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L'Espresso Rassegna Stampa
01.05.2006 I ricatti inaccettabili di Tahar Ben Jelloun
sul settimanale dell' Ing.Carlo de Benedetti

Testata: L'Espresso
Data: 01 maggio 2006
Pagina: 13
Autore: Tahar Ben Jelloun
Titolo: «Fate i conti con i voti di Hamas»

Potremmo cominciare questo commento con "Rieccoci...".

Rieccoci con un pessimo articolo pubblicato su L'Espresso dopo un periodo di tranquillità (forse dovuto al periodo elettorale che impone più attenzione?)

Rieccoci con un articolo di Tahar Ben Jelloun che negli ultimi tempi aveva evitato (o gli avevano chiesto di evitare) l'argomento Israele

Rieccoci con la peggiore mistificazione dei fatti. Vediamoli:

  L'esordio dell'articolo di Tahar Ben Jelloun la dice lunga sul suo pensiero:

"In questo momento, Israele e l'Occidente non maltrattano solo Hamas e il popolo palestinese, ma il principio stesso della democrazia. Con il rifiuto di accettare i risultati delle urne e la decisione di punire il nuovo governo palestinese, non fanno che approfondire sempre più il fossato, già immenso, che separa il mondo arabo da quello occidentale”

Qui si afferma “tutto” e il “contrario di tutto”. Lo scrittore afferma che i palestinesi sono maltrattati se l’Occidente non riconosce legittimità ed autorevolezza al governo di Hamas per il fatto di essere stato eletto.  L’Occidente se non accetta Hamas si assume colpa e responsabilità della separazione del mondo arabo da quello occidentale. Ci viene la voglia di ricordare a Ben Jelloun che la democrazia è una cosa seria e non una bandierina che si può far sventolare soffiando da una parte o dall’altra, indipendentemente dal vento. Tanto per iniziare, se si può parlare di democrazia, si assume che un “cittadino palestinese” possa pacificamente dimostrare il suo dissenso rispetto ad un’opinione o a una politica del governo. Non ne abbiamo vista una. Se siamo in democrazia, assumiamo che un cittadino di altri Paesi possa andare nei territori palestinesi ed esprimere liberamente la propria opinione, senza essere trucidato o  massacrato come nei peggiori esempi di macelleria. Sfidiamo chiunque a farlo. Se siamo in democrazia, si assume che un cittadino palestinese possa denunciare alle autorità di polizia le pressioni e le minacce che sono esercitate dalle organizzazioni del terrore per dare un figlio come kamikaze, o magari possa denunciare gli esponenti terroristi affinché venga cessata la politica del terrore. Forse ci siamo distratti, ma anche in questo caso non ne abbiamo vista una. Si può assumere che Hamas sia stato eletto con un processo democratico ma non per questo gli altri Paesi devono essere obbligati a considerare autorevole il suo governo (ma noi sappiamo che il problema non è di stima, ma di soldi). E soprattutto è profondamente sbagliato il tentativo di dare all’Occidente la colpa della separazione del mondo Arabo. Semmai è quest’ultimo che si sta sempre più radicalizzando e, come sempre (la storia insegna), usa i palestinesi come pretesto.

 “Privare i palestinesi degli aiuti che tradizionalmente ricevevano dall’Europa è non solo un’ingiustizia e un errore, ma anche un insulto. Un errore, perché in questo modo, respingendo un movimento arrivato al potere in piena democrazia, non si fa che radicalizzarlo e confortarlo nel suo fanatismo, nel suo rifiuto di ogni dialogo. E per di più un insulto al principio del suffragio universale: un principio ammesso e rispettato quando consegna il potere a un Gorge W Bush che non ha mai cessato di calpestare i principi stessi della democrazia violando i diritti umani e conducendo una guerra illegale, ma combattuto e osteggiato quando l’esito delle elezioni è sgradito, perché i palestinesi hanno espresso la loro fiducia a uno schieramento islamista.”

Come previsto, era solo una questione di soldi, come sempre. Hamas non può chiedere direttamente soldi e quindi invia le richieste attraverso suoi “picciotti”. Ci chiediamo se Tahar Ben Jelloun sia uno di loro. Certo è che la tecnica dell’intimidazione è quella giusta! Se non date i vostri soldi, Hamas sarà ancor più radicalizzato e fanatico. Se non date i vostri soldi, sarete personalmente responsabili per questo. Se non date i vostri soldi sarete personalmente responsabili della pericolosa separazione fra il mondo arabo e quello Occidentale. E ancora, perché i principi democratici sono comunemente accettati quando eleggono un sanguinario Bush e sono trascurati quando eleggono Hamas, fonte di speranza per il popolo palestinese ed arabo tutto? Ci aspettiamo quindi prossimamente da Ben Jelloun una difesa ad oltranza delle (legittime? autorevoli?) posizioni del neo presidente iraniano anche lui eletto democraticamente.

 “Dopo l’annuncio della vittoria di Hamas, il 14 marzo, Israele ha attaccato a Gerico un carcere palestinese, per prelevare un leader radicale condannato dall’autorità palestinese per l’assassinio del ministro del turismo israeliano Rehavam Zeevi. Tutti abbiamo visto le immagini di quei prigionieri in mutande, umiliati in maniera spettacolare. Una dimostrazione di forza e di disprezzo che può solo inasprire il senso di frustrazione di quella popolazione …”

 Certo, questa sembra una presentazione dei fatti scenografica ed efficace. Peccato che in realtà quello fosse un carcere di massima sicurezza affidato all’Autorità palestinese. Peccato che nella realtà i prigionieri lo erano solo di nome e non nei fatti. Peccato che nella realtà i carcerieri stavano di fatto lasciando liberi i pericolosi prigionieri. Peccato che nella realtà l’intervento israeliano è avvenuto al solo scopo di non far fuggire alcuni fra i più pericolosi prigionieri.

 “Frattanto, sotto lo sguardo benevolo dell’America e della stessa Europa, Israele costruisce un muro di separazione non già sul proprio territorio, ma su quello dei palestinesi: un progetto finalizzato non solo dall’isolamento di quel popolo, ma anche all’annessione della parte orientale di Gerusalemme, con i suoi luoghi santi.”

Visto che tutto questo forse ancora non bastava, Ben Jelloun rispolvera la ormai vecchia questione della barriera di sicurezza i cui positivi effetti sono ormai sotto gli occhi di tutti. La diminuzione degli attacchi terroristici e la difficoltà di portare esplosivi in Israele sono dati incontrovertibili. Ricordiamo infine che il governo Israeliano, costruendo la barriera, ha affermato che veniva costruita con lo scopo dichiarato di abbatterla, non appena le condizioni di sicurezza lo avrebbero concesso. Speriamo di cuore che prossimamente le pagine de L’Espresso non ospiteranno più articoli densi di odio e rancore, ma nutriamo purtroppo qualche dubbio.

Ecco il testo integrale:

Non condivido la sua filosofia e i suoi metodi. Ma con quale diritto si può rifiutare la sua vittoria se questo è il verdetto della democrazia?


In questo momento, Israele e l'Occidente non maltrattano solo Hamas e il popolo palestinese, ma il principio stesso della democrazia. Con il rifiuto di accettare i risultati delle urne e la decisione di punire il nuovo governo palestinese, non fanno che approfondire sempre più il fossato, già immenso, che separa il mondo arabo da quello occidentale. Un fossato di incomprensione e di ignoranza.

Privare i palestinesi degli aiuti che tradizionalmente ricevevano dall'Europa è non solo un'ingiustizia e un errore, ma anche un insulto. Un errore, perché in questo modo, respingendo un movimento arrivato al potere in piena democrazia, non si fa che radicalizzarlo e confortarlo nel suo fanatismo, nel suo rifiuto di ogni dialogo. E per di più un insulto al principio del suffragio universale: un principio ammesso e rispettato quando consegna il potere a un George W. Bush, che non ha mai cessato di calpestare i principi stessi della democrazia violando i diritti umani e conducendo una guerra illegale, ma combattuto e osteggiato quando l'esito delle elezioni è sgradito, perché i palestinesi hanno espresso la loro fiducia a uno schieramento islamista.

Io non condivido né la filosofia di Hamas, né i suoi metodi. Ma con quale diritto rifiutare la sua vittoria, se questo è il verdetto della democrazia?

Per prima cosa, si è chiesto ad Hamas di riconoscere lo Stato di Israele, pena il taglio dei viveri. Ascoltiamo l'opinione dello storico israeliano Shlomo Sand, che il 14 aprile 2006 scrive su 'Le Monde': "Lo Stato di Israele - è un dato di fatto - non ha mai riconosciuto una Palestina entro i confini del 1967, così come non ha riconosciuto Al Qods (la parte araba di Gerusalemme) come capitale di quello Stato. Perché riconoscere, in queste condizioni, un tale Stato di Israele?".

Dopo l'annuncio della vittoria di Hamas, il 14 marzo, Israele ha attaccato a Gerico un carcere palestinese, per prelevare un leader radicale condannato dall'autorità palestinese per l'assassinio del ministro del Turismo israeliano Rehavam Zeevi. Tutti abbiamo visto le immagini di quei prigionieri in mutande, umiliati in maniera spettacolare. Una dimostrazione di forza e di disprezzo che può solo inasprire il senso di frustrazione di quella popolazione, aggravato dalla mancanza di prospettive per il futuro. E la situazione diventa esplosiva se a tutto questo si aggiunge l'ostracismo decretato contro un popolo per aver designato rappresentanti non graditi.

Il 17 aprile un kamikaze ventunenne appartenente alla Jihad islamica si è fatto esplodere tra la folla nella vecchia stazione autostradale di Tel Aviv, causando nove morti e decine di feriti. Un'organizzazione ha dichiarato che quell'attentato era "la risposta alle aggressioni israeliane contro Gaza". Secondo i media israeliani, durante la prima quindicina d'aprile ogni giorno più di 300 obici hanno colpito la zona nord della Striscia di Gaza. I palestinesi non contano più i loro morti. (Si veda 'Le Monde' del 14 aprile 2006).

Il padre del kamikaze è stato arrestato. E ha dichiarato che suo figlio aveva abbandonato gli studi perché non vedeva alcuna speranza di trovare lavoro, né di vivere nella pace. Perciò si è sacrificato, trascinando con sé nella morte il maggior numero possibile di innocenti. Questa logica terrificante non data da ieri. È il risultato di un ingranaggio sempre più perverso. L'occupazione e i bombardamenti preventivi contro la popolazione palestinese spingono a reazioni suicide, le quali a loro volta suscitano rappresaglie sempre più sanguinose.

Frattanto, sotto lo sguardo benevolo dell'America e della stessa Europa, Israele costruisce un muro di separazione non già sul proprio territorio, ma su quello dei palestinesi: un progetto finalizzato non solo all'isolamento di quel popolo, ma anche all'annessione della parte orientale di Gerusalemme, con i suoi luoghi santi.

Questa politica non aprirà mai le porte alla pace; al contrario, servirà solo a radicalizzare chi non ha più nulla da perdere. Come uscirne? Che fare perché questa regione del mondo ritrovi il corso normale delle cose?

Si racconta che il papa, arrivando al cospetto di Dio, si è messo a piangere. Dio gli chiede il perché di quelle lacrime, e il papa gli risponde: "Signore, l'influenza della religione cristiana diminuisce sempre più; l'America bombarda popolazioni innocenti.". Dio lo rassicura: "Non piangere più, penso io a mettere a posto tutto". Il papa si asciuga le lacrime, ma poi aggiunge: "Ho dimenticato di dirti del conflitto tra ebrei e arabi". A questo punto è Dio stesso che si mette a piangere!

Speriamo che su questa guerra, che dura ormai da oltre mezzo secolo, scenda la grazia di un miracolo: quello di una pace vera, che permetta infine agli ebrei e agli arabi di unire le loro intelligenze e le loro passioni per dare il meglio all'umanità. Le lacrime di Dio portano sventura: smettiamo di farlo piangere!

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