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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero Rassegna Stampa
01.08.2025 Lo dicono anche gli arabi: 'Hamas deve arrendersi'
Analisi di David Zebuloni

Testata: Libero
Data: 01 agosto 2025
Pagina: 10
Autore: David Zebuloni
Titolo: «Lo dicono anche gli arabi: «Hamas deve arrendersi»»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 01/08/2025, a pag. 10 con il titolo "Lo dicono anche gli arabi: «Hamas deve arrendersi»", l'analisi di David Zebuloni.

Inseguire il sogno di Israele, tra realtà e illusioni | Kolòt-Voci
David Zebuloni

I paesi arabi, compreso il Qatar (!!) chiedono a Hamas di arrendersi e condannano il 7 ottobre. La Dichiarazione di New York costituisce una svolta storica per la Lega Araba ed è la prova che la sinistra occidentale, che sostiene Hamas, è nemica addirittura degli stessi interessi arabi, più filo-terrorista ancora di regni islamici come l'Arabia Saudita e l'Egitto.

Tra i numerosi paradossi che segnano il conflitto che coinvolge Israele e Hamas, uno spicca su tutti: la crescente ostilità dell’Europa verso lo Stato ebraico, da sempre alleato strategico e valoriale dell’Occidente, a fronte di un avvicinamento sempre più esplicito dei Paesi arabi alla causa israeliana. Incredibile, eppure vero. Il Medio Oriente è infatti diviso oggi in due grandi schieramenti. Il primo è islamista, rivoluzionario, militarista e autoritario. È guidato dall’Iran e sostenuto da Hamas, Hezbollah e dagli Houthi. La sua visione è fondamentalista: si basa sulla convinzione che l’Islam debba dominare il mondo. Di conseguenza, secondo questa ideologia, i Paesi musulmani dovrebbero unirsi per distruggere l’Occidente. Il primo obiettivo è Israele, considerato un ostacolo. Poi l’Europa, infine gli Stati Uniti.
Il secondo schieramento è invece moderato e conservatore, non rivoluzionario. Ne fanno parte l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e la Giordania. Questi Paesi, stufi marci del terrorismo islamista, puntano a una graduale democratizzazione della regione, ispirandosi- seppur con cautela - al modello europeo.
Accettano la coesistenza tra fedi e culture diverse, così come riconoscono il diritto di esistere dello Stato ebraico. Non mirano a replicare la libertà assoluta tipica dell’Occidente, ma intendono valorizzare la propria fetta di mondo trasformandola in un vero polo economico e culturale. Sostanzialmente, sognano un Medio Oriente diverso: prospero, avanzato, proiettato verso la tecnologia anziché verso le armi, capace di di aprirsi al mondo invece di isolarsi.
In questo scenario idilliaco, ma non utopico, Israele occuperebbe un ruolo centrale, fungendo da modello di modernità occidentale adattato al contesto mediorientale. Non a caso, secondo molti analisti, Hamas ha colpito lo Stato ebraico proprio alla vigilia del presunto accordo di pace imminente con l’Arabia Saudita. L’obiettivo dei terroristi era (e resta) quello di isolare il nemico sionista.
Un intento riuscito solo in parte: Israele è stata effettivamente isolata, ma in Europa, non in Medio Oriente. A partire dal 7 ottobre, infatti, gran parte dei Paesi arabi hanno appoggiato, seppur in modo tacito e talvolta passivo, la lotta israeliana contro l’organizzazione terroristica e i suoi alleati. In alcuni casi lo hanno fatto aprendo i propri cieli agli aerei da combattimento con la stella di David, in altri rifiutandosi di accogliere i miliziani in fuga dalla Striscia. Oggi, quel sostegno si è fatto esplicito. Lo conferma la dichiarazione congiunta firmata da Arabia Saudita, Qatar, Egitto, Giordania e Turchia. Per la prima volta, questi Paesi hanno condannato apertamente l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e hanno chiesto anzi ordinato al gruppo terroristico palestinese di rilasciare tutti gli ostaggi israeliani, deporre le armi e porre fine al proprio dominio su Gaza.
Un appello che segna una svolta locale e che mira a favorire una soluzione al conflitto nella Striscia.
«Il ritiro di Hamas dalla scena amministrativa sarà uno dei fattori chiave per l'attuazione delle proposte arabe», hanno scritto e firmato i Paesi appartenenti alla Lega. La risposta dei terroristi, ovviamente, non si è fatta attendere. Hamas ha respinto con fermezza le dichiarazioni del Segretario Generale Aggiunto della Lega Araba, l’ambasciatore Hossam Zaki, manifestando al contempo palese ostilità nei confronti di quelli che un tempo erano considerati alleati religiosi e politici. Il portavoce dell’organizzazione terroristica, Hazem Qassem, si è detto sorpreso dalle parole del rappresentante della Lega Araba, il quale aveva affermato inoltre che una rinuncia da parte di Hamas sarebbe nell’interesse del popolo palestinese. Qassem ha replicato sostenendo che il movimento avrebbe dimostrato «la massima flessibilità nel formulare approcci politici e amministrativi per il governo della Striscia di Gaza durante vari dialoghi».
Flessibilità? Verrebbe da chiedersi quale, visto il rifiuto delle condizioni favorevoli a una tregua negli ultimi colloqui di Doha. Se quella era flessibilità, chissà come si sarebbero autodefiniti i terroristi se avessero accettato l’accordo. Non a caso, il presidente americano Donald Trump ha ribadito ieri, con un post sulla piattaforma Truth, che «la via più rapida per porre fine alla crisi umanitaria a Gaza passa per la resa di Hamas e il rilascio degli ostaggi». Di fatto, Trump non fa che ribadire oggi ciò che il governo israeliano sostiene da quasi due anni: senza il rilascio degli ostaggi, una pace duratura non sarà mai possibile.

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