venerdi 19 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






 
Giuliana Iurlano
Antisemitismo Antisionismo
<< torna all'indice della rubrica
Il sionismo senza Sion, prima di Israele 05/11/2017
 Il sionismo senza Sion, prima di Israele
Analisi storica di Giuliana Iurlano

Immagine correlata
"Se lo vorrete, non sarà un sogno"

È noto come Theodor Herzl – nel suo spasmodico tentativo di dar corpo al movimento sionista – avesse inizialmente appoggiato la proposta inglese dell’Uganda, cosa che provocò, nel 6° Congresso Sionista del 1903, una spaccatura tra i palestinocentrici e i territorialisti della Jewish Territorialist Organization (ITO). Questi ultimi, proprio negli Stati Uniti, trovarono uno dei maggiori canali operativi, grazie al sostegno dei leader della “diplomazia umanitaria”, preoccupati, tra l’altro, di contenere l’enorme flusso migratorio di ebrei dall’Europa orientale.
Nel successivo Congresso di Basilea – Herzl era già morto a soli 44 anni l’anno precedente – si fronteggiarono i due gruppi: i sionisti russi di Menachem Ussishkin, autoproclamatisi Zionèi Zion (i “sionisti di Sion”), che premevano per il rigetto della proposta britannica, e il gruppo di Israel Zangwill, che invece si batteva strenuamente perché venisse accolta. Zangwill – il noto drammaturgo ebreo inglese, autore di The Melting-Pot: Drama in Four Acts (1909) – si sentiva l’erede del sionismo politico herzliano e sosteneva che “Sion senza il sionismo è un completo inganno. Si consideri la situazione di 80.000 ebrei già in Palestina. La mera terra non li rende certo santi se a loro manca il vero spirito ebraico. [...] No, meglio il sionismo senza Sion che Sion senza il sionismo”. La ITO, insomma, guardava al di là del luogo e considerava il fondamento nazionale nel popolo, in quella che già Isaac Mayer Wise aveva definito come nazionalità “portatile”. Ecco, allora, gli “itoisti” darsi da fare per cercare una “ITOland” adatta allo scopo e, in questa affannosa ricerca, si incontrarono con le esigenze di Jacob Schiff e del suo American Jewish Committee (AJC), che si preoccupava di coordinare le pressioni politiche da parte di Washington per tutelare gli ebrei d’oltremare.
Da questo “incontro” nascerà il “progetto Galveston”. L’idea di base era quella di gestire l’immigrazione russa attraverso una ricollocazione in zone meno affollate degli Stati Uniti, ma – al contrario dei territorialisti di Zangwill, che sostenevano anche l’autonomia politica dell’insediamento ebraico – Schiff, invece, riteneva necessario che l’ebreo conservasse sì la sua identità, ma non in maniera “separata”. Alla fine, l’accordo finale fu raggiunto nel 1907: esso prevedeva che la ITO gestisse la parte europea del progetto, sia propagandando la scelta di Galveston, nel Texas, come punto d’arrivo per gli ebrei che avessero voluto emigrare, sia occupandosi del loro trasferimento a Brema, in Germania, in attesa dell’imbarco sul piroscafo che li avrebbe portati a destinazione. Si sarebbe trattato di un “continuous journey”, proprio per evitare che gli emigranti ebrei si fermassero nel luogo d’arrivo. Ma, nonostante la minuziosa preparazione, il piano Galveston non ebbe vita facile per una serie di ragioni. La grave crisi finanziaria e la conseguente recessione in cui precipitarono gli Stati Uniti subito dopo l’arrivo dei primi newcomers fece diminuire notevolmente la domanda di lavoro da parte delle comunità locali disponibili ad assumere gli ebrei; a ciò s’aggiunse la chiusura forzata delle basi ITO russe da parte delle autorità zariste, che le dichiararono illegali e, a partire dalla metà del 1910, i sussulti nativisti e le proteste degli “old stock Americans” fecero il resto, mettendo definitivamente in crisi il Galveston Movement, che, con lo scoppio del primo conflitto mondiale, terminò irreversibilmente la sua esperienza. Degli oltre 800.000 immigrati ebrei che si stabilirono in America tra il 1907 e il 1914, i “galvestoniani” che scelsero la “via dell’Ovest” – e che ravvivarono, con la loro presenza e il proprio dinamismo, le piccole comunità locali – furono circa 9.000. Il resto, però, preferì le grandi metropoli della costa orientale, con la loro yiddishkeit: per loro, come ha scritto Bernard Marinbach – la “vera America” era New York e l’America senza New York era un po’ come il sionismo senza Sion, un movimento privato della sua principale attrazione.


Giuliana Iurlano è Professore aggregato di Storia delle Relazioni Internazionali presso l'Università del Salento


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT