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L'Espresso Rassegna Stampa
12.05.2006 Un ritratto di Ehud Gol
ambasciatore d'Israele in Italia

Testata: L'Espresso
Data: 12 maggio 2006
Pagina: 0
Autore: Gigi Riva
Titolo: «Israele ha fatto Gol»

L'ESPRESSO in edicola dal 12 maggio 2006 pubblica un ritratto dell'Ambasciatore d'Israele in Italia, Ehud Gol, di Gigi Riva.
Ecco il testo:
 

Allo stadio c'era anche domenica scorsa per la non memorabile Roma-Treviso. Non è una novità. Che siano i giallorossi o che sia Lazio, l'ambasciatore d'Israele in Italia Ehud Gol ha da anni il suo posto fisso in tribuna all'Olimpico. Tifoso altalenante e diplomatico: "Sto un po' con l'una un po' con l'altra, a seconda delle circostanze". Il suo cuore batte solo per l'Hapoel Gerusalemme, e siamo in serie B. Appassionato di sicuro. Anche calcolatore: "Ho passato l'intervallo in compagnia di Massimo D'Alema che qualcosa conterà in questo Paese, o no?". In quale altro posto l'avrebbe potuto incontrare "casualmente" per una chiacchierata informale? Piacere e lavoro, ogni domenica. Se non è D'Alema sono Storace, Gasparri. Sull'altra sponda (sportiva) Rutelli e Fini. Senza disdegnare i media (Clemente Mimun e altri). Gradite le poche volte in cui si presenta con la figlia Gallia per cui i vicini di tribuna spendono l'aggettivo 'avvenente'.

Del resto, già quando stava a Madrid era un cliente fisso del Santiago Bernabeu. E che il calcio potesse servire alla sua causa probabilmente lo ha imparato ancora prima, a Rio de Janeiro, dov'è stato console generale dal 1988 al 1991. Un'esperienza che non lo ha lasciato indifferente: "Al Mondiale tiferò Brasile". Anima latina a tutto tondo: "Così almeno mi sento". Qualche origine antica? No. Il nonno sionista arrivò in Palestina dall'Afghanistan nel 1891 e lui è un classico 'sabra', nato a Gerusalemme nel 1946. In divisa militare durante la guerra del 1967 sul fronte della sua città e subito dopo in diplomazia. La svolta nella carriera avvenne quando fu portavoce del premier Yitzhak Shamir di cui conserva una foto nell'ufficio ai Parioli (accanto altre immagini che lo ritraggono con Ariel Sharon e Ciampi). Il giorno in cui nel suo orizzonte comparve l'Italia lo ricorda così. Lo chiamò il ministro degli Esteri di allora, Shlomo Ben Ami, e gli chiese: "Ehud, dove vuoi andare?". Gli bastò una parola: "Roma". Sbarcò a Fiumicino l'11 ottobre 2001. Nemmeno il tempo di capire dove si trovasse e già stava a 'Porta a Porta', un intervento in inglese con inserti di italiano che ora parla fluentemente. Era nata una stella. Con uno stile poco protocollare e inedito di interpretare la professione: "Il mio Paese mi ha mandato qui, quindi si fida di me, dunque non devo consultare qualcuno ogni volta che decido di parlare in pubblico". Da Vespa e da Ferrara, allora. Anche a 'Unomattina' e via occupando il palinsesto. Più i giornali, con quel suo ribadire, puntualizzare, spiegare ogni volta che c'è di mezzo Israele. Lo aveva già fatto in Spagna, 40 articoli in quattro anni. Da noi si appresta a battere il record.

L'uso dei media fa parte di una strategia: "Quattro sono i compiti che mi ero prefisso. Uno: convincere il governo italiano che avere buoni rapporti con noi era nel suo interesse. Due: non abbandonare l'opposizione. Tre: visitare ogni angolo del Paese, andare sul territorio, avvicinare la gente. Quattro: i media. Non si può far bene il diplomatico senza avere un buon rapporto con la stampa". Ora che mancano tre mesi alla scadenza del suo mandato (se ne andrà l'8 agosto) può sostenere: "Fatto". Al prezzo di contestazione negli atenei, come a Pisa e Firenze: "Ma lì, come negli stadi, non si tratta di antisemiti, piuttosto di ignoranti. Con le loro azioni hanno fatto sì che invece di parlare a 200 persone parlassi a qualche milione, vista la risonanza che hanno avuto egli episodi". La sovraesposizione gli ha fruttato l'inserimento nel circuito mondano della capitale. Lui protesta: "Ma se io non vado mai alle feste!". Ed elenca: "I miei colleghi fanno parte di qualche circolo. Quelli dei Paesi arabi, quelli dei Paesi ex comunisti, gli europei. Io rappresento un Paese unico. E l'unico mio circolo sono... gli Stati Uniti". Eppure i suoi ricevimenti sono stati proverbiali. All'ultimo (3 maggio, 58 anniversario dell'indipendenza d'Israele) Berlusconi e Prodi hanno brindato insieme per la prima volta dopo le elezioni. Un direttore di giornale ha suggerito che Israele, per curare i propri interessi, dovrebbe tenerlo qui 20 anni. Sarà mica Paolo Mieli? "Esatto". Invece partirà. Con una consolazione: "Nel mio paese, a dieci chilometri da Gerusalemme, un amico mi ha promesso di aprire un ristorante italiano. Così non mi mancherà la vostra cucina". Buon appetito.

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