'anni, ben equipaggiati, esposti in una situazione di grandissima delicatezza, appena un po' più anziani dei ragazzi palestinesi. Dopo una decina di minuti la manifestazione si scioglie».

Fin qui il resoconto della marcia. Dopo di che Toschi riferisce della sua sosta nel convento dei francescani, a fianco della Basilica della Natività:

«A Casa Nova ci accoglie padre Ibrahim. [...] A tavola racconto della marcia e domando dell'assenza sua e dei francescani. Dice che [...] il patriarca ha promosso la marcia su richiesta di Fatah e questo è un errore, perché la prossima volta farà la richiesta Hamas e il patriarca non potrà dire di no».

La mattina del 1 gennaio, messa a Betlemme nella chiesa di Santa Caterina:

«Arriviamo e la chiesa è già piena dei cattolici di Betlemme, che hanno sfidato il coprifuoco per venire alla messa e incontrare gli amici toscani. Questo rende ancor più sorprendente il vuoto del giorno prima al corteo».

Nel pomeriggio, Toschi incontra a Gerusalemme il cardinale Carlo Maria Martini:

«Egli insiste sul fatto che non si debba prendere parte, schierarsi con una parte contro l'altra. [...] Dunque ha scelto una linea di silenzio, [...] ha scelto di non avere rapporti istituzionali e di non partecipare agli incontri ufficiali. Ci racconta di aver partecipato solamente ad un pranzo promosso dal nunzio con tutti i vescovi cattolici di Gerusalemme».

E a sera, tornato al convento francescano di Betlemme...

«Si parla di gruppi di ragazzi che, distrutta l’autorità palestinese e la sua politica, hanno in mano Betlemme. Si parla delle divisioni presenti anche tra le chiese cattoliche e si condivide l'idea della necessità che il patriarcato latino sia più autonomo rispetto alle posizioni politiche. Ho l'impressione di un mondo palestinese frantumato in mille gruppi e senza una politica. Il fallimento in termini numerici della marcia del giorno prima qualcosa deve pur voler dire».

Fin qui il reportage di Massimo Toschi su "Missione Oggi" di febbraio: impressionante conferma di quanto il patriarca Sabbah sia isolato dentro la stessa cattolicità palestinese.

Isolato perché di parte. Troppo schierato con le correnti estremiste che spadroneggiano a Betlemme e nei Territori e hanno condizionato e snaturato la marcia della pace del 31 dicembre.

Sabbah è l’ecclesiastico che lo scorso settembre, dopo l’annuncio dell’arrivo a Gerusalemme del cardinale Martini – giudicato filoisraeliano – disse di lui che era «persona non grata».

Sabbah è l’uomo che del terrorismo suicida palestinese dà questa giustificazione testuale (ripresa da un suo discorso ai fedeli del febbraio 2002 di cui esiste la registrazione video):

«La situazione è semplicemente d’occupazione militare, dal 1967 a oggi. Il nostro è un paese occupato, il che spiega che la gente sia stanca e si faccia esplodere. Gli israeliani dicono ai palestinesi: cessate la violenza e voi avrete senza la violenza ciò che volete. Ma si è visto nella storia di questi ultimi dieci anni che gli israeliani si sono mossi solo forzati dalla violenza. Sfortunatamente non c’è che la violenza per far marciare i popoli. E non qui soltanto. Nessun paese è nato se non nel sangue».

Ed è colui che nell’omelia della messa di Pasqua del 2002 ha detto che «ingiustizia e oppressione sono imposte su uno solo dei due popoli», il palestinese. E «i capi [israeliani] dovrebbero smettere di parlare di terrorismo per nascondere il male di fondo [da essi commesso] e per giustificare e nutrire la permanenza della morte e dell’odio».
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