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Informazione Corretta Rassegna Stampa
19.06.2021 Bela Lugosi, tra Marx e Dracula
Analisi di Diego Gabutti

Testata: Informazione Corretta
Data: 19 giugno 2021
Pagina: 1
Autore: Diego Gabutti
Titolo: «Bela Lugosi, tra Marx e Dracula»
Bela Lugosi, tra Marx e Dracula
Analisi di
Diego Gabutti

(da Diego Gabutti, Mangia ananas, mastica fagiani. Le Opere complete di Marx-Engels, vol. 1, WriteUp Books, in uscita a luglio)

Mangia ananas, mastica fagiani. Vol. 1: Dal Manifesto del partito comunista  alla Rivoluzione d'ottobre - Diego Gabutti | Punto Einaudi Brescia
La copertina

Strano a dirsi, ma neanche tanto, lo nominarono Commissario del popolo alle attività artistiche nel governo di Bela Kun. Era la primavera o l’estate del 1919 e il contagio bolscevico si diffondeva attraverso i boschi transilvanici come un’epidemia di vampirismo che nessuno spicchio d’aglio o paletto di frassino, per entrare subito in argomento, poteva contrastare. Budapest strimpellava le melodie dell’Internazionale moscovita con arrangiamento di violini tzigani e lui, Bela Blasko, un attore shakespeariano dai modi effettistici e cavernosi, già noto in tutta l’Ungheria per una sua interpretazione à sensation del Guglielmo Tell, sedeva fianco a fianco col filosofo György Lukács che, nelle vesti di Commissario del popolo all’istruzione, coordinava i lavori dei ministeri culturali e stava giusto spargendo inchiostro, nei ritagli di tempo, sulle pagine di Storia e coscienza di classe, il suo libro più caviar.

Bela Lugosi - Turner Classic Movies
Bela Lugosi

Anche Lukács, come Bela Blasko, poi Bela Lugosi nelle Americhe, nutriva una concezione leggermente enfatica e anzi melodrammatica dell’esistenza. Filosofo e vampiro, condizionati entrambi da una metafora più grande di loro, erano fatti per intendersi. Edgardo Franzosini, autore di Bela Lugosi. Biografia d’una metamorfosi, Adelphi 1998, si domanda se il futuro Conte Dracula cinematografico abbia mai letto quel passo di Marx, dove s’afferma che «il capitale è come un vampiro» e che esso, più ancora, «è lavoro morto che succhia lavoro vivo e, più ne succhia, più si ricostituisce». Di preciso non so, ma ne dubito. Nemmeno il governo consiliare di Bela Kun (il più sadomaso e draculesco tra i tiranni comunisti) aveva il potere di mutare un simile gigione, sia pure un signor gigione con lo sparato candido e il mantello nero, in un intellettuale azzimato dalle lenti cerchiate d’oro. Sappiamo come finì la rivoluzione ungherese del 1919. Clemenceau fece la voce grossa, l’Armata rossa si ritirò a Oriente, il Commissario del popolo alle attività artistiche, per non finire appeso per il collo a un lampione giallastro del Vermezo, il grande parco nel centro di Budapest, lasciò l’Ungheria per la Germania con un frac inappuntabile nella valigia di vitello. Non gli girava un copeco nelle tasche e aveva l’aria, più che afflitta, decisamente smunta e già quasi anemica. Ma quel suo speciale marxismo da mostro del vaudeville era ormai saldo come una roccia. Quando Bela Blasko giunse a Berlino, nel 1920, la capitale dell’effimera e permissiva Repubblica di Weimar era sparsa di manifesti a ogni angolo di strada. Molti inneggiavano agli ultimi resti della Lega di Spartaco, che aveva gettato i dadi dell’insurrezione quasi due anni prima, quando Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht avevano scontato i loro peccati con una palla nella schiena, mentre quasi tutti gli altri manifesti reclamizzavano il nuovo film di Wilhelm Friedrich Murnau, Januskopf, un magistrale gioco d’ombre liberamente tratto dallo Strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde di Robert Louis Stevenson.

Non è difficile capire come questa combinazione d’eventi, innestandosi sulla vocazione teatrale di Bela Blasko, ne abbia accelerato la metamorfosi in Bela Lugosi. Due anni prima, a Budapest, Bela Blasko aveva lavorato a un Casanova diretto da tale Alfréd Deésy. Era anche questo un segno che anticipava le sue mosse future. Bela Lugosi sarebbe stato infatti un Dracula per molti versi tirabaci, non puramente tenebroso e metafisico, a differenza dei corvini e orridi Nosferatu dell’espressionismo tedesco. Avrebbe dato vita, anche se qui l’espressione appare più che mai impropria, a un dandy emaciato e disfatto, lugubre e vagamente plebeo, simile a un grassoccio Ganimede della notte fonda più attento a non macchiarsi col sangue la camicia inamidata, che a gustare l’emoglobina delle fanciulle in fiore. Moltissime donne, in futuro, si sarebbero innamorate dei suoi bottoncini di madreperla e del suo papillon. Pare addirittura che due sue commedie, storie d’uomini lupo e di sceicchi arabi rappresentate a Broadway negli anni Venti, fossero protestate per la violenta ed eccessiva carica sensuale del protagonista. S’imbarcò a Trieste nel 1922, come addetto alle macchine, su un piroscafo diretto a New Orleans. Era sprovvisto del passaporto e, vuoi per evitare le domande imbarazzanti, vuoi perché già detestava la luce del sole, non saliva in coperta che dopo la mezzanotte. Ma scoppiò una tempesta in pieno oceano e quando lui emerse dall’ombra della stiva con gli altri inservienti, per vedere se non fosse il caso di continuare a nuoto, due passeggeri ungheresi lo riconobbero come loro connazionale, ma anche come agitatore comunista, e gli crearono tremendi fastidi col primo ufficiale. Niente da fare, però. Bela Blasko sbarcò a New Orleans, raggiunse Los Angeles in treno e qui, lavorando a lungo nel sottosuolo dei generici, poté infine cogliere la sua occasione. Fu vampiro transilvano, dunque conseguente col suo marxismo ungherese, più d’ogni altro attore al mondo. Chi lo scoprì? Fu il grande Tod Browning, naturalmente. L’ex assistente di D. W. Griffith in Intolerance e autore in proprio del leggendario Freaks, film tutto interpretato da soli fenomeni di baraccone, era già in odore di massimo maestro delle mostruosità in celluloide, e per l’appunto s’accingeva a girare un Dracula con Lon Chaney sr. che tuttavia, stroncato da un brutto male, morì poco prima dell’inizio delle riprese. Bela Blasko si fece avanti e con mossa fascinatoria, degna del vampiro, ipnotista e demagogo, ottenne la parte incaricandosi di convincere l’avida vedovella di Bram Stoker, autore di Dracula, ad accontentarsi di 40.000 dollari di diritti al posto dei 200.000 chiesti inizialmente. Non c’è da dubitare che Bela, all’occorrenza, sapesse essere convincente come un demonio. Ciò ben dispose Tod Browning nei suoi confronti. Dracula uscì nel 1931 e fu subito un successo planetario. E non finì lì. Durante una deforme e mostruosa carriera, Lugosi fu di volta in volta assistente del dottor Moreau, Mago Chandu, Ombra di Chinatown, confidente di Dupin nel delittuoso Affare della Rue Morgue, Scienziato Pazzo, Cannibale, non si può dire quante volte Dracula di Transilvania, e trascorse tutta la vita zigzagando tra raggi invisibili, gatti neri, notti di mostri, uomini scimmia, fantasmi di mezzanotte, occhi neri londinesi, figli di Frankenstein, zombies bianchi, diavoli innamorati, ladri di corpi e marchi del vampiro. Spaventò a morte, in un film del 1948, persino Gianni e Pinotto.

Col tempo, si dice, finì per credersi veramente un vampiro. Era entrato nel personaggio come l’innamorato che, per sedurre la bella propagandista dell’Esercito della Salvezza, si riduce alcoolizzato e in fin di vita. Si fece costruire una magione orrorifica, a Beverly Hills, con ragnatele alle pareti e bare foderate di velluto rosso nelle stanze degli ospiti. Andò sposo cinque volte, tutti i suoi matrimoni fallirono, però Franzosini assicura che egli amò soltanto una celebre donna pipistrello delle Ziegfield Folies. Fu tra i fondatori dell’Hungarian Antifascist Committee e organizzò una serie di spettacoli a sostegno della resistenza europea. Lavorò anche in abito da vampiro sotto i riflettori d’un locale chic di Las Vegas. Ma ormai era completamente flippato. Morì il 16 agosto 1956 in una clinica di Los Angeles. Aveva settantaquattro anni e a Hollywood, ormai, non era più nessuno. Spirò con parole molto chiare e forti. Disse soltanto: «Io sono il Conte Dracula, re dei vampiri, io sono immortale».

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Diego Gabutti

takinut3@gmail.com

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