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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
30.12.2010 Dall'Arabia Saudita si diffonde l'islam più radicale
grazie al canale televisivo Iqraa. Cronaca di Karima Moual

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 30 dicembre 2010
Pagina: 11
Autore: Karima Moual
Titolo: «Va in onda un Islam che non c'è»

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 30/12/2010, a pag. 11, l'articolo di Karima Moual dal titolo "Va in onda un Islam che non c'è".


Karima Moual,                             Iqraa, il canale Tv saudita

Il titolo del pezzo è scorretto. Sul fatto che sul canale arabo Iqraa venga propagandato l'islam più radicale anche nei Paesi più moderati, come il Marocco, niente da obiettare. Ma sostenere che l'islam propagandato da Iqraa non esista, che sia un 'islam che non c'è' nutriamo parecchi dubbi. E' l'islam che attecchisce soprattutto fra i musulmani emigrati in Occidente.
I governi europei credono che sia questo il modo migliore per tutelare la democrazia, permettere la diffusione dell'islam radicale in nome del multiculturalismo. Non è così. L'Olanda ne è l'esempio più lampante. Un tempo paradiso democratico aperto a tutti, ora luogo pericoloso per gli ebrei e per chiunque osi criticare l'islam. E' la stessa Olanda che ha mandato a processo Geert Wilders per il suo cortometraggio Fitna. L'islam radicale esiste al di là della diffusione della tv saudita Iqraa.
Ecco il pezzo:

«Iqraa mi ha cambiata. Ha cambiato totalmente il mio modo di essere musulmana nel mondo. Ma non ha riguardato solo me. Ha cambiato molte persone: amici, parenti e conoscenti. Il loro rapporto con la religione». Come? Rendendoli più osservanti che si può, proprio come vuole l'interpretazione più passivamente letterale dell'Islam. Quella che arriva direttamente dalla Mecca.

Jamila, 50 anni, marocchina, racconta con naturalezza che cosa ha rappresentato per lei Iqraa, il primo canale satellitare islamico, che trasmette in diretta dall'Arabia Saudita. Non sa che ci apre a un mondo. In poche frasi illustra il suo cambiamento radicale da musulmana normale a musulmana di nuova conversione. Esempi: «Ho sempre portato il velo e la jellaba, ma con molta libertà, come tante donne marocchine fanno tradizionalmente. Non facevo molta attenzione a come, indossarlo. Con Iqraa, i sermoni che ho ascoltato evidenziavano come fosse un grave peccato. I loro racconti sono entrati nella mia anima. Ho iniziato a metterlo molto più seriamente. Stavo attenta a mettermi le calze anche con i sandali perché fanno intravedere i piedi, a non mettere lo smalto, a pregare sempre in orario, a non ascoltare musica e film che non rispettassero i dettami religiosi. In 10 anni io e le mie sorelle siamo cambiate».

Per i musulmani di cultura medio-bassa, la stragrande maggioranza, Iqraa rappresentava e rappresenta la possibilità per la prima volta di entrare a conoscenza dell'Islam attraverso i dotti. Gli shuyukh e gli ulama, barba lunga, vestito tradizionale dei paesi del Golfo, raccontavano loro, direttamente dalla città santa del profeta, che cosa significasse essere musulmani, 24 ore su 24. Fonti troppo autorevoli per essere discusse, ma fonti che davano e danno un'interpretazione a senso unico dell'Islam: letterale, dura, estrema.

La nascita del primo canale televisivo islamico è datata al 1998. Sono passati più di 10 anni, da quando Jamila e i tantissimi altri spettatori di Iqraa hanno iniziato inconsapevolmente il loro percorso di reislamizzazione. Formando quella che possiamo chiamare "la generazione Iqraa". La generazione di un Islam che arriva da lontano ma che attraverso diversi mezzi, e non solo quelli di comunicazione, sta omologando tutti in un unico modello di pensiero. Il modello del musulmano "vero". Il musulmano ortodosso con barba e la musulmana con il velo sono quelli che più vengono proposti nei media: nelle tv come Iqraa, ma anche - paradossalmente - nelle televisioni e sulle riviste occidentali, che inseguono facili cliché.

Ma questa trasformazione e islamizzazione s'inserisce anche in quell'Islam-mercato che, soprattutto in questi ultimi anni, si è sempre più allargato in Occidente avendo grande successo tra gli immigrati musulmani e non solo. E non si tratta esclusivamente del cibo halal che abbiamo imparato a conoscere. Si tratta di uno spazio sempre più allargato che include musica, abbigliamento, cosmesi, hotel targati halal e molto altro. Uno spazio che ha come fine la formazione e la conservazione di un'identità nuova e separata da tutto il resto. Che si fortifica, dando poco spazio al dialogo, agli altri, alla pluralità e diversità d'interpretazione, alla dignità dell'uomo e alla parità dei sessi.

È un'identita che arriva da quella parte del mondo islamico dove è difficile dialogare. Dove la rivelazione come verità che si ha in mano si è fermata nel 632, data della morte del profeta, pur se gli edifici sono costruiti dai migliori architetti occidentali, i mall sembrano quelli di Manhattan e sotto gli abaya neri, che coprono i corpi delle donne, ci sono i vestiti dell'ultimo stilista parigino.

Il pluralismo dell'Islam - che per secoli si è distinto con le sue tante scuole giuridiche nelle diverse zone dove si è affermato, immergendosi nelle tradizioni e culture locali – rischia così di estinguersi. Lascia il posto alla separazione, all'intolleranza verso il diverso che si traduce anche nelle continue persecuzioni dei cristiani in alcuni paesi islamici. Colpa degli estremisti e d'interpretazioni arcaiche, che mettono all'angolo l'altro Islam, l'Islam "normale" che nel mondo arabo arretra e in quello occidentale fa fatica a essere riconosciuto e incoraggiato con la giusta autorevolezza. I paesi come il Marocco, che hanno attuato importanti riforme, invece di essere promossi come esempio hanno poco spazio nel dibattito.

Ed Husain, sul Wall street Journal, ha scritto: «Sono un musulmano moderato, anche se non mi piace che mi chiamino "moderato" perché in qualche modo implica che sono qualcosa di meno di un musulmano. Questa idea semplicistica e senza fondamento offre ai nostri nemici estremisti una vittoria di propaganda: infatti, essi si ergono come musulmani genuini».

Ecco allora che i musulmani "genuini" diffondono il niqab, il costume tradizionale dei paesi del Golfo, lungo nero che copre con l'abaya tutto il corpo, lasciando solo intravedere gli occhi. Un simbolo della reislamizzazione: lo troviamo indossato anche da donne maghrebine, nei loro paesi d'origine e in Europa, invece del vestito tradizionale che si chiama gellaba.

È l'Islam plurale che lascia il posto all'Islam unico e più tradizionalista. E ciò che più deve preoccuparci è la facilità con cui questo avviene soprattutto in Occidente. Qui l'Islam unico ha più successo perché c'è un territorio vergine: nello straniamento degli immigrati c'è un'interpretazione del credo che da lontano s'insinua, che stravolge gli usi e i costumi delle tradizioni, confondendoci tutti. È in fase di costruzione una nuova identità. Non conta se sei egiziano, berbero, libico o marocchino. La nuova identità è una sola, quella del nuovo e vero musulmano. Lo garantisce la Mecca. Anche se è difficile trovare immigrati sauditi.

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