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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
17.10.2010 Una bellissima biografia di Pico della Mirandola, di Giulio Busi
La recensione di Giovanni Pacchiano

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 17 ottobre 2010
Pagina: 33
Autore: Giovanni Pacchiano
Titolo: «Le mirabolanti avventure di Pico»

Giulio Busi, con il piglio dello storico e la leggerezza del narratore, ricostruisce le vicende biografiche di Pico della Mirandola, il grande umanista .
Sul SOLE24ORE ( DOMENICA) di oggi, a pag.33 con un articolo di Giovanni Pacchiano, dal titolo " Le mirabolanti avventure di Pico "
(Giulio Busi-Vera relazione sulla vita e i fatti di Gicvanni Pico conte della Mirandola- Aragno Editore-15 €)


Giulio Busi                Pico della Mirandola
 Gli uomini del corteo sono giunti alle porte di Arezzo, lasciando proseguire i carri. Sosteranno per la notte all'osteria di Porta San Laurentino. Poi, all'alba, eccoli di nuovo in viaggio, verso Cortona. Tuttavia il giovane capo della brigata e il suo servitore Cristoforo non partono: si dirigono invece verso il recinto del duomo vecchio. Lui ha l'aria del gran signore: elegante nella sua cappa rosata, foderata di panno verde; alto, robusto, una «chioma foltissima bionda e ricciuta». Il suo piano è ben preciso, portar via Margherita, la sua bella – «bella come non erano le più celebrate dame di corte» –, a un marito che lei non ama, simulando un rapimento. Non può certo, e non vuole, sposarla: lei non è un partito per lui. Nondimeno si è risolto a fare ciò che «cortesia comanda» e che nessun cavaliere riproverebbe. Perché «ogni cavallier che è senza amore, se in vista è vivo, vivo è senza core». Già, è anche poeta e legge i poeti, il bel signor conte. Margherita è lì ad aspettarlo. Ha perso la testa per l' amante, per il «corpo scolpito di dio» e la «mente acuta». Altro che quel mediocre nobiluccio del marito: un insulso dai modi grossolani. Tuttavia anche gli dei hanno le loro sfortune: mentre stanno ansiosamente raggiungendo i carri, ecco il frastuono, alle loro spalle, di cavalli al galoppo. Gli aretini. Non c'è storia: venti contro duecento. In un attimo sono accerchiati. Lei, vestita d'azzurro cielo, ripresa e riportata al tristo marito; lui, il gran signore, fortunosamente in salvo nel borgo di Marciano. È la fine di un amore. No, non siamo di fronte a un romanzo storico di pura fantasia, a un polpettone di quelli usa e getta. Sta di fatto che la ballata dell'avventura e dell'amore è una delle molte facce di un libro prezioso, Vera relazione sulla vita e i fatti di Giovanni Pico conte della Mirandola. Il suo autore, Giulio Busi, eminente specialista di misticismo ebraico, collaboratore di queste pagine. Convertito al romanzo? O, piuttosto, a una forma mista dove erudizione e dottrina, scrupolo filologico e piacere di narrare innovando si ritrovano mescolati. Risultandone una fisionomia arcaica, da cronista d'epoca che vede tutto e in dettaglio dall'esterno (non c'è scavo psicologico nel libro né ci vuol essere), e insieme moderna, una sorta di scuola dello sguardo rivisitata e corretta, e scrupolosamente attaccata alle fonti storiche: dove le fonti tacciono, tace anche lo scrittore. Non è un libro per lettori distratti. E però erudizione non equivale a noia: Busi segue con passione – e ci appassiona – le tappe salienti del percorso umano e intellettuale del suo personaggio, che è tra gli uomini più geniali del Quattrocento: forse quello dalla cultura più completa, umanista, filosofo, letterato e poeta, ricercatore di antichi manoscritti rari, amante delle arti, attratto dall'esoterismo. Dall'infanzia dorata nella corte dei Pico, agli studi universitari di diritto canonico e di filosofia, all'incontro con Flavio Mitridate, un bizzarro ebreo sapiente e cialtrone insieme, convertito al Cristianesimo e studioso del pensiero mistico ebraico, alla morte prematura, a 31 anni. Mentre, anzi, le vite del ricchissimo Giovanni e di Flavio, povero in canna e ramingo da un paese all'altro, si intrecciano nel romanzo a guisa di contrappunto. Ma il fuoco della storia di Pico sta qui soprattutto nell'impulso speculativo ed enciclopedico continuo, che lo porta alle sue celebri e all'epoca molto discusse Conclusiones, messe sotto processo da papa Innocenzo VIII: novecento proposizioni dove ha inteso raccogliere «tutto lo scibile» con un unico fine, la ricerca della verità, segno della dignità umana, in ogni dottrina e forma di pensiero. L'opposto del nostro fazioso oggi.

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