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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Io voglio vivere. Il diario di Eva Heyman - 31/01/2017

Io voglio vivere. Il diario di Eva Heyman
A cura di Agnes Zsolt
Traduzione e postfazione di Andrea Rényi
Giuntina Euro 15,00

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La copertina (Giuntina ed.)

“Piango sempre quando leggo di qualcuno che muore. Io non voglio morire, ho vissuto così poco!....Non ho paura, sono forte, sana. Farò la serva o la mietitrice. Ma sopravvivrò”.

Eva Heyman ha solo tredici anni ed è il giorno del suo compleanno quando il 13 febbraio del 1944 inizia a scrivere un Diario che si concluderà in modo drammatico pochi mesi dopo, il 30 maggio, con la sua ultima annotazione, prima di essere deportata nel campo di sterminio di Auschwitz dove il 17 ottobre troverà la morte per mano di Mengele, il medico nazista che “sceglieva chi doveva morire subito nella camera a gas e chi invece era stato condannato a vivere”.

Pubblicato per la prima volta nel 1947 dalla madre, la giornalista Agnes Zsolt unica sopravvissuta di tutta la famiglia, il diario di Eva Heyman che ora la casa Giuntina ripropone meritoriamente, arricchito da alcune lettere e dalla postfazione di Andrea Rényi, è la testimonianza lucida e commovente di una ragazzina “dal meraviglioso visino da mela, gli occhi luminosi che sprizzavano energia” che racconta con stile scarno ed essenziale le terribili condizioni di vita degli ebrei di Nagyvàrad – nome ungherese di Oradea, attualmente in Romania - e della sua famiglia. Fino a quando la sua giovane esistenza non viene travolta dalla ferocia nazista, Eva è una ragazzina sensibile e dolce, arguta e intelligente che frequenta con profitto la scuola e confida i suoi crucci alle amiche come tutte le ragazzine della sua età. Nel suo piccolo cuore, dove è spuntato il seme di un tenero sentimento d’amore, germoglia la fiducia in un futuro pieno di sole in cui immagina di diventare fotoreporter.

Insomma i sogni di quella meravigliosa età che tutti ricordiamo! Qualche tristezza alberga comunque nel cuore di Eva: i suoi genitori hanno divorziato e la madre risposatasi con lo scrittore ungherese Béla Zsolt ha preferito lasciarla a vivere con i nonni mentre lei e il marito si trasferivano prima a Budapest poi a Parigi. Sebbene la nostalgia per la figlia la riporti a vivere a Nagyvàrad, la piccola Eva percepisce che il marito viene sempre prima nel cuore della madre e si scopre a invidiare l’amica Anni i cui genitori la amano profondamente. (“Erano a casa anche i suoi genitori e lei correva da loro in continuazione per avere un bacetto. Non lo nascondo, mio piccolo Diario, che ho un po’ invidiato Anni…”). Nella casa dei nonni che posseggono una farmacia, nonostante alcune difficoltà nel rapporto con la nonna, fragile e debole di nervi, la vita di Eva trascorre serena e agiata malgrado la guerra, fino all’arrivo dei tedeschi il 19 marzo 1944. Dalle accorate annotazioni che Eva riporta quasi quotidianamente nel Diario, si apprende la radicale trasformazione che subisce la vita di questa bambina nel giro di pochi mesi: prima l’impossibilità per le domestiche cattoliche della famiglia, la cuoca Mariska e la bambinaia Juszti, profondamente affezionate a Eva, di lavorare a servizio di famiglie ebree poi l’internamento nel ghetto con il dolore nell’ abbandonare oggetti e ricordi di una vita breve ma intensa. Le pagine che seguono raccontano la sofferenza di una famiglia costretta a dividere pochi metri in un appartamento con decine di persone, la fame, il freddo, la mancanza di luce, oltre che il progressivo tentativo di annientarle nello spirito e nel fisico.

Fino al 30 maggio 1944 Eva Heyman registra tutto questo con lucida consapevolezza e, nonostante la paura, con la tenace speranza di avere salva la vita. L’ultimo giorno prima della deportazione nel campo di sterminio di Auschwitz la cuoca Mariska riesce a penetrare nel ghetto e a lei Eva consegna il suo prezioso piccolo Diario: “Mariska, lo custodisca con cura, proprio come Mandi. Non pianga Mariska, tornerò a casa, ce la farò, perché anche Lei, Mariska, sa che sono una ragazza molto forte”. Quanto intrepido e ammirevole coraggio nelle parole di una ragazzina! Prima che la Shoah, su imposizione sovietica, diventasse un argomento tabù nei paesi dell’Est il diario di Eva Heyman, custodito in quegli anni dalla fedele cuoca Mariska, viene pubblicato nel 1947 dalla mamma Agnes scampata allo sterminio insieme al marito grazie al cosiddetto “treno Kasztner”: Rudolf Kasztner fu un giornalista ebreo ungherese che durante la seconda guerra mondiale guidò il Comitato per l’Aiuto e il Soccorso, la cui storia è ampiamente documentata nel bel saggio di Anna Porter “Kasztner’s Train, The true story of an unknown hero of the Holocaust” (Walker & Company, New York).

In quell’anno vede la luce anche il diario di Anna Frank a cura del padre Otto e al di là delle indubbie affinità (il giorno di inizio che è il tredicesimo compleanno delle ragazze e la fine a due mesi di differenza, nell’estate del 1944, prima di essere deportate) i due Diari conservano a distanza di oltre settant’anni un profondo valore documentale che ancora oggi scuote la coscienza del lettore dinanzi a una tragedia immane che non ha risparmiato neppure i bambini, le creature più innocenti e fragili che si possa immaginare. Con la lettura di queste pagine, drammatiche nei contenuti ma intrise di profonda umanità, assumiamo un ruolo imprescindibile: quello di testimoni e portatori di un messaggio per le generazioni future: “Zakhor. Al Tichkah” Ricorda. Non dimenticare. “Di questa voce, noi serbiamo nella memoria la vibrazione fiduciosa e serena, la bontà coraggiosa che ha superato la morte” (N.G.)

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Giorgia Greco


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