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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Riformista Rassegna Stampa
06.08.2025 Ugo Finetti: «Progressisti contro Israele? Studino! Sono all’anno zero»
Intervista di Aldo Torchiaro

Testata: Il Riformista
Data: 06 agosto 2025
Pagina: 3
Autore: Aldo Torchiaro
Titolo: ««Progressisti contro Israele? Studino! Sono all’anno zero»»

Riprendiamo dal RIFORMISTA, del 06/08/2025 a pagina 3 l'intervista di Aldo Torchiaro a Ugo Finetti dal titolo "«Progressisti contro Israele? Studino! Sono all’anno zero»".

File:Aldo Torchiaro.png - Wikipedia
Aldo Torchiaro

Ugo Finetti, storico, saggista e caporedattore Rai dal 1978 al 2008, rimprovera agli intellettuali di sinistra antisionisti soprattutto una grande ignoranza.

Ugo Finetti, giornalista, Caporedattore Rai dal 1978 al 2008 e a lungo direttore di Critica Sociale – prestato alla politica con il Psi, per il quale è stato anche Vicepresidente della Regione Lombardia – è uno degli intellettuali riformisti più attenti al rapporto tra sinistra e Israele.

Finetti, siamo di fronte a un’ondata di antisemitismo che travolge anche l’Italia. Cosa ne pensa di questo clima?
«Trasferire l’avversione per Netanyahu sugli ebrei di tutto il mondo, rimettendo in discussione l’esistenza stessa dello Stato di Israele, mi sembra un delirio. È una degenerazione pericolosa. Non si può trasformare la critica politica in negazione del diritto all’esistenza di un intero popolo: chi viene da una storia di sinistra non può permettersi mai, neanche per un secondo, questo errore.»

Da storico, ricorda un precedente simile?
«Un certo tasso di antisemitismo, legato alle vicende mediorientali, è sempre esistito. C’è sempre stato chi osteggiava Israele. L’antisemitismo tradizionalmente covava più a destra, ma anche in certi ambienti cattolici. A sinistra si manifestava in forme più lievi, più sfumate. Che oggi sono diventate più gravi.»

In che senso più gravi?
«Capisco la reazione emotiva nel vedere immagini tragiche: persone che muoiono di fame, uccise mentre cercano cibo. È umano dire: “Dobbiamo fare qualcosa”. Ma quel “qualcosa” non può essere, per esempio, il riconoscimento dello Stato palestinese fatto in modo strumentale . Si banalizza il diritto internazionale. La parola “Stato” ha un peso: signifi ca confi ni, governo, moneta, esercito. Ma oggi, cosa si riconosce esattamente? Gaza? La Cisgiordania? O “dal fiume al mare”, come dicono gli slogan estremisti? È un riconoscimento a chi? All’ANP o ad Hamas?»

Dunque, secondo lei, il riconoscimento dello Stato palestinese non è percorribile oggi?
«No. Il riconoscimento di uno Stato implica confini definiti e un governo stabile. Oggi questi elementi mancano. Non si riconosce un’entità generica, si riconosce un interlocutore politico-istituzionale con cui si può trattare, firmare accordi, scambiare ambasciatori. Senza questi presupposti, si tratta solo di propaganda: come mettere uno striscione. È un modo per lavarsi la coscienza, ma banalizza un tema tragico e serio».

Torniamo indietro nel tempo. La sinistra italiana ha avuto un rapporto stretto con Israele. Quali sono le radici di questo legame?
«Il rapporto era forte sin dal 1948. Nel Pci, con Umberto Terracini. Nel Psi, con Pietro Nenni. Per noi socialisti Golda Meir, per esempio, era una fi gura di riferimento. Ricordo un carteggio tra lei e Nenni, non solo affettuoso ma concreto: nella guerra del Kippur del 1973 Nenni si offriva di far arrivare munizioni dall’Italia per combattere i paesi arabi che aggredivano lo Stato ebraico. C’era una solidarietà vera. E questo legame continuò anche con Craxi, almeno fino agli anni Settanta.»

Anche Craxi dunque, nei primi anni, guardava con simpatia a Israele?
«Assolutamente sì. Fino all’inizio degli anni Settanta il PSI mantenne una posizione filo israeliana limpida. Poi, dopo la guerra del Kippur, emerse la questione palestinese e crebbe il rapporto con l’OLP. Craxi aveva conosciuto Arafat quando erano ancora tutti e due dei ragazzi, al festival della gioventù di Praga del 1954. Ma è importante sottolineare che l’approccio socialista, anche nel dialogo con il mondo arabo, era molto diverso da quello comunista.»

In che senso diverso?
«Il PSI operava all’interno della logica del socialismo europeo occidentale, con uno spirito antisovietico. L’apertura verso il mondo arabo era fi nalizzata a sottrarlo all’influenza dell’URSS. Craxi, come Mitterrand o González, agiva nell’ambito di una rete socialista mediterranea. Non era terzomondista: dialogava con i Palestinesi e con l’America Latina ma sempre da un punto di vista europeista».

Anche il PCI inizialmente sosteneva Israele?
«Sì, all’inizio anche il PCI – come indicato da Mosca – appoggiava Israele. Speravano che diventasse una quinta colonna sovietica nel mondo arabo. Ma poi le cose cambiarono. Ricordo l’episodio dell’arrivo di Golda Meir a Mosca: fu accolta con tale entusiasmo dalla comunità ebraica sovietica, con ali di folla festanti, in modo spontaneo, che Stalin ne fu sorpreso e intimorito. Era la prima manifestazione popolare a Mosca ad essergli totalmente sfuggita di mano. Da quel momento iniziò a guardare agli ebrei come a una “frazione”, un corpo autonomo e sospetto, perché diffi cile da controllare. Cominciò la repressione anche nei loro confronti».

Torniamo all’Italia. C’erano anche figure comuniste filo-israeliane?
«Sì, di grande spessore. Penso a Emilio Sereni, due volte ministro con De Gasperi e direttore di Critica Marxista. Suo fratello Enzo fu tra i sionisti che nel 1948 parteciparono all nascita dello stato di Israele, fondando un kibbutz. Penso a Umberto Terracini, uno dei padri della Costituzione, che nel 1967 aderì all’Unione Democratica Amici di Israele, fondata a Milano da Giulio Seniga, ex comandante partigiano comunista. Con lui c’erano altri intellettuali e anche alcuni dirigenti comunisti. Ma l’iniziativa fu malvista dalla direzione nazionale del PCI».

Quella esperienza era la progenitrice di Sinistra per Israele?
«Sì, sicuramente. È una linea di continuità che oggi si è in parte recuperata. Ma la cesura, con il PCI, avvenne nel 1967, con la guerra dei sei giorni».

Qual era la posizione di Pasolini su Israele?
«Pierpaolo Pasolini, come spesso accadeva, fu profetico e controcorrente. Proprio nel 1967 scrisse un intervento durissimo contro l’Unità, che attaccava Israele e prendeva le parti dell’Egitto. Pasolini, da intellettuale scomodo, era da sempre nettamente dalla parte dello Stato ebraico: ci vedeva una speranza di espansione della democrazia e dei diritti. Anche in questo, fu isolato, ma lucido».

Oggi chi manifesta contro Israele, gli orfani delle vecchie ideologie?
«Quella di Conte, Schlein, Fratoianni non è una sinistra nostalgica: è la sinistra “anno zero”. Non hanno nessuna radice, non riconoscono matrici storiche e non hanno scuole culturali o ideologiche. Sostengono posizioni moralistiche: cercano di legittimarsi scomunicando gli altri e presentandosi sempre e solo come i buoni contro i cattivi. In modo assoluto, manicheo e privo di argomentazioni. Vale sulla giustizia come per Israele. Loro sono gli onesti, i puri, i pacifi ci e lottano contro il male.»

Vale anche per il Pd?
«Questo Pd si rifà al movimentismo degli anni Settanta, alla liberazione della donna e ai diritti civili, soprattutto sulle questioni Lgbt. Se ci fosse ancora una cultura storico-politica, in quel partito dovrebbero chiedersi cosa ha a che fare Giuseppe Conte con il centrosinistra. Invece non solo non se lo chiedono, ma lo vedono come un alleato naturale. Segno che non sanno più di cosa si dovrebbe sostanziare la sinistra. Confondere la critica contro Netanyahu – che può avere un suo fondamento ma deve essere calibrata, circostanziata e precisa – con forme più o meno violente di odio antisemita è una colpa gravissima che indica l’inadeguatezza della classe dirigente della sinistra di oggi.»

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redazione@ilriformista.it

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