Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Non sarà un’occupazione, lo scopo è eliminare Hamas, il potere a Paesi arabi fidati Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 08 agosto 2025 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Non sarà un’occupazione, lo scopo è eliminare Hamas, il potere a Paesi arabi fidati»
Riprendiamo da IL GIORNALE di oggi 08/08/2025 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Non sarà un’occupazione, lo scopo è eliminare Hamas, il potere a Paesi arabi fidati".
Fiamma Nirenstein
Marco Rubio e Benjamin Netanyahu. Gli Usa, al contrario dell'Europa, vogliono la fine della guerra, ma al fianco di Israele. E avallano la decisione di Netanyahu di occupare Gaza, non per "annetterla", ma per eliminare Hamas, recuperare gli ostaggi e poi affidarla a una coalizione di Stati arabi di cui ci si può fidare.
Il primo ministro israeliano poco prima della riunione di gabinetto di ieri l’ha detto a un gruppo di giornalisti, evento rarissimo, ma in molti l’avevano già capito: non si tratterà di un’occupazione fatta per restare a Gaza, Israele entrerà e consegnerà il potere al momento giusto a responsabili internazionali, un gruppo di stati arabi, di cui ci si può fidare. Tuttavia sarà un cambio strategico importante, in cui si resterà solo laddove sia necessario per garantire la sicurezza contro il terrorismo.
La riunione di ieri ha affrontato una delle scelte più spinose per il Paese, per i soldati, per la reazione internazionale dopo 672 giorni di guerra... È stancante, ci vuole tanto coraggio per una nuova fase della guerra, questo è un Paese iperdemocratico, in cui la discussione ferve frenetica e ferisce; i soldati non sono tanti; i feriti sono decine di migliaia e anche i depressi, e le famiglie orbate; l’economia paga lo stress; l’antisemitismo attanaglia il Paese da dentro e da fuori. Ma la vita viene prima: quella dei rapiti, quella del Paese. I soldati seguitano a combattere al fronte per tutti, solidali come fratelli, esperti in arti belliche senza pari, e sanno che è proprio per tutti, e non gli importa nulla delle differenze politiche. La discussione durata giorni ha messo insieme senza contrasti finali, le opinioni di Netanyahu, deciso a entrare, e quella di Eyal Zamir, il capo di stato maggiore che insisteva per limitarsi a circondare i luoghi ancora non battuti per il timore per la vita dei rapiti. Adesso la decisione di entrare mentre fronteggia la dura realtà: Hamas dice no alla restituzione degli ostaggi, non c’è più tempo per quelle creature ischeletrite, Israele non può lasciare che Hamas seguiti a torturarli a morte, e che permanga con i suoi crimini e i suoi progetti di distruzione nella Striscia di Gaza.
L’ha spiegato in due parole Marco Rubio, segretario di Stato americano: «Non è possibile dopo il 7 ottobre, se Hamas non viene vinto lo farà di nuovo». L’America cerca una strada che porti alla conclusione del conflitto ma sceglie, a differenza dell’Europa, di farlo a fianco di Israele. La convergenza si intravede nelle decisioni: intanto forse si spera nella possibilità che la minaccia incombente sul territorio possa spinge l’islamismo di Hamas a cedere magari all’accordo Witkoff. Il piano punta solo su Gaza City, un milione di abitanti, una caotica intersezione di terrorismo col suo largo scudo umano, il luogo più simbolico. Certo vi si trova qualche rapito. Si sarebbe deciso di evacuare gli abitanti per muoverli verso grandi infrastrutture umanitarie, campi, ospedali che devono essere preparati in settimane di lavoro. Giorni in cui Israele cesserebbe dalla guerra per favorire gli spostamenti e dividere la popolazione civile dalle strutture sotterranee e dai nascondigli di Hamas cercando di salvaguardarla. L’aiuto americano secondo l’ambasciatore Huckabee verrà portato a 16 centri di aiuto nuovi, che distribuirebbe cibo 24 ore su 24.
L’aiuto diffuso e la presa di Gaza dovrebbero segnare la grande svolta. Sono passati vent’anni da quando Israele sgomberò Gaza sperando che un embrione di stato palestinese, con aiuti internazionali, infrastrutture per l’agricoltura e per l’industria, sarebbe diventato un vicino con cui costruire un rapporto di pace. Hamas cominciò col distruggere le serre dei pomodori pachino e prese a scavare le gallerie per la sua grande guerra e del terrore, senza intervalli: così è stato fino al 7 ottobre quando l’odio ha preso le fattezze del macello e dei rapimenti di massa. È chiaro che fermare l’orrore è non solo nell’interesse della vita di Israele, ma di tutto l’Occidente. Tuttavia l’Europa oggi, nel mezzo di una presuntuosa campagna per uno stato palestinese senza caratteristiche politiche, senza confini, senza leader, senza garanzie, che ha appunto motivato Hamas a rifiutare l’ennesima profferta di scambio per i rapiti, non sa fare di meglio che minacciare di nuovo Israele chiedendole di fermarsi, mentre un esercito che ha già perso mille uomini, che ha saputo battere Hezbollah e Iran, combatte per i rapiti. L'Europa potrebbe invece rivolgere a Hamas un appello perché si arrenda e consegni le sue vittime, forse così dimostrerebbe di tenere davvero alla pace.
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