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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Messaggero Rassegna Stampa
26.10.2005 L’Iraq ha una sua Costituzione.
ma non sta bene dirlo ad alta voce

Testata: Il Messaggero
Data: 26 ottobre 2005
Pagina: 14
Autore: Vince la Costituzione, ma l’Iraq è diviso
Titolo: «Anna Guaita»
IL MESSAGGERO di mercoledì 26 ottobre 2005 pubblica un articolo di Anna Guaita teoricamente dedicato all'approvazione della Costituzione irachena
Lascia perplessi l’impianto dello stesso articolo, anche se la critica andrebbe estesa al modo con cui IL MESSAGGERO stesso ha scelto di riportare la notizia dell’approvazione del referendum costituzionale in Iraq. In prima pagina la notizia viene relegata ad uno specchietto informativo. Nessun editoriale, ma solo un articolo di mezza pagina di Anna Guaita nella sezione esteri, che risolve sbrigativamente la pratica in una manciata di righe, per poi passare a commentare gli attentati e a descrivere le gesta di Cindy Sheehan, la più famosa mamma-antiguerra degli USA, informandoci della sua decisione di volersi incatenare al cancello della Casa Bianca. Sono tutte cose importanti, certo, ma l’impressione è che la retorica del disincanto abbia finito ancora una volta per avvitarsi su se stessa ed accecarsi di fronte ad un evento di portata epocale, soprattutto per gli iracheni.

Ecco il testo dell’articolo:

NEW YORK - Dieci giorni per contare e ricontare i voti, e per controllare se le voci di brogli avessero seri fondamenti. E ieri finalmente la commissione elettorale indipendente dell’Iraq ha confermato che il referendum del 15 ottobre si è svolto correttamente, e che la Costituzione era stata approvata con il 79 per cento dei voti nazionali. La dichiarazione è stata confortata dalle Nazioni Unite, che hanno fatto sapere di aver seguito il processo elettorale e di averlo trovato «professionale e accurato». La notizia ha riscosso immediate reazioni di soddisfazione alla Casa Bianca, e non solo: messaggi di congratulazioni al governo iracheno sono arrivati dal Giappone, dalla Gran Bretagna, dall’Italia. Il presidente George Bush, che ha tenuto in tarda mattinata un discorso davanti alle mogli degli ufficiali impegnati in Iraq, ha entusiasticamente accolto il risultato del referendum come la prova che gli iracheni siano «determinati a resistere alla violenza e al terrorismo» e a porre «le fondamenta di una democrazia duratura».
L’approvazione della Costituzione apre la strada al prossimo importante passo sulla strada della democratizzazione dell’Iraq, il voto del 15 dicembre per le elezioni parlamentari. Ma gli esperti si chiedono se la Costituzione non avrà l’effetto di frantumare in tre parti questa Nazione che Saddam Hussein aveva tenuto insieme con la violenza e la repressione. La carta costituzionale concede infatti ampia autonomia ai curdi al nord e agli sciiti al sud, entrambi zone ricche di petrolio. Nelle regioni centrali, più povere e a forte presenza sunnita, c’è molto malumore, e infatti nelle tre province a maggioranza sunnita la Costituzione è stata rigettata. Se in tutte e tre il "no" avesse ricevuto i due terzi dei voti, la carta costituzionale non sarebbe passata. Ma il limite è stato raggiunto solo nelle province di Salaheddin e Al Anbar. Nella provincia di Ninive invece il "no" ha ricevuto solo il 55 per cento dei voti contro il 45 per cento. E così il piano ostruzionista dei sunniti è affondato e la Costituzione è diventata legge.
Le buone notizie sul referendum sono venute però mentre dal fronte iracheno continuavano ad arrivare anche cattive notizie. Proprio mentre cominciavano a trapelare i dati sul referendum, lunedì, si è avuto l’attentato contro l’Hotel Palestine di Bagdad, un attentato che è costato la vita a 17 persone, e che ieri è stato rivendicato dall’uomo di al Qaeda in Iraq, al-Zarkawi. Ieri poi ci sono stati ben tre attentati. Uno in territorio curdo, a Sulaimaniya, dove tre autobombe suicide hanno causato dieci morti. Un altro a Ramadi, dove una bomba nascosta lungo il ciglio della strada ha fatto saltare per aria l’auto su cui viaggiavano quattro uomini di una security privata statunitense: i quattro sono morti, ma i soldati Usa hanno arrestato undici sospetti. Infine, a Falluja, un convoglio militare Usa è stato colpito da una bomba, e due Marines hanno perso la vita. Con la loro morte, il totale dei caduti americani sul fronte iracheno ha superato quota 2.000. Questo numero è stato scelto dal movimento pacifista come un limite simbolico, intorno al quale stringersi in preghiera e proteste. Cindy Sheehan, la mamma di un soldato ucciso in Iraq, che negli ultimi mesi è diventata una leader del movimento pacifista, ha promesso di recarsi a Washington, di incatenarsi al cancello della Casa Bianca e di farsi arrestare, allo scopo di riportare sulle prime pagine il sacrificio di tanti giovani americani. La Sheehan insiste che la guerra in Iraq è stato un errore, e a quanto pare la maggioranza degli americani si è avvicinata alle sue posizioni: secondo l’ultimo sondaggio, il 61 per cento dell’opinione pubblica Usa pensa che in Iraq non si potrà vincere, e il 66 per cento pensa che Bush non stia conducendo la guerra in modo giusto.
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