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Il Messaggero Rassegna Stampa
03.03.2005 Processare Israele disinformando
lo fa troppo spesso il quotidiano romano

Testata: Il Messaggero
Data: 03 marzo 2005
Pagina: 2
Autore: Claudio Rizza
Titolo: «Nasce il Piano Marshall per la Palestina»
A pagina 2 de Il Messaggero del 2005-03-02 Claudio Rizza firma un articolo dal titolo <>
A proposito del meeting di Londra per il sostegno alle politiche riformatrici di Ab Mazen nell’Anp, Rizza scrive:


Una passerella mondiale, che Israele ha disertato e cercato di surgelare il più possibile ma che s’è trasformata, inevitabilmente, proprio in ciò che Sharon voleva evitare: un pressing mondiale in favore della "road map" , un passaggio molto più politico che squisitamente economico, benedetto da Condoleezza Rice a nome di Bush.


L’inviato non considera per niente le ripercussioni subite da Israele dopo il recente attentato di Tel Aviv. Un attentato che ha visto il governo Sharon recedere da ogni possibilità di rappresaglia proprio in segno di fiducia verso il neo Presidente dell’Autorità Palestinese. Da qui a fare di Israele uno Stato che tenta di "surgelare" gli impegni internazionali per il sostegno alla pace in Medio Oriente il passo è grande. Inoltre Rizza non ritiene neanche opportuno fare un ragionamento più accurato: infatti riflettendoci un pochino si potrebbe immaginare che i ministri israeliani abbiano voluto "disertare" il vertice inglese per non mettere in difficoltà Abu Mazen davanti alle varie fazioni interne, molte delle quali considerano il dialogo diretto con la controparte un tradimento prima del definitivo ritiro delle forze militari dai territori occupati.

Continua Rizzo:

Abbas ha fretta di incassare gli aiuti economici promessi, che possono dare una prospettiva al suo popolo stremato dall’Intifada. Il numero dei lavoratori occupati è diminuito del 90%; i contadini devono chiedere il permesso agli israeliani per andare a coltivare le loro terre al di là del muro; i posti di blocco, fissi e volanti, impediscono di fatto il flusso regolare delle merci, che vanno in malora quando Israele chiude i confini. Il porto e l’aeroporto di Gaza vanno ricostruiti, solo così si metterà fine all’assedio israeliano. Abbas non a caso confessa: «I palestinesi sono assetati di pace e sicurezza. Metteremo ordine in casa nostra e realizzeremo i nostri impegni per il processo di pace»."

In primis sarebbe ora di cominciare a chiamare "il muro" con il suo vero nome. Un nome che deriva dal suo unico intento cioè quello di costituire una "barriera difensiva" contro i kamikaze. Assicuriamo noi l’inviato che nessuno mai in Israele avrebbe speso milioni di dollari per erigere una struttura divisoria senza che questa avesse un preciso scopo. Ci sembra che i terroristi suicidi siano una giustificazione più che buona e un fattore da non sottovalutare mai. Inoltre sarebbe utile non dimenticare, come al Messaggero abbiamo già ricordato, che sono due i popoli che soffrono e che tralasciarne costantemente uno non significa certamente dare una mano al processo di pace e alla mitigazione del senso di isolamento e incomprensione internazionale che il popolo israeliano sente attorno a se da troppo tempo ormai.. Anche in Israele i quattro anni di intifada hanno avuto ripercussioni economiche e sociali, ma questo non sembra avere poi molta importanza per i giornalisti italiani.
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