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Diego Gabutti
Corsivi controluce in salsa IC
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Breve storia della CIA letteraria 25/06/2020
Breve storia della CIA letteraria
Raccontata da Diego Gabutti

I giorni del Condor - James Grady - eBook - Mondadori Store
James Grady, I giorni del Condor, Mondadori 2020, pp. 1132, 14,90 euro, eBook 13,99 euro.

Quando uscì il film, nel 1975, la CIA cominciava a essere guardata con sospetto, mentre fino a pochi anni (e forse addirittura pochi mesi) prima era una sorta di Justice League da fumetto: il distintivo sotto il bavero dei «buoni». Succedeva sui giornali, dove gli echi del Watergate non si erano ancora spenti e l’umiliazione, seguita alla débâcle americana in Vietnam, era come un’ombra a lato d’ogni notizia – un trauma esistenziale e politico che si riverberava ovunque, fiction compresa. Tratto da un romanzo di James Grady, ai tempi ventiquattrenne, I tre giorni del Condor di Sidney Pollack, un film semplicemente perfetto con Faye Dunaway e Robert Redford, cambiò il volto delle spy stories. Non si capì da dove né perché fosse partito il segnale. Ma d’un tratto, al cinema e nei romanzetti, i nemici non erano più il KGB o la Spectre, come nelle storie di Ian Fleming e nei film di James Bond, e nemmeno Cosa nostra, come nelle prime inchieste giornalistiche (pura fiction anche quelle) sulla morte di JFK a Dallas. Dopo il Condor, che incarnò lo spirito del tempo e trasformò l’entertainment in una versione dapprima controculturale e poi radical chic dell’engagement, per romanzieri e sceneggiatori cinematografi non ci fu più altro da aggiungere: dietro ogni recente capitombolo americano (dal Watergate al boom dell’eroina, dall’ultimo elicottero in fuga da Saigon alla crisi petrolifera) c’erano la CIA (e se non la CIA, allora «la CIA dentro la CIA», come spiegava il Condor, con i suoi modi da saputello fascinoso, nel film di Sidney Pollack). Era la CIA il grande nemico. Spectre e KGB, al confronto, erano ingenuotte gang di quartiere, come nei Guerrieri della notte (il grande film di Walter Hill) o nei Ragazzi della Via Pal. Qualunque cosa capitasse, c’era un solo colpevole: la CIA. Dopo il Condor di Grady e Pollack – che aveva dato forma a un’idea che circolava da tempo nell’aria – la fiction debordò nella cronaca, fino ad occuparla come una sorta d’esercito nemico. Per capirlo suggerisco di leggere la stampa italiana dell’epoca: la CIA aveva ucciso Aldo Moro, era stata la CIA a impedire che il PCI stravincesse tutte le elezioni dal 1948 in avanti (come meritava, almeno secondo Repubblica e l’Unità) truccando le urne e impillolando gli elettori, c’era la CIA dietro ogni tentativo di golpe cileno (o venezuelano?) in Italia (per capire che cosa fosse il golpismo italiano, e quali ne fossero i protagonisti, consiglio di scaricare da Internet una copia di Vogliamo i colonnelli, magistrale film di Mario Monicelli). CIA Über Alles. Non la mafia, ma la CIA, il servizio segreto degli Stati Uniti, era la vera «piovra». E che cosa difendeva la CIA se non l’american way of life, cioè il sistema capitalistico, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, l’Occidente corrotto e razzista (nonché antifemminista, omofobo e islamofobo, anticomunista, filoisraeliano). Tempo al tempo, e la fiction sulla CIA, dopo essersi allargata dal Condor alla cronaca giornalistica e alla saggistica storica, subì un’evoluzione, come capita ai virus e all’alta moda. C’è L’ombra del Condor (così s’intitola il sequel, praticamente illeggibile, del primo Condor) dietro il politically correct, dalle forme ancora relativamente innocue descritte da Robert Hughes nella Cultura del piagnisteo (Adelphi, 1994) all’horror del #meToo e dell’abbattimento delle statue di Cristoforo Colombo, del Generale Lee, di Winston Chrchill e (non sembra vero) di Indro Montanelli. Senza che James Grady e Sidney Pollack lo sapessero, e senza che nemmeno lo sospettassero, è giù per li rami del primo Condor, della cultura dei sixties e dei seventies, della criminalizzazione degli USA, delle sinistre banalità sinistroidi sulla natura del capitalismo, che discende ogni disastro: censure, vandalismi, imbecillità diffusa e incoraggiata. Esce da Mondadori, per venire a questo, I giorni del Condor, volumone (oltre mille pagine) che raccoglie tutte le storie del Condor, dal romanzo che ispirò il film nel 1975 ai seguiti, uno (senza offesa) peggio dell’altro. Grady, come talvolta capita, si è rivelato il romanziere d’un romanzo solo (come si dice). Un solo libro seguito da sempre più fiacche e vaghe variazioni sul tema, con una sola eccezione: Mad Dogs, un divertente romanzo del 2007, dove i pazienti d’un manicomio segreto della CIA – traumatizzati da orribili esperienze sul campo, che sfuggono ai loro incubi solo grazie ai farmaci che gli vengono somministrati – devono fuggire dal manicomio per sventare un complotto (manco a dirlo) interno alla CIA sperando di non sballare lungo la strada. Nei Giorni del Condor ci sono anche sei racconti inediti, dove un Condor ormai in età da pensione parla come un maestro zen da operetta («metti la cera, togli la cera», tipo il mantra di Karate Kid). Io li ho letti tutti, un sequel dopo l’altro, solo perché sono sempre stato dell’idea che son tutti buoni a leggere soltanto libri belli; è con i libri brutti che uno mostra il suo sprezzo del pericolo.

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Diego Gabutti

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