Voglio che sappiate che ci siamo ancora. La memoria, dopo l’Olocausto
Esther Safran Foer
Traduzione di Elisa Banfi
Guanda euro 18
“…non ci sono lapidi a indicare le tombe, ma almeno in queste pagine i nomi avranno un posto”
Sul certificato di nascita di Esther Safran Foer è riportata una data sbagliata e del resto anche la città e la nazione sono diverse. Una serie di informazioni non corrispondenti alla verità di cui è riuscita a venire a capo solo dopo molto tempo. “Ci ho messo anni a capire come mai mio padre si era inventato quelle bugie. E come mai, ogni anno, il 17 marzo mia madre entrava in camera mia e mi dava un bacio sussurrandomi: “Buon compleanno”. Cercare di ricostruire e mettere insieme i frammenti sparsi della sua storia familiare è stata l’impresa cui l’autrice ha dedicato la sua vita. Figlia di sopravvissuti alla Shoah, i suoi genitori erano restii a parlare del passato, come tutti quelli scampati all’immane tragedia del popolo ebraico, e per questo il viaggio, non solo metaforico, che Esther Safran Foer ha intrapreso l’ha portata a venire in contatto con vicende tragiche e complicate e a confrontarsi con persone dalle mille anime.
Per i Foer la memoria del resto è quasi un’ossessione. Ricorderete il fortunato romanzo del figlio di Esther “Ogni cosa è illuminata”, uscito nel 2002, in cui Jonathan racconta un viaggio in Ucraina immaginando di fare ricerche sulla vita del nonno vissuto nello shtetl di Trechinbrod, distrutto dai nazisti durante la guerra e poi, come è accaduto per altri villaggi abitati da ebrei, svanito dalle carte geografiche. Ma la memoria ha scandito anche la vita degli altri due figli: Frank, il maggiore, giornalista e storico che ha accompagnato la madre nel suo viaggio e Joshua che nel 2006 ha vinto il campionato mondiale di memoria con un libro intitolato “Ricordare tutto”. Per l’autrice è imprescindibile conoscere il passato, addentrarsi nelle sue radici per mantenere vivo il ricordo di chi non è sopravvissuto e per entrare in quegli spazi oscuri accuratamente celati dai suoi genitori. Non è facile farsi raccontare da un padre o una madre quello che ha passato negli anni della guerra. Ce lo ricorda Lizzie Doron, acclamata autrice israeliana, nei suoi romanzi tutti pubblicato da Giuntina e in particolar modo nel primo “Perché non sei venuta prima della guerra”. Genug, Basta! È quello che ripete la madre di Esther quando le pone troppe domande. Ciononostante Esther non demorde vuole sapere, pur nella consapevolezza che la conoscenza potrà portare anche sofferenza reciproca. Un giorno seduta con la madre nella cucina di una villetta anni Cinquanta in una via di case americane abitate prevalentemente da famiglie di sopravvissuti alla Shoah, cercando di conoscere la vita del padre e la sua esperienza durante la guerra, apprende quasi per caso che il padre aveva avuto una moglie e una figlia, assassinate nel ghetto mentre lui era al lavoro coatto. Una scoperta sconvolgente per Esther “…ero vissuta in mezzo ai fantasmi ….e adesso si aggiungeva un nuovo fantasma, di cui fino a quel momento non conoscevo neppure l’esistenza: mia sorella”. Per Esther prende avvio una ricerca che avrebbe segnato la fase successiva della sua vita e che la porta a compulsare archivi e data base on line, a ingaggiare investigatori in Ucraina e ad avvalersi di agenti dell’FBI fino a portare alla luce storie di parenti e conoscenti di cui ignorava l’esistenza o aveva perso le tracce e scoprire infine informazioni sulla vita e la morte di una sorella di cui non sapeva nulla fino a poco tempo prima.
Con una foto in bianco e nero che ritrae le persone che avevano nascosto il padre e una mappa disegnata a mano con l’aiuto della madre parte insieme al figlio Frank per ritrovare gli shtetl dove hanno vissuto i genitori e le tracce della sorella di cui non conosce il nome. Un viaggio nel tempo e nella memoria che le consentirà di ricomporre in un puzzle di persone, luoghi, sentimenti ed emozioni la sua identità frammentata ritrovando altresì le sue radici. Un viaggio che non si è concluso in Ucraina ma è proseguito nella stesura di questo magnifico memoir, dalla prosa scorrevole e avvincente come un romanzo. Perché leggere il libro di Esther Safran Foer? Prima di tutto per eludere il rischio che i ricordi di una delle pagine più buie dell’umanità si disperdano con la morte dei sopravvissuti e poi perché “La Memoria è personale, riguarda la propria vicenda familiare, le radici. Mentre la storia sembra sempre di qualcun altro. Eppure, quando le due cose si uniscono, entrambe acquistano senso. La memoria rende vera, concreta, la storia….quando ogni caso, ogni storia vengono raccontati attraverso le singole vicende di ciascuna famiglia coinvolta, ecco tutto torna ad acquistare un senso reale, appare vicino, si può toccare. Danno concretezza alla storia e dalla storia ricevono un contesto”.
Giorgia Greco