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Il Messaggero Rassegna Stampa
27.04.2005 Sharon ha sempre torto, quindi Putin, in disaccordo con lui, ha ragione
opinioni politiche fondate sul pregiudizio

Testata: Il Messaggero
Data: 27 aprile 2005
Pagina: 16
Autore: Roberto Livi
Titolo: «Putin si fa spazio in Medio Oriente»
IL MESSAGGERO di mercoledì 27 aprile 2005 pubblica un articolo di Roberto Livi sulla visita di Vladimir Putin in Israele.

Ecco il testo:

Una visita storica? L’aggettivo, spesso abusato, è pertinente. La missione che Vladimir Putin ja iniziato ieri in Egitto e che lo porterà anche in Israele e nei Territori palestinesi rappresenta una svolta della politica mediorientale del presidente russo. Erano infatti quarant’anni che un leader del Cremlino non si affacciava sulle sponde del Nilo, mentre il faccia a faccia previsto tra Putin e Sharon a Gerusalemme non ha precedenti. Anche l’incontro con il presidente dell’Anp Abu Mazen a Ramallah avrà un forte valore politico. Quello di una Russia che vuole di nuovo contare in un area dove convergono interessi politici ed energetici e che non intende abbandonare all’egemonia americana a scapito dei propri alleati, Siria e Iran.
Il sostegno a dittature terroriste come quelle di Damasco e di Teheran viene qui presentato come una difesa dai progetti "egemonici" americani, secondo uno schema da guerra fredda.
In realtà la politica statunitense in Medio Oriente è oggi determinata dalla necessità di difendersi dal terrorismo. E’ semmai la disponibilità della Russia a intrattenere rapporti con gli Stati canaglia dell’area a rivelare ciniche ambizioni di potenza.

Proprio questi due paesi saranno evocati - e pesantemente – nel colloquio che lo zar russo avrà con l’uomo forte israeliano e che non si presenta certo facile.
"Uomo forte israeliano"? Sharon è un primo ministro democraticamente eletto, non un militare golpista, ed’è ad individui di quest’ultimo genere che si riferisce generalmente l’espressione "uomo forte". Si può osservare che anche il termine "zar" riferito a Putin è scorretto, ma almeno ha un riferimento alla storia della Russia e appare meno connotato negativamente di quello riservato al leader israeliano.
Di fronte a un indebolimento evidente in Libano – ieri le truppe siriane hanno completato il ritiro -


Francia e Germania chiedono, giustamente, che l’Onu verifichi sul campo l’effettività del ritiro.
e a un pesante isolamento seguito alla vittoria americana in Iraq,


Seguito anche al passaggio lungo il confine siro-iracheno di numerosi terroristi


Il presidente Bashar el-Assad ha rafforzato la propria alleanza con Mosca. Il Cremino l’ha ripagato riducendo drasticamente il debito siriano nei confronti della Russia e, soprattutto, con la promessa dell’invio in Siria dei missili SA-18.
La conferma l’ha data lo stesso Putin in un’intervista concessa al primo canale tv israeliano, dimostrando di non voler farsi intimidire dalle accuse rivoltegli da Sharon, ovvero che tali missili possano finire nelle mani dei "terroristi" libanesi Hezbollah.
L’allarme lanciato da Sharon non aveva evidentemente lo scopo di "intimidire" Putin, ma di rendergli noto quanto la sua scelta di vendere armi a un regime sponsor del terrorismo come quello siriano sia pericolosa per Israele e per gli equilibri mediorientali.
Le posizioni del governo israeliano devono però sempre essere presentate come espressione di prepotenza e arroganza.
Si segnalano le virgolette apposte alla parola "terroristi", riferita agli Hezbollah. Che ovviamente, per Livi saranno "guerriglieri", "miliziani" o "militanti" sciiti o qualche consimile amenità.

"Non avete nulla da temere" - ha risposto secco lo zar del Cremino – questi missili tattici si possono utilizzare solo su speciali veicoli e non a spalla ma, ha continuato, "serviranno egregiamente a mettere al riparo Damasco da incursioni aeree israeliane".
Altrettanto chiaro
Chiaro, deciso, difficile da "intimidire": così Putin è presentato da Livi, in modo che il lettore è portato a prestar fede alla dichiarazione del presidente russo.
Che è invece del tutto insoddisfacente: perché i terroristi potrebbero entrare in possesso anche degli "speciali veicoli" necessari a utilizzare le armi, o superare in altro modo il problema tecnico, e perché Israele non minaccia la Siria, semmai avviene il contrario, in primo luogo attraverso il sostegno di Damasco al terrore.
Si incoraggiano le aggressioni siriane anche diminuendo la capacità israeliana di rispondervi militarmente.

Putin è stato sulla questione dell’Iran, confermando che la Russia intende continuare a collaborare con l’Iran sul nucleare "pacifico" pur essendo decisa a impedire che si crei una nuova potenza nucleare a poca distanza dai suoi confini meridionali.




Il problema è però se tale limitazione dei progetti nucleari iraniani agli usi civili sarà possibile. Livi presenta la posizione di Putin in merito come un dato di fatto, molto scorrettamente.
Inoltre, va ricordato che l’atomica iraniana minaccerebbe Israele, non la Russia, per motivi sia militari che ideologici: è Israele non la Russia che gli iraniani vogliono distruggere, ed’è Israele, non la Russia che, una volta armatisi a sufficienza, potrebbero distruggere.

Sharon a sua volta potrà rispondere a muso duro su un altro tema scottante nei rapporti bilaterali con la Russia. Quello della richiesta di estradizione di Leonide Nevzlin, oggi il miglior azionista della Yukos, rifugiatosi in Israele due anni fa per non fare la fine di Kodorkovsky, l’ex patron della compagnia petrolifera che quasi certamente sarà oggi condannato a Mosca per truffa ed evasione fiscale.
Nessun cenno alle implicazioni politiche del processo a Kodorkovsky, e alla volontà di Putin di imporre un controllo politico sui principali poteri economici russi.
Così che Israele, per altro sulla base di una risposta che Sharon non ha ancora dato, sembri un rifugio di truffatori ed evasori fiscali.

Oltre alla questioni bilaterali Putin discuterà con il presidente egiziano Hosni Mubarak e con Sharon e abu Mazen la possibilità di rilanciare il ruolo di mediazione di Mosca non solo nell’eterna crisi tra Israele e palestinesi (la Russia fa parte del "quartetto" che sponsorizza il difficile processo di pace disegnato nella "road map") ma anche nelle crisi regionali, dall’Iran, all’Iraq e al Libano.
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