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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Yotam Ottolenghi, Sami Tamimi - Jerusalem - 23/02/2015

Jerusalem
Yotam Ottolenghi – Sami Tamimi
Bompiani euro 35

Il couscous? Da quando c’è lui in circolazione, non ha più lo stesso significato (e sapore). Ne sono consapevoli le londinesi bene che in pellegrinaggio si danno appuntamento nel piccolo locale bianco candido di Notting Hill, al 63 di Ledbury Road. Tavolone unico, buffet esotico, spazi ridottissimi, e persino niente bagni comuni. Ma tutto è accettabile pur di riuscire ad assaggiare una delle sue sweet potato cakes, un hummus, o magari un’insalata di cavolo rosso con cumino. Anzi. L’effetto è che è quasi impossibile andar via dal negozio senza il desiderio di procurarsi un ingrediente da portarsi via per poi provare a rifarlo casa. Lo chiamano «Ottolenghi effect, effetto Ottolenghi». Se le parole paprika, tahini e za'atar sono sulla nostra lingua così come pepe e sale, e figurano come ingredienti chiave in cucina, l’uomo che dobbiamo tutti ringraziare è lo chef Britannico-israeliano Yotam Ottolenghi. Per critici, food writer e giornalisti è lui il principale motivo per cui le vendite di ingredienti che arrivano dal Medio oriente e dal Mediterraneo sono venuti alla ribalta. Per dire, bottiglie di melassa di melograno, a 6,99 dollari, stanno sparendo dai supermercati inglesi: se prima si consumavano 20 mila bottiglie l’anno arrivate dal Libano ora siamo a 5 volte tanto. Prodotti che non sono più classificati come «esotici», e dunque da maneggiare con cura. Ma come punti fermi delle ricette di ogni giorno. Anzi, delle ricette che vengono rifatte a casa o proposte nei ristoranti. Da Londra a Sidney, da Roma a Mosca. Spiega bene Nathan Sasi, capo chef del Noman a Surry Hills, in Australia: «L’effetto Ottolenghi? Lo vedete tutto nel mio piatto di haloumi servito con zucchine grigliate». Certo, il merito va anche alla mediaticità di Ottolenghi: i suoi tv show come «Jerusalem on a Plate» e «Mediterranean Feas» sono seguitissimi. E apprezzati dal pubblico pop ma anche da quello foodie/hipster. Una trasversalità che è forse da ricercare nell’aver saputo interpretare in chiave occidentale la cucina orientale. Non era facile. Perché in paesi come la Gran Bretagna, la Francia o gli Stati Uniti al cibo etnico ci sono abituati. Quasi assuefatti. Conquistarli era impresa al limite dell’impossibile. Ma questo ragazzo alto, bruno e sorridente di 45 anni, c’è riuscito. Divenendo uno degli chef più seguiti del Regno Unito, ma anche in giro per il mondo. Inutile dire che ogni suo libro è un bestseller. Ottolenghi: the cookbook . Jerusalem .

E mentre nelle librerie inglesi figura già come grande successo editoriale Plenty more , da noi in Italia dopo la versione italiana di Jerusalem arriva in questi giorni Plenty , sempre per Bompiani. Sono 290 pagine dedicate alle ricette che meglio rispecchiano il filone principale della cucina di Ottolenghi, il neovegetarianesimo. Quella stessa tendenza che nella sua rubrica omonima sul Guardian , The new vegetarian , Ottolenghi declina ogni settimana attraverso ricette che sanno come poche esaltare cereali e verdure in modo originale. Un’insalata di Ottolenghi non è un una semplice insalata. È un modo di essere mangiando. «Io — racconta Ottolenghi — pur non essendo vegetariano sono diventato famoso proprio per le mie preparazioni. Essendo cresciuto in Israele e in Palestina ho grande confidenza con l’enorme quantità di verdure, legumi e cereali vero vanto delle cucine mediorientali. A me piacciono la carne e il pesce, ma so che posso cucinare facendone tranquillamente a meno. Le zucchine di mia nonna marinate nell’aceto, o i fichi maturi con il formaggio pecorino che pappavamo prima di pranzo, li considero sostanziali quanto qualunque pezzo di carne». E dunque Plenty è proprio la raccolta degli ultimi quattro anni della rubrica del Guardian . Destinate soprattutto a un gruppo crescente di opinione che Ottolenghi chiama «i vegetariani pragmatici: più per la riduzione che per l’eliminazione delle proteine animali». Gente per cui, ora come ora, preparare i suoi ravioli di limone con formaggio di capra può valere molto di più di un bell’abbacchio.

Angela Frenda - Corriere della Sera


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