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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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L’amministrazione Biden e la ‘soluzione dei due Stati’ 10/09/2022
L’amministrazione Biden e la ‘soluzione dei due Stati’
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)



Joe Biden

Mercoledì scorso, l'ambasciatore americano Thomas Nides, durante un incontro con i rappresentanti della stampa estera a Gerusalemme, ha dichiarato: “Una soluzione a due Stati per il conflitto manterrebbe Israele nella sua veste di Stato ebraico e democratico”.                                           

Gli europei sono entusiasti. Dopo l’intermezzo dell'amministrazione Trump che non aveva fatto dei palestinesi una priorità, sembra che la Casa Bianca di Joe Biden sia rinsavita. Del resto, la posizione assunta dall'ambasciatore non ha sorpreso nessuno. Lo scorso marzo lui aveva già espresso la sua contrarietà allo sviluppo di insediamenti “che lo rendono furioso” e che trova “stupido” perché mette in pericolo la soluzione dei due Stati.  Insomma, il serpente marino sta per riemergere.  Perché, come per questo animale mitico, non sappiamo come potrebbe essere questo Stato palestinese tanto desiderato. Si evocano “i confini del 1967” ma questi
non sono mai esistiti. Prima della Guerra dei Sei Giorni, le linee di cessate il fuoco del 1949 separavano Israele dalla Giudea e dalla Samaria, dove secondo il piano di spartizione delle Nazioni Unite sarebbe nato uno Stato arabo, ma che erano state occupate e annesse alla Transgiordania, che aveva poi preso il nome di Giordania, un Paese ancora in guerra con il suo vicino.

La Striscia di Gaza, proprio lei, era stata invasa dall'Egitto, che si è ben guardato dall’annetterla.
Tuttavia, subito dopo la Guerra dei Sei Giorni Israele aveva teso la mano ai suoi aggressori e si era offerto di restituire i territori conquistati in cambio della pace. Ma a Khartoum il 1° settembre 1967, la risposta fu un triplice categorico no : nessuna pace con Israele, nessun riconoscimento di Israele e nessun negoziato con Israele.  
E’ la solita vecchia storia, mi direte. In seguito, il 22 novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva votato la famosa risoluzione 242.  Sottolineando nel suo preambolo “l'inammissibilità dell'acquisizione di territori con la guerra” – ci si domanda perché tale argomento non sia stato sollevato quando ci fu l'annessione della Giudea e della Samaria – la risoluzione chiede “il ritiro delle forze armate israeliane dai territori occupati nel corso del recente conflitto.” Questo testo viene citato spesso ma generalmente viene ignorato il seguito: la risoluzione richiede “la fine di qualsiasi rivendicazione o stato di belligeranza, il rispetto e il riconoscimento della sovranità, dell'integrità territoriale e dell'indipendenza politica di ciascuno Stato della regione e del suo diritto a vivere in pace entro confini sicuri e riconosciuti, liberi da minacce o da atti di violenza. »

La domanda che sorge, oggi come ieri, è sapere se un eventuale ritiro di Israele e la creazione di uno Stato palestinese soddisferebbero questi requisiti. Purtroppo è lecito dubitarne.
I leader palestinesi hanno respinto ogni piano di pace presentato da Israele, sia dal laburista Ehud Barak che dal Primo Ministro del Likud, Ehud Olmert.
La negazione dell'esistenza di Israele in quanto Stato ebraico è una costante della politica dei leader di Ramallah, così come la volontà di distruggere questo Stato è una costante della politica di Hamas.

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Michelle Mazel

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