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Informazione Corretta Rassegna Stampa
28.04.2021 'Spie di nessun paese', di Matti Friedman
Recensione di Giorgia Greco

Testata: Informazione Corretta
Data: 28 aprile 2021
Pagina: 1
Autore: Giorgia Greco
Titolo: «'Spie di nessun paese', di Matti Friedman»
Spie di nessun paese
Matti Friedman
Le vite segrete alle origini di Israele
Traduzione dall’inglese di Rosanella Volponi
Giuntina euro 18

“Travestirsi facendo finta di appartenere a un’altra cultura non è una strategia militare usata da generali raffinati, dediti alla vittoria, ma il metodo di sopravvivenza di un giramondo perseguitato che nasconde le sue origini per salvarsi la vita”. (Ben Nahum)


La copertina (Giuntina ed.)

I servizi segreti israeliani fin dalla loro nascita negli anni Trenta, prima ancora della creazione dello Stato ebraico, hanno ricoperto un ruolo di primo piano nella guerra che da molti anni Israele combatte con i suoi nemici, alternando grandi successi a tragici fallimenti. Precursore dell’intelligence israeliana fu l’organizzazione di spionaggio denominata NILI che operò per la liberazione della Palestina dal giogo ottomano e le cui vicende sono state ricostruite nel saggio di Anita Engle “Spie all’ombra della mezzaluna” (Dalai Editore, 2008).

In questi giorni arriva nelle librerie un saggio imperdibile “Spie di nessun paese” di Matti Friedman edito da Giuntina e vincitore del Natan Book Award 2018. Lo scrittore e giornalista israelo-canadese che vive a Gerusalemme con la famiglia racconta nei suoi libri e reportage la società israeliana e il Medio Oriente di oggi focalizzando l’attenzione sui legami che, nonostante il conflitto, esistono fra lo Stato ebraico e i paesi islamici che lo circondano. Il suo primo libro, “Il Codice di Aleppo”, (L’Ancora del Mediterraneo, 2012) è un’indagine avvincente e complicata sulla storia del Codice di Aleppo, il più antico manoscritto del testo masoretico della Bibbia ebraica. Nel suo ultimo saggio “Spie di nessun paese”, l’autore ricostruisce la storia di quattro fra le prime spie inviate nei paesi arabi, ebrei nati e cresciuti nei paesi musulmani che conoscevano la lingua e avendo vissuto a contatto con il nemico ne avevano assorbito la cultura, le tradizioni religiose e il modo di comportarsi. Identificati con il nome di mista’arvim, “quelli che diventano come arabi”, le spie facevano parte della Sezione araba (Alba), un’unità formata da giovani reclutati dalla dirigenza ebraica nei kibbutz o nei mercati affinchè si infiltrassero nei paesi nemici per svolgere attività di spionaggio e raccolta informazioni.

Questi gli eroi della storia: Gamliel Cohen (Yussef) nato a Damasco, Havakuk Cohen (Ibrahim) nato in Yemen, Yakuba Cohen (Jamil) nato a Gerusalemme e Yitzhak Shoshan (Abdul Karim) nato ad Aleppo. Delle quattro spie al centro della narrazione solo Yitzhak è ancora vivo, il combattente proveniente dai vicoli di Aleppo arrivato all’età di 93 anni che Friedman incontra nel 2011 al settimo piano di un palazzo di Bat Yam, per ripercorrere gli eventi che lo hanno visto protagonista insieme ai suoi compagni ancor prima della nascita dello Stato di Israele, nella consapevolezza – scrive Friedman – “che il tempo passato con le vecchie spie non è mai tempo sprecato”. E’ a Haifa, città abitata da arabi ed ebrei, oltre che porto di importanza strategica, che confluiscono nei primi mesi del 1948, in tempi e modi diversi, le spie protagoniste della storia. Gamliel è un elegante venticinquenne che risponde al nome di Yussef el-Hamed, parla un arabo impeccabile ma incappa ben presto in una brutta disavventura. In quei mesi di scontri sanguinosi fra arabi ed ebrei, nel momento in cui il mandato britannico sulla Palestina sta per terminare, tutti sospettano di tutti.

Gamliel è la spia più intellettuale del gruppo, refrattaria alla violenza e per questo destinata a raccogliere informazioni, appartiene alla Sezione araba, l’unità di intelligence che si serviva dei kibbutz e delle comunità agricole della pianura costiera come sedi di reclutamento e addestramento. Insieme a lui operano Yitzhak, Havakuk e Yakuba sotto la guida di un ebreo iracheno, Sam’an, che insegna loro come “essere arabi”: non devono solo parlare la lingua ma vestirsi e comportarsi come arabi per essere credibili e conservare intatta la copertura in caso di interrogatori da parte delle autorità arabe. Molte sono le azioni portate a termine dai membri dell’unità prima a Haifa e poi a Beirut. Ad esempio, nel febbraio 1948 Yitzhak e Yakuba scoprono nell’autofficina Abu Sham un camion “travestito” da ambulanza destinato a esplodere davanti a un cinema nel settore ebraico della città. Con un’azione degna di un romanzo di Daniel Silva le due spie neutralizzano la minaccia, servendosi di un espediente inimmaginabile e rischiando a loro volta di saltare in aria. Nel frattempo, Gamliel arriva a Beirut e prepara la strada per gli altri componenti dell’unità. Dopo la proclamazione dello Stato d’Israele, il 14 maggio 1948, e mentre gli stati arabi si preparano ad attaccare il neonato stato ebraico, inizia l’esodo di migliaia di arabi palestinesi verso i paesi limitrofi. Confondendosi con i profughi a bordo di un autobus che da Haifa ne portava alcuni in Libano, su ordine del Palmach, si infiltrano anche Itzhak e Havakuk, “l’osservatore”, esperto di trasmissioni radio codificate con il quartier generale di Tel Aviv.

A Beirut, dove hanno trovato alloggio, gestiscono un chiosco di panini, bibite e materiale scolastico di fronte ad una scuola, captano frammenti di conversazione, leggono i giornali arabi, ascoltano i sermoni nelle moschee, seguono i movimenti dei rifugiati palestinesi e poi riferiscono ai dirigenti di Tel Aviv passando le informazioni dal tetto di una casa dove hanno posizionato i collegamenti radio, nascosti nei fili del bucato. Nel raccontare la storia affascinante e tragica di giovani che spinti da un ideale, il sionismo, avevano rischiato la vita per il bene del paese, Friedman si cala con sensibilità anche nella dimensione umana di questi ragazzi. Oltre al racconto delle azioni temerarie e delle gesta coraggiose, la cui scoperta lasciamo al piacere e alla curiosità del lettore, lo scrittore si sofferma sui sentimenti che scaturiscono nei giovani nell’interazione fra loro e il mondo esterno.

Fra tutti emerge la nostalgia per la famiglia che hanno abbandonato per diventare i nuovi ebrei plasmati dall’immaginazione del movimento sionista; non manca la difficoltà di instaurare rapporti sentimentali con ragazze musulmane o cristiane perché inevitabilmente nulla può essere duraturo (fidanzamento, matrimonio) in una situazione sotto copertura. Yitzhak racconta all’autore la sua storia con Georgette, una ragazza cristiana che a distanza di tanti anni rimane un ricordo dolce, seppur malinconico. Fra gli agenti segreti di questa storia (ad esempio fra Gamliel e Yakuba) spicca anche una diversa percezione del ruolo di “spia” che porta a inevitabili conflitti fra chi, nell’approccio a un incarico ricevuto, vorrebbe perseguire un metodo più cruento, diretto e chi, invece, predilige una visione più cauta e attendista. Infine, privi di strumenti tecnici, con pochi soldi a disposizione le spie raccontate da Friedman appaiono lontani dalla professionalità messa in campo dal Mossad di oggi e, inviati in missione prima della nascita di Israele, furono veramente “spie di nessun paese” come recita il titolo del libro. Nelle ultime commoventi pagine del libro l’autore ci dà contezza di cosa accadde nelle vite familiari e professionali delle spie una volta tornate in patria: era la primavera del 1950. Avevano svolto con coraggio e abnegazione la loro missione ma trovarono un paese diverso da quello che avevano lasciato: la Sezione araba era stata smantellata in seguito a una riforma generale dei servizi d’intelligence del giovane stato, il Palmach non esisteva più, si andava però delineando una struttura con il nome generico di reshut (Autorità), in seguito sostituito con uno parimenti generico: l’Istituzione o “Mossad”. Scrive Matti Friedman: “Dei quattro personaggi al centro di questo libro tre invecchiarono nel paese che aiutarono a creare. Uno non ce la fece….Questo libro è dedicato a lui”.

Lontano dalle descrizioni sensazionalistiche che hanno nutrito una vasta letteratura di genere, questo saggio – che pone l’accento sulla complessità di un’identità che è al contempo araba ed ebraica – è basato sulle interviste dell’autore con Itzhak Shoshan e con altri, sui dossier dell’archivio militare d’Israele, sui documenti dell’archivio dell’Haganà, oltre che su testimonianze inedite di persone presenti allora. Con il ritmo avvincente di un thriller il libro ripercorre eventi realmente accaduti e ci restituisce il ritratto di una nazione che è stata in guerra in ogni momento della sua esistenza e che vede dipendere il proprio futuro dalla necessità di “conoscere” i suoi nemici, di prevedere le loro intenzioni e di contrastare i loro piani. “Spie di nessun paese” – che si concentra nei venti mesi cruciali per la nascita e la futura identità dello Stato ebraico, dal gennaio 1948 all’estate 1949 - è un omaggio a quattro vite straordinarie. Un libro che offre una visuale privilegiata sulle comunità ebraiche ed arabe presenti prima della nascita di Israele, consentendoci di comprendere meglio le dinamiche evolutive che hanno portato all’attuale società israeliana e gli sviluppi dei suoi servizi segreti.


Giorgia Greco

takinut@gmail.com

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