IC7 - Il commento di Giovanni Quer
Dal 15 al 22 maggio 2022
L’Iran non si ferma, avrà il nucleare
Il pericolo del nucleare iraniano si fa sempre più reale. Il ministro della difesa israeliano ha annunciato questa settimana che l’Iran ha ormai 60 kg di uranio arricchito al 60%, una quantità che basterebbe per creare un’arma atomica. La produzione di missili con testate atomiche sarebbe questione di settimane. Israele ha affrontato un simile pericolo in due casi precedenti. Il 7 giugno 1981, Israele porta a termine l’Operazione Babilonia, bombardando il centro nucleare ancora non completato di Osirak, a una ventina di chilometri a sud di Baghdad in Iraq. Il 6 settembre 2007, Israele compie un altro intervento militare, l’Operazione Bustan (frutteto), bombardando il centro nucleare a Dir a-Zohr in Siria. I due centri nucleari erano stati costruiti con aiuti stranieri (i francesi in Iraq e i nordcoreani in Siria), e la scelta militare era l’opzione più sicura per porre fine a un pericolo di sicurezza nel suo nascere. Come agire con l’Iran? La situazione è diversa. L’Iran ha le capacità, le conoscenze e le infrastrutture per creare armi atomiche, il che crea un problema a lungo termine, quindi anche un eventuale attacco a un centro specifico non porterebbe alla cessazione del processo di costruzione di armi atomiche. In secondo luogo, un’azione militare porterebbe a un’escalation regionale. Alcuni analisti parlano di un vicolo cieco in cui Israele si è venuta a trovare. In questi giorni, Israele sta compiendo l’esercitazione militare “Bighe di Fuoco”, congiuntamente alle forze americane, che intende preparare a una prossima guerra su tutti fronti, cioè Gaza, West Bank, i confini settentrionali con Libano e Siria, e con necessità di colpire obiettivi a grande distanza. L’indicazione all’Iran è chiara. Israele ovviamente non può decidere per proprio conto di colpire un obiettivo in Iran e una tale opzione potrebbe realizzarsi solo in conseguenza al consenso americano, ma è uno scenario molto improbabile con l’attuale amministrazione.
La prospettiva di agire di concerto ai nuovi alleati nella regione, cioè i Paesi arabi dell’asse anti-iraniano, sarebbe anche improbabile perché la cooperazione militare è appena agli inizi. Il regime iraniano continua imperterrito la politica militare, nonostante abbia seri problemi domestici. La crisi economica che soffoca la società iraniana, con l’aumento dei prezzi e i tagli ai sussidi, ha portato la popolazione a protestare in strada. In varie città gli scontri con le forze di sicurezza avrebbero causato almeno quattro morti - dalle notizie che trapelano. La popolazione continua a manifestare, con alcuni messaggi chiaramente anti-regime. Secondo i video che circolano nelle reti sociali, si sono visti slogan nella proteste a Mashhad con scritto: “Morte alla guida suprema". Le proteste esprimono anche la frustrazione in particolare dei giovani contro il regime. Proteste simili nel 2019 erano state soffocate nel sangue. Nonostante questo, il regime iraniano continua a investire nel militare. Martedì, il generale Mohammad Bagheri, Capo di Stato Maggiore iraniano, ha partecipato alla cerimonia di apertura di una fabbrica di droni a Dushanbe, capitale del Tajikistan. La fabbrica dovrebbe produrre i droni Ababil-2, con una capacità di sorveglianza e attacco a lunga distanza (circa 200 km). Il nome dato al drone deriva dal Corano: “Ababil” è uno stormo di uccelli menzionato nella Sura 105 (Surat al-Fil, la Sura dell'Elefante), che ha protetto la Kaaba alla Mecca sulla quale marciava Abraha con truppe di elefanti da guerra. I droni sono uno dei maggiori investimenti militari dell’Iran, la cui efficacia militare ha potuto sperimentare in Iraq, Siria e Yemen attraverso i propri alleati (Hezbollah e gli Houthi).
L’Iran intanto mette sotto pressione l’Europa. La settimana scorsa, i canali del regime islamico avevano dichiarato di aver fermato due spie straniere, rese note questa settimana: si tratta di due cittadini francesi, che sono accusati di instigare al caos e alla rivolta. Le “prove” fornite dal regime sarebbero immagini che li riprendono vicini agli insegnanti che hanno partecipato alle manifestazioni di protesta contro il caro vita e le condizioni di lavoro iniziate circa un mese fa. Di recente, altri due casi avevano creato una crisi diplomatica: lo scienziato svedese AhmadReza Djalali, condannato a morte dal regime per spionaggio, e l’antropologa francese Fariba Adelkhah, anche accusata di crimini contro la sicurezza dello stato e che sconta una pena agli arresti domiciliari. L’Iran usa le accuse di spionaggio contro cittadini europei certamente come arma politica di pressione, soprattutto nel contesto dei negoziati sul nucleare che non si vanno da nessuna parte. Se Israele ha sempre affermato che “tutte le opzioni sono sul tavolo”, nessuna opzione per ora sembra esser fruibile, con Teheran che fa a braccio di ferro con l’Europa e l’America che punta tutto sulla deterrenza. Ma il regime islamico non pare frenare le proprie mire militari nemmeno di fronte al grido della propria popolazione.

Giovanni Quer, ricercatore al Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies all'Università di Tel Aviv