Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Il Museo Nazionale della Bosnia Erzegovina devolve il ricavato alla causa palestinese. E in questo modo riapre anche una vecchia ferita con la comunità ebraica, che venne sterminata da volontari bosniaci delle SS (reclutati dal Gran Muftì di Gerusalemme). In Bosnia, a maggioranza musulmana, non hanno ancora fatto i conti col passato. E pur avendo fatto personalmente i conti con una pulizia etnica per mano dei serbi, non sanno distinguere una guerra al terrorismo da una pulizia etnica?
Nel marzo del 1992, da giovane giornalista desideroso di lasciare il segno con un entusiasmante incarico all'estero, visitai la capitale bosniaca di Sarajevo, proprio alla vigilia della brutale guerra durata tre anni, che lacerò l'ex repubblica jugoslava. A differenza degli altri giornalisti occidentali in città, alloggiavo lì presso alcuni parenti del mio defunto nonno, discendente di ebrei spagnoli giunti nei Balcani sotto il dominio ottomano, dopo essere stati cacciati dall'Inquisizione del XV Secolo.
Una mattina, a colazione, il cugino di mio nonno, veterano dei partigiani comunisti durante la Seconda Guerra Mondiale e professore presso la facoltà di medicina dell'Università di Sarajevo, volle aggiornarmi sulla situazione. La leadership serbo-bosniaca, disse, era composta da bugiardi patologici di cui non ci si poteva fidare. Mi raccontò che la settimana precedente aveva incontrato Radovan Karadzic ( il leader serbo-bosniaco che ha progettato l'assedio di Sarajevo e che in seguito venne condannato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità) e gli aveva chiesto a bruciapelo quali nefandi piani avesse per la città in cui entrambi vivevano. Karadzic gli rivolse un sorriso accattivante e lo implorò: “Per favore, non creda a tutte quelle cose terribili che si dicono su di me.” Però, il cinismo del mio parente più anziano non era limitato ai serbi. Mi avvertì che neppure il governo eletto in Bosnia, composto in gran parte dal Partito di Azione Democratica (SDA) a guida musulmana, non era affidabile, soprattutto per la comunità ebraica. “Non amano Israele”, brontolò. “Sostengono gli arabi.” Nei tre anni successivi, mentre scrivevo e trasmettevo i miei articoli sulla guerra, incluso un periodo come addetto alle relazioni con i media per la forza di pace delle Nazioni Unite dispiegata nell'ex Jugoslavia, non avevo trovato molte prove di ostilità verso Israele tra i musulmani bosniaci. Erano troppo impegnati a cercare di ottenere il sostegno internazionale, in particolare dagli Stati Uniti, e forse avevano considerato che parlare apertamente del conflitto in Medio Oriente non fosse la strategia più saggia. Allo stesso tempo, ero ben consapevole che gli ebrei bosniaci non avevano dimenticato come la Shoah fosse arrivata alle loro porte attraverso lo stato fantoccio croato sostenuto dai nazisti, e che il famigerato Mufti di Gerusalemme, Hajj Amin al-Husseini, aveva reclutato diverse migliaia di musulmani bosniaci per la divisione nazista SS Handzar (termine turco che significa “scimitarra”). Tuttavia, nella mia ingenuità giovanile, mi dicevo che si trattava di storia passata, che la situazione attuale era molto diversa e che l'obiettivo doveva essere quello di porre fine all'assalto serbo. Fui anche colpito dalla divisione tra ebrei della diaspora e Israele su questo argomento. Nella diaspora, organizzazioni come l'American Jewish Committee e individui come l'intellettuale ebreo francese, Bernard-Henri Lévy , si sono espressi con passione ed eloquenza a favore della causa bosniaca, ricordando al mondo che, dopo gli orrori della Shoah, lo sciovinismo etnico non aveva più posto in Europa – un messaggio che io ho sostenuto con entusiasmo. Israele aveva assunto una posizione diversa, allineandosi velatamente con i serbi ed evitando di condannare le numerose atrocità commesse dalle milizie serbe, e in seguito croate, in Bosnia.
Trent'anni dopo, mi ritrovo a chiedermi se sia il cugino di mio nonno sia gli israeliani avessero individuato un fondo di verità che all'epoca ero troppo riluttante e insofferente per capirlo. Per essere chiari, non ho rivisto la mia opinione secondo cui i serbi bosniaci, sostenuti dal regime di Slobodan Milošević a Belgrado, abbiano commesso un genocidio. Ma anche la storia degli ebrei in Bosnia non è stata una storia semplice di felice convivenza. In effetti, centinaia di veterani della Divisione SS Handzar si erano trasferiti nel mondo arabo dopo la Seconda Guerra Mondiale, offrendosi come volontariper lo sforzo arabo di annientare il nascente Stato di Israele durante la Guerra d'Indipendenza del 1948-49. Nella Jugoslavia del dopoguerra, governata dai comunisti, i vecchi sospetti tra gli ebrei e i loro vicini covavano, per poi riaffiorare con la violenta disgregazione della Jugoslavia all'inizio degli anni Novanta.
Il principale fattore scatenante della mia attuale auto-riflessione è l'annuncio fatto la scorsa settimana dal Museo Nazionale della Bosnia, secondo cui i ricavi derivanti dai visitatori della mostra dell'Haggadah di Sarajevo, uno straordinario e splendidamente conservato manoscritto illustrato del XIII secolo, portato in Bosnia dagli ebrei espulsi dalla Spagna, saranno devoluti alla causa palestinese. “In questo modo, il Museo Nazionale della Bosnia ed Erzegovina fornisce supporto al popolo palestinese che soffre di un terrore sistematico, calcolato e a sangue freddo, direttamente da parte dello Stato di Israele e indirettamente da parte di tutti coloro che sostengono e/o giustificano le sue azioni spudorate”, ha spiegato il direttore del museo, Mirsad Sijarić. “Come istituzione che si occupa della protezione del patrimonio culturale, storico e naturale, siamo obbligati a segnalare che, all'ombra di questa tragedia, si sta verificando la cancellazione mirata dell'identità culturale e religiosa, in primis dei musulmani e poi dei cristiani di Palestina.”
La dichiarazione di Sijarić è palesemente antisemita quanto la decisione di giugno di annullare un incontro di rabbini europei a Sarajevo, che, secondo un funzionario bosniaco, avrebbe altrimenti inviato “un messaggio di legittimazione dell'occupazione e della distruzione sistematica del popolo palestinese.” Sanzionare cittadini ebrei di altri Paesi per le azioni dello Stato di Israele è un atto di discriminazione. Ciò che sembra accadere è che la Bosnia stia seguendo la strada del Sudafrica. Proprio come i leader sudafricani hanno autorizzato l'uso della parola “apartheid” per diffamare Israele, i bosniaci stanno facendo più o meno lo stesso con la parola “genocidio.” E, proprio come nel caso sudafricano, si tratta di una totale distorsione della storia. Sebbene si possa avere l'impressione, a causa dell'infinita copertura mediatica, che l'attuale guerra a Gaza sia il primo esempio di “genocidio” dalla Seconda Guerra Mondiale, ciò semplicemente non è vero, come gli stessi bosniaci sanno per amara esperienza. E ciò che rende la Bosnia diversa è che la guerra genocida scatenata dai serbi non è stata provocata da un vile massacro di civili serbi da parte dell'esercito bosniaco. I serbi non hanno dovuto subire il pogrom del 7 ottobre per mano dei bosniaci. Allo stesso modo, le altre nazioni che hanno subito un genocidio negli ultimi 80 anni – i curdi, i cambogiani e i tutsi ruandesi, tra gli altri – non avevano inflitto atrocità che hanno scatenato l'ira dei loro persecutori. Erano sulla linea di fuoco semplicemente per quello che erano.
Il rifiuto in Bosnia di comprendere che la guerra di Israele è diretta contro Hamas, l'autore delle atrocità del 7 ottobre, e non contro i palestinesi come popolo, è l'ennesima dimostrazione del successo della propaganda di Hamas al di fuori dei confini del Medio Oriente. Eppure, sostenendo acriticamente la narrazione di Hamas, i bosniaci mettono a rischio la propria sicurezza.
La prospettiva di un'altra guerra nella repubblica, dove il difficile accordo di pace raggiunto nel 1995 vacilla in mezzo alle macchinazioni russe con i serbi, non può essere ignorata. A questo proposito, la Bosnia avrà bisogno del sostegno degli Stati Uniti se vuole sopravvivere come entità indipendente. Ripetere a pappagallo le argomentazioni di Hamas è un modo sicuro per non riceverlo. Negli anni Novanta, io e molti altri ebrei credevamo fermamente che il nostro sostegno a una Bosnia multinazionale composta da musulmani, serbi, croati, rom e altre minoranze avrebbe consolidato le buone relazioni a tempo indeterminato. Ci sbagliavamo.
Sono scettico sul fatto che riusciremo a convincere i vari sostenitori di Hamas a Sarajevo dei profondi errori del loro pensiero. Ma, per il bene dei propri interessi, la Bosnia deve seguire la strada dell'Ucraina, che si identifica attivamente con la lotta per la sopravvivenza di Israele, e rifuggire dal modello sudafricano.