IC7 - Il commento di Donatella Masia: Calcio, antisemitismo e giustizia
Dal 30 ottobre al 6 novembre 2022

“Vi faremo saponette, riaprite i forni, non siete italiani ma una massa di ebrei, ebrei” sono alcuni esempi di espressioni ingiuriose di natura antisemita che periodicamente si sentono negli stadi nostrani, urlate in coro o scritte su striscioni. Talora l’insulto e’ rappresentato dalla costruzione di immagini significative, come quella di Anna Frank che indossa la maglia della squadra avversaria, diffuse con volantini; con l’accusa, appunto, di essere una squadra di ebrei. Il 4 settembre scorso si sono giocati la partita Fiorentina-Juventus allo stadio Franchi di Firenze ed il derby Milan-Inter allo stadio Meazza di Milano (San Siro). A Firenze la tifoseria iuventina ha accolto l’ingresso in campo delle squadre con cori che scandivano la frase “viola massa di ebrei, le vostre mogli devono essere sterilizzate”, con evidente richiamo alle pratiche eugenetiche naziste. A Milano nelle stesse ore i tifosi interisti intonavano verso gli antagonisti del Milan (squadra campione d’Italia 2021/2022) il coro “i campioni dell’Italia sono ebrei”. E’ dunque evidente che gia’ il solo termine “ebreo” e’ inteso quale un insulto, utilizzabile , ed in effetti usato, per denigrare l’avversario. Vale la pena chiedersi perche’ tale situazione si verifichi, e sia frequente, nell’ambito del calcio, mentre e’ pressoche’ assente nelle competizioni sportive di altra natura. La spiegazione e’ piuttosto semplice: il calcio, sport estremamente popolare, seguito da innumerevoli persone, catalizza attorno a se’ veri e propri “clan” di tifosi, in misura e tipologia differenti rispetto ad altre discipline sportive. Tra questi se ne annidano numerosi che, piu’ che un gruppo di appassionati del calcio e tifosi di una squadra, sono in realta’ espressione di sub-culture delinquenziali , ossia di ambiti criminali veri e propri, che occasionalmente trovano la loro aggregazione ed espressione attraverso la condivisione della passione calcistica. Cio’ perche’ detta passione consente di esprimersi in un luogo ampio e predeterminato (lo stadio, in particolare per le squadre di serie A), e di adottare comportamenti di incitamento, protesta o antagonismo che altrimenti non sarebbero consentiti. In sostanza, molti di questi cosiddetti tifosi altro non sono che delinquenti comuni, pregiudicati per i piu’ vari reati, usi a proporre e definire le loro questioni in forma violenta.
Ne e’ recente emblema quel Vittorio Boiocchi , definito dai media come “storico capo ultras dell’Inter”, giustiziato a colpi d’arma da fuoco per la strada a Milano il 29 ottobre scorso. Riferiscono le cronache che, a 69 anni di eta’, aveva complessivamente scontato oltre 26 anni di carcere per furto, rapina, sequestro di persona, traffico di droga, armi, e che, dopo averne appreso la morte avvenuta in ospedale poco prima dell’inizio della parita Inter-Sampdoria a San Siro, i tifosi interisti della curva nord dello stadio hanno avuto l’ordine di rimanere in silenzio assoluto (senza intonare cori ed esibire striscioni, che sono stati ritirati) fino al momento dell’intervallo, quando sono usciti. Insomma, una perfetta disciplina da clan criminale. Tanto che nei giorni seguenti sono montate le polemiche, originate dalla protesta “postata” sui social network da parte di quei tifosi (compresi padri con bambini e persone venute da molto lontano) che, con urla, minacce e spintoni, sono stati costretti a lasciare il proprio posto nella tifoseria organizzata. Se non si considera questa situazione non si puo’ comprendere perche’ talora le tifoserie calcistiche si esibiscano con modalita’ di chiaro antisemitismo. Cio’ avviene perche’ in quella sub-cultura (solitamentevdi estrema destra) vige e prospera l’antisemitismo: non è questione di impreparazione o ignoranza, come alcuni commentatori sostengono; cio’ puo’ valere per i tifosi “veri”, ossia per coloro che seguono il clan esclusivamente per l’affetto verso una squadra, e non fanno parte di ambiti delinquenziali, devianti o politicamente estremi. Purtroppo spesso, appunto per impreparazione o ignoranza, costoro non si ribellano alle espressioni antisemite del gruppo e lasciano correre.
Ma altre volte meritoriamente si dissociano. Dunque vi sono tifosi “ultras” che esprimono l’antesimitismo tipico della loro sub-cultura attraverso l’esibizione negli stadi. Se non vi fossero quei luoghi e quelle opportunita’ lo esprimerebbero in altra maniera. Ma sempre all’interno di un gruppo, e come “azione di gruppo”, in quanto affermazione di una identita’ politico-sociale, sia pure di natura sub-culturale. Si spiega allora come le armi della giustizia penale siano piuttosto spuntate nel reprimere i gesti antisemiti da stadio. La responsabilita’ penale e’ strettamente personale, dunque necessita l’individuazione di specifici indagati, cui possa attribuirsi l’avere detto o fatto qualcosa di natura antisemita, con puntuale identificazione: il che spesso, stante la concitazione della partita e la natura “corale” delle azioni illecite, non e’ semplice. Inoltre le norme applicabili non sono facilmente adattabili ai casi concreti e costituiscono un insieme farraginoso. L’elaborazione dei reati in tema di discriminazione parte dalla c.d. Legge Reale (n. 152/1975), prosegue con la c.d. Legge Mancino (n. 205/1993) modificata nel 2006, ed infine giunge al D. Lgs. n. 21/2018, che si e’ poi tradotto negli artt. 604 bis e 604 ter del Codice Penale. Il primo punisce chi propaganda idee fondate sulla superiorita’ o sull’odio razziale o etnico ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, o atti di violenza o provocazione alla violenza per i medesimi motivi; punisce altresi’ l’associazionismo avente tali finalita’; l’ultimo comma riguarda la negazione/minimizzazione della Shoa. Il secondo articolo prevede una circostanza aggravante (aumento fino alla meta’ della pena edittale base), applicabile a tutti i reati commessi con le finalita’ di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attivita’ di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le predette finalita’. Si tratta, come appare evidente, di norme aventi carattere generale, la cui interpretazione ha gia’ fornito problematiche giurisprudenziali, e la cui ravvisabilita’ ai casi in esame , ossia i comportamenti da stadio, appare non sempre agevole. Molto piu’ immediata, efficace ed incisiva si rivela la giustizia sportiva. Basti pensare alla identificazione dei responsabili degli illeciti, resa possibile dalla videosorveglianza dello stadio (specie negli impianti ove compete la serie A), con conseguente possibilita’ di denuncia alla Procura della Repubblica dei soggetti individuati (oltre che possibilita’ per il Questore di emettere il DASPO, provvedimento amministrativo preventivo che inibisce per il futuro la presenza nello stadio ed alle partite). Inoltre il Codice di Giustizia Sportiva della FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio) stabilisce alcuni punti fondamentali, che rendono ben praticabili i processi e la irrogazione di sanzioni: 1) l’ambito della sua applicazione a : societa’, dirigenti, atleti, tecnici, ufficiali di gara, e chiunque svolga attivita’ agonistica, tecnica, organizzativa, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale; 2) l’obbligatorieta’ per i predetti soggetti di osservare tutte le norme, ed in particolare i principi di lealta’, correttezza, probita’ in ogni rapporto comunque riferibile all’attivita’ sportiva; 3) la responsabilita’ della societa’ calcistica per i comportamenti dei suoi rappresentanti e componenti, tifoserie comprese. Vige dunque un sistema collaudato di responsabilita’ anche “oggettiva” delle societa’ . Queste pertanto ingaggiano per le partite “in casa” apposito personale (gli “steward”) con compiti di controllo ed intervento (ad esempio, rimuovere gli striscioni inopportuni o illeciti); gli steward sono “incaricati di pubblico servizio” con le conseguenze giuridiche che cio’ comporta. In occasione della partita (almeno per la serie A) vi e’ la sorveglianza di un Responsabile dell’Ordine Pubblico (dirigente di Polizia che governa un gruppo di sottoposti, poliziotti e carabinieri) , coadiuvato da tre incaricati della Procura Federale della FIGC, posizionati opportunamente per coprire le diverse visuali. Anche l’arbitro ha compiti di controllo: non solo perche’ sente direttamente le urla ed i cori ma perche’ viene informato delle condotte irregolari dai soggetti ora indicati e puo’ autonomamente decidere la sospensione temporanea della partita, mentre spetta al Responsabile dell’Ordine Pubblico la scelta della sospensione definitiva. Si tratta di decisioni la cui scelta e’ delicata perche’ foriera di ulteriori possibili incidenti, per cui spesso non vengono adottate, essendo preferibile esporre i fatti nelle doverose relazioni, ed applicare successivamente le sanzioni. Spetta infatti all’arbitro stilare il “referto di gara” in cui va precisato il “comportamento del pubblico” , cosi’ come la Procura Federale deve relazionare sia con riferimento al “pubblico” che ai “tesserati” della FIGC.
Le sanzioni, molteplici e diversificate tra societa’, dirigenti e soggetti tecnici, sono previste negli artt. 8, 9, 10 e 11 del Codice di Giustizia Sportiva (CGS), con gravita’ crescente, dall’ammonimento all’ammenda, alla chiusura della curva (e) da dove provengono i cori incriminati, fino, nei casi più gravi e di recidiva reiterata, a disputare alcune gare successive a porte chiuse, alle penalizzazioni/retrocessioni nel campionato e financo alla perdita della gara. Tali sanzioni possono essere temperate se la restante parte del pubblico si dissocia in modo manifesto o attua condotte utili ad impedire che i cori possano essere uditi (per esempio, fischiando contro i loro autori). Si valuta anche il comportamento fattivo, o meno, tenuto dai Dirigenti delle società i cui tifosi tengono tali condotte. Spetta al Giudice Sportivo decidere le sanzioni, sulla base delle relazioni ricevute e degli approfondimenti disposti. Le istruttorie relative ai casi di Firenze e Milano in inizio citati sono tuttora in corso, con l’apporto degli uffici DIGOS di riferimento, che conoscono i soggetti appartenenti a quei gruppi di tifoserie delinquenziali. E’ verosimile che portino alla identificazione di piu’ persone ma e’ altrettanto probabile che ne seguiranno conseguenze per le societa’ calcistiche interessate, che hanno espresso tifoserie chiaramente antisemite. Vi sono precedenti di ammende per varie decine di migliaia di euro, che dunque soddisfano, almeno sotto questo aspetto, le istanze di giustizia verso le sub-culture che si annidano nelle tifoserie. Ma poiche’ l’analisi sociologica dimostra che trattasi, appunto, di espressioni di sub-culture politico-criminali, e non gia’ di tifo calcistico, e’ assai dubbio che detti fenomeni potranno essere un giorno debellati: a meno di sopprimere quei gruppi, impresa ardua in un sistema legal-democratico.

Donatella Masia, magistrato