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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
04.03.2018 Il coraggio di fare del bene, il libro di Gabriele Nissim
Recensione di Giulio Busi

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 04 marzo 2018
Pagina: 32
Autore: Giulio Busi
Titolo: «Non dimenticare il giusto»

Riprendiamo dal SOLE24ORE-Domenica di oggi, 04/03/2018, a pag.32, con il titolo "Non dimenticare il giusto" la recensione di Giulio Busi al libro di gabriele Nissim "Il bene possibile" (ed.Utet)

Quest'anno l'Italia subentra alla Svizzera nella presidenza della IHRA (International Shoah Remembrance Alliance). Vedremo quali iniziative prenderà. IHRA viene spesso citata nelle analisi di Manfred Gerstenfeld, che IC pubblica in esclusiva.

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Giulio Busi

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La targa in memoria di Giorgio Perlasca a Yad Vashem,
Gerusalemme

Molti mestieri cambiano, si adeguano, si rinnovano. Chi potrebbe vantarsi di usare la tecnica e gli strumenti di 2500 anni fa? Forse non c'è tanto da gloriarsene, ma uno storico lavora sempre allo stesso modo, con un solo attrezzo. Il suo scalpello sono le domande. E il martello, altre domande, che battono e ribattono sullo stesso punto. Per vocazione, per dovere, per missione, lo storico ricerca, interroga le fonti, chiede ai testimoni, vuol vedere con i propri occhi. Historein, chiama Erodoto tutto questo instancabile inquisire. E perché, poi, darsi tanta pena? Non sarebbe meglio decidere una volta per tutte che il dossier delle risposte è abbastanza voluminoso? Perché ricominciare sempre daccapo, una generazione dopo l'altra, con febbrile inquietudine? Gli storici vorrebbero tanto cambiar lavoro, deporre i loro punteruoli aguzzi di dubbi. Ma è la storia che non dà pace, né a loro né a se stessa. E quando il nodo delle incertezze ègrosso e aggrovigliato, più fitte fioccano le domande, più difficili e stentate sono le risposte. Proprio nel mezzo della civile Europa, a una manciata di decenni da noi, c'è una voragine che sembra senza fondo. La Shoah è come un cratere che non si riempie mai. «Basta, se n'è parlato fin troppo». L'insofferenza serpeggia ormai da parecchio. Perché questa pagina della storia dovrebbe essere diversa dalle altre, che lentamente sono sbiadite, finite nei libri e uscite dalla vita comune? Che gli storici continuino pure, se vogliono, a farsi le loro domande accademiche. Ma che lascino gli altri liberi di andare oltre, scuotersi il peso di dosso, tornare alla normalità. Quale normalità? Che se ne dovesse parlare il meno possibile era già il programma degli sterminatori. Tanto fu chiassosa e roboante la propaganda antisemita quanto lo sterminio venne avvolto da un velo di cinico riserbo. Fare e non dire, ovvero uccidere e nascondere, cremare, negare, minimizzare. La normalità della persecuzione è il silenzio, l'indifferenza, la tacita approvazione. Martedì 6 marzo cade una doppia ricorrenza. Si celebra la Giornata europea dei Giusti e l'Italia subentra alla Svizzera nella presidenza dell'International Holocaust Remembrance Alliance (IH RA). Istituirecelebrazioni è relativamente facile. Può servire a sgravare le coscienze, a dare l'impressione che si è fatto abbastanza. Molto più difficile è attribuire un contenuto a queste date. Dar senso alle istituzioni preposte al ricordo è un compito infinito. La memoria collettiva non è in questo diversa da quella individuale, di ciascuno di noi. Va continuamente riempita, riattivata, controllata, poiché tende inesorabilmente a svuotarsi. L'IHRA è un'organizzazione internazionale, fondata nel 1998, che comprende 31 Paesi membri, io Paesi osservatori e 7 partner internazionali permanenti. Una struttura ampia, formale, ad alto livello, che ha lo scopo di aggregare e coordinare gli sforzi, affinché i governi e le guide sociali dei diversi Stati s'impegnino per l'istruzione, la memoria e la ricerca sulla Shoah. Poco nota al grande pubblico, ma importante nelle sue funzioni, l'IHRA serve insomma da strumento "riempi-memoria". La politica dispone e facilita. Ma chi agisce sul campo? La scuola, innanzitutto. Poiché sono i più giovani quelli che ancora non sanno, edè a loro, agli adultididomani, che dev'essere insegnato e ricordato. L'Italia è membro dell'IHRA dal 1999, e la presidenza del 2018 giunge in un momento particolarmente significativo. Ci sono voluti 80 anni perché la "macchia indelebile" delle leggi razziali del 1938 -come l'ha definita il Presidente Mattarella nel suo significativo discorso del 25 gennaio scorso - risaltasse finalmente in tutta la sua bruttura. È vero che la memoria tende di solito ad affievolirsi col tempo. Ma talvolta avviene il contrario. A distanza si ricorda meglio. E il nostro Paese deve prendersi ora la piena responsabilità delle ruberie, dei soprusi e delle tragedie causate dalla discriminazione razzista, voluta dal fascismo e accettata da gran parte degli italiani di allora, talvolta con entusiasmo, quasi sempre con colpevole indifferenza. Gli storici continuano imperterriti a porre i loro interrogativi. Troppo a lungo? Ci sono voluti otto decenni per dirsi chiaramente, o meglio per cominciare a riconoscere quello che è avvenuto. Ottant'anni per vincere la retorica consolatoria degli "Italiani brava gente" e del "ma da noi è stato diverso". È evidente che di spazio per domande scomode ce n'è ancora, eccome. il passaggio ufficiale delle consegne tra Svizzera e Italia, che avverrà martedì all'ambasciata del nostro Paese a Berlino, può valere come un piccolo, necessario passo su questa strada di presa di coscienza collettiva. Il bisogno di consapevolezza storica nasce anche dal carattere ibrido, a un tempo anacronistico e pseudo-moderno dell'antisemitismo e del razzismo. Èuna caratteristica già notata con acutezza da Victor Klemperer, nella sua LTI, la lingua del Terzo Reich, diario tenuto nei 12 anni di potere nazista. L'antisemitismo hitleriano fu una commistione di stereotipie accuse medievali e di apparente modernità, falsamente scientifica, unita a una gestione industriale delle uccisioni. Del resto, il nocciolo atavico, immutabile, legato al passato del pregiudizio e dei meccanismi di separazione razzista è lì, davanti ai nostri occhi anche oggi, pronto a ibridarsi con l'innovazione. Efficienza tecnologica dei lager di allora, velocità e moltiplicazione di post-verità digitali edi odio, ora. L'antisemitismoe il razzismo camminano all'indietro, con gli occhi fissi ipnoticamente a un'idea distorta di passato. Ed è per questo che bisogna ridirlo, il passato, per filo e per segno, come è stato nella sua verità fattuale ed emotiva. Senza stancarsi. Gli storici sonochiamati al loro mestiere vecchio di millenni. Ma ce n'è un altro, di mestieri, ancora più anticoedifficile. il mestiere di esseri umani.

Scheda: Il coraggio di fare del bene

IL LIBRO Il coraggio di fare del bene In 12 quadri, che contengono altrettante vite, parallele o isolate, Gabriele Nissim esprime la propria concezione di «Giusto». Già nel 1953, lo Stato d'Israele ha deciso di onorare i «Giusti tra le nazioni», ovvero coloro che, non ebrei, rischiarono la loro vita per salvare ebrei durante la Shook Il compito di verificare e attestare i meriti di questi testimoni di solidarietà disinteressata è affidato allo Yad Vashem di Gerusalemme, e si attiene a precisi criteri di attendibilità storica, che hanno finora portato a oltre 25000 riconoscimenti. Nel 2012, il parlamento europeo ha istituito il 6 marzo come Giornata europea dei Giusti, per rendere omaggio a quanti si sono opposti, con responsabilità individuale, a crimini contro l'umanità e al totalitarismo. È una definizione di «Giusto» che amplia, per estensione, l'originario legame con la Shoah, e lo traspone su di un piano molto più vasto. E vasto è anche il catalogo esemplare proposto da Nissim, che spazia tra gli insegnamenti del passato (da Socrate a Spinoza, da Hannah Arendt a Etty Hillesum) e figure emblematiche dell'attualità, come Faraaz Hussein, il giovane bengalese, musulmano, che durante un'azione terroristica dell'Isis, nel 2016, si rifiutò di abbandonare le proprie amiche e fu ucciso con loro.

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