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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Newsletter di Giulio Meotti Rassegna Stampa
31.07.2025 'Preferisco vivere sotto una dittatura che dover combattere per il mio paese'
Newsletter Giulio Meotti

Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 31 luglio 2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «'Preferisco vivere sotto una dittatura che dover combattere per il mio paese'»

Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Preferisco vivere sotto una dittatura che dover combattere per il mio paese". 


Giulio Meotti

La Germania è in grado di combattere o di dissuadere un nemico dall'attaccarla? Dopo decenni di pacifismo, il giornalista Ole Nymoen proclama apertamente che non rischierebbe mai la propria vita per proteggere la nazione in cui è nato e cresciuto

Parlando al giornalista americano Joseph Alsop, nel 1958 il famoso filosofo, matematico e pacifista Bertrand Russell, che coniò lo slogan “nessun’arma atomica dal Portogallo alla Polonia”, fu molto schietto su cosa si auspicasse se l’alternativa fosse stata la guerra con l’Unione Sovietica:

“Sarei favorevole al disarmo unilaterale, anche se significasse la dominazione comunista su tutto il mondo”.

Ora il suo “meglio rossi che morti” torna in auge nella formula di Michel Onfray dopo le stragi di Parigi: “Nessuno è disposto a morire per un iPhone”.

In un libro che sta facendo discutere la Germania, un giovane giornalista e scrittore di nome Ole Nymoen proclama apertamente che non rischierebbe mai la propria vita per proteggere la nazione in cui è nato e cresciuto e che gli ha dato tutte le libertà. Warum ich niemals für mein Land kämpfen würde (Perché non combatterei mai per difendere il mio paese) è il titolo del libro.

Una specie di manifesto di un pezzo di Occidente.

Se la Germania venisse attaccata, scrive Nymoen, “preferirei cercare di scappare che essere costretto a uccidere”. Lo preferirebbe anche se significasse perdere tutte le proprie libertà?

“Lo dico in tutta franchezza: il diritto di esprimere la mia opinione non vale certo la mia vita”. Nymoen riconosce la differenza tra dittature e democrazie, “ma non sono disposto a morire per questa differenza. Perché in caso di guerra la conseguenza sarebbe la stessa: molto probabilmente perderei la vita”.

Ecco perchè siamo un continente talmente abituato alla rendita di benessere e libertá che i politici accettano il ricatto dei petrodollari islamici e svendono i valori occidentali.

Ecco perchè non reagiamo alle quotidiane stragi di cristiani, alla perdita delle nostre più basilari libertà, ma aumentiamo la carica di antisemitismo presente in ogni civiltà. Ora negli autogrill d’Italia si aggrediscono gli ebrei francesi con i figli. Da vergognarsi. E nessuno reagisce.

Intanto, l’uomo occidentale atterrito si abitua anche a questo: Stoccolma, preghiera islamica cinque volte al giorno.

Nymoen è il rappresentante della generazione descritta dal filosofo Richard David Precht come i “figli di una società opulenta e ipersensibilizzata”? In altre parole: “troppo viziati per difendersi”, come Greta Thunberg?

E di figli in Occidente ce ne sono sempre di meno per fargli correre un rischio.

Come ha scritto sul Wall Street Journal Gunnar Heinshon, professore all’Università di Brema e autore del libro Söhne und Weltmacht (I figli e il dominio del mondo), “la percentuale di giovani europei nel mondo, pari al 27 per cento nel 1914, è oggi inferiore (9 per cento) a quella del 1500 (11 per cento). I nuovi abiti del ‘pacifismo’ europeo e del suo ‘soft power’ nascondono la sua nuda debolezza. Nel XVI secolo, la Spagna chiamò i suoi giovani conquistadores Segundones, secondogeniti, coloro che non ereditavano. Oggi ci sono i Segundones islamici”.

Nei vertici internazionali e sui media, si parla di aumento della spesa per la difesa e del riarmo europei. Al recente vertice dell'Aja, gli alleati della Nato hanno concordato di aumentare la spesa per la difesa al 5 per cento del Pil. Eppure, i leader della maggior parte degli stati membri della Nato sono pienamente consapevoli che le loro forze militari non sono pronte per una battaglia seria. Peggio ancora, la popolazione delle società occidentali ha abbracciato una cultura post-eroica che considera la difesa della propria nazione come un problema estraneo a loro.

“Troppo pochi per resistere”, il titolo di un rapporto che spiega il problema.

Un sondaggio condotto questo mese dall'Istituto Forsa ha indicato che solo il 17 per cento dei tedeschi ha dichiarato che “difenderebbe il proprio Paese in caso di attacco”. Secondo Aylin Matlé, ricercatrice del Consiglio tedesco per le relazioni estere, "i giovani non capiscono davvero il motivo per cui dovrebbero mettere a rischio la propria vita per la Germania".

Lars Eidinger, l’attore tedesco famoso per Amleto, in tv ha detto: “La domanda essenziale a cui dovevo rispondere era: quando uno dei miei cari viene minacciato con una pistola e ho avuto la possibilità di uccidere l’aggressore, come avrei reagito? La mia risposta è stata: non sparerei, per non servire la spirale dell’aggressività. Credo in questo ideale”.

La Germania non è l'unica società ad essersi alienata dalle esigenze di sicurezza.

Un sondaggio Gallup condotto su persone di 45 paesi ha chiesto quanto fossero disposte a combattere per il proprio Paese in caso di guerra. Quattro delle cinque nazioni con il minor numero di combattenti a livello globale si trovano in Europa, tra cui Spagna, Germania e, in particolare, Italia, dove solo il 14 per cento degli intervistati ha dichiarato di essere pronto a combattere per il proprio paese.

Come ha spiegato Christopher Coker nel suo Waging War Without Warriors?, le guerre si sono staccate dai valori che influenzano la vita quotidiana. Le istituzioni culturali occidentali sono ossessionate dal valore della sicurezza e considerano la disponibilità al sacrificio un ideale bizzarro e obsoleto.

La filosofa francese Chantal Delsol su Le Figaro spiega che quelli occidentali sono popoli atterriti.

“E la paura è un meraviglioso strumento di potere. Si è paralizzati e pietrificati dalla paura. Ti immobilizza, ti vieta di agire e ti rende docile a qualsiasi pressione. Di’ a qualcuno che la sua vita è in pericolo e ti obbedirà come uno schiavo. Il conformismo morale fa sì che presto la vita stessa farà paura. Non sappiamo più di cosa abbiamo paura. Questo è ciò che sta accadendo in questo momento: una sorta di disfatta della ragione. Non sappiamo più davvero di cosa abbiamo paura, ma la paura diventa una disposizione permanente, come una seconda pelle”.

Ecco perchè la soumission, che dà il nome a una rubrica di questa newsletter, è diventata come la nostra seconda pelle.

“Perché, con popolazioni più numerose che mai, la nostra tolleranza per le vittime è sempre più bassa”, si chiede Edward Luttwak? “Nel 1994, ho proposto una semplice teoria: le guerre della storia sono state combattute da figli maschi ‘di riserva’. Ancora a metà del XX secolo, la famiglia europea media aveva diversi figli. Oggi, con la fertilità media delle donne in Europa inferiore a due e in continua diminuzione (la media UE era 1,46 nel 2022), non ci sono figli di riserva. In Occidente c’è una domanda che nessuno è disposto ad affrontare seriamente: perché mantenere eserciti che non saranno mai chiamati a combattere? Il fatto che così tante unità europee abbiano prestato servizio in Afghanistan e Iraq non prova nulla, perché nella maggior parte dei casi i loro governi hanno garantito che non sarebbero state impiegate in raid o assalti, limitate a caute pattuglie vicino alle loro basi pesantemente fortificate. Il risultato è che, in tutta Europa, intere istituzioni militari stanno colludendo dall'alto al basso per sostenere l'illusione di essere in grado di combattere, il che è vero solo in rari casi, come nel caso delle forze armate ridotte ma ancora combattive della Gran Bretagna. Ma in una certa misura, lo stesso si può dire dei loro avversari in Russia e Cina. Nella nostra attuale era post-eroica, i calcoli di tutti sul vero equilibrio di potere devono essere rivisti. Questo quadro è simile in tutta Europa”.

Una società post-eroica è poi basata su quella “crisi di sovrapproduzione di auto-critica” di cui ha parlato Hans Magnus Enzensberger. E l’Occidente non finisce mai di criticarsi.

Secondo lo storico Bruce Gilley, un "senso di colpa" per il colonialismo sta svilendo così l'Occidente dall'interno, e regimi autoritari come Iran, Russia, Cina e Turchia stanno traendo profitto da questa debolezza.

I Romani la chiamavano “damnatio memoriae”: la dannazione della memoria che portò alla distruzione dei ritratti e persino dei nomi degli imperatori caduti. Lo stesso processo è ora in corso in Occidente riguardo al suo passato. L'élite culturale occidentale sembra ora così tormentata da sensi di colpa imperialisti da non essere più convinta che la nostra civiltà sia qualcosa di cui andare orgogliosa.

Il senso di colpa sembra ora una sorta di religione sostitutiva post-cristiana che seduce molti occidentali. Lo studioso francese Shmuel Trigano ha ipotizzato che questa ideologia stia trasformando gli occidentali in "sudditi post-coloniali" che non credono più nella propria civiltà, ma in ciò che la distruggerà: il multiculturalismo, ad esempio, e il terrorismo sempre più giustificato.

Recentemente, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione volta all’acquisizione, da parte dei paesi europei, di una “consapevolezza storica illuminata”. Ecco la risoluzione elaborata dalla presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo, la tedesca Sabine Verheyen, che è anche relatrice del testo. I crimini del nazismo, del comunismo e del colonialismo (debitamente elencati) non ci permettono di andare oltre senza pentimento. L’Europa è solo una serie di misfatti: “Le ingiustizie basate sul genere, sulle credenze e sull’etnia sono radicate nella storia europea da molti secoli. Lo sciovinismo, gli stereotipi sessisti, le asimmetrie di potere e le disuguaglianze strutturali sono profondamente radicati nella storia europea”. Ora dagli scranni ci dicono che la nostra storia è solo una sequela di misfatti. Colpevole e dannato uomo bianco europeo, la tua coscienza può essere illuminata solo dalla lampadina dell’odio di sè. Di fronte a questi “orrori del passato”, dice la risoluzione europea, l’unico riscatto possibile consiste nell’“abolizione dei parametri nazionali”. È necessario “anteporre la storia europea e mondiale a quella nazionale e porre l’accento su una comprensione sovranazionale della storia”; riformulare “libri di testo di storia transfrontalieri e transnazionali” per “abbattere le barriere nazionali”; “sfidare gli stereotipi e i sacri simboli delle storie nazionali”. L’approccio alla storia sarà “multiculturale e attento al genere”, al fine di “lottare contro l’emarginazione di gruppi sociali sottorappresentati nella storia”.

Da almeno una generazione, la nostra cultura è ammorbata da questo senso di colpa, penetrato anche ai vertici della Chiesa.

Il frate domenicano che fu scelto da Papa Francesco per aprire il Sinodo, Timothy Radcliffe, ha iniziato le sue riflessioni così in Vaticano: “Sono vecchio, bianco, occidentale e un uomo. Non so quale sia la cosa peggiore”.

Lo scrive anche Axel Steier, il fondatore della ong tedesca Lifeline attiva davanti alle coste italiane: “La fine della società omogenea sta arrivando. Lo sostengo con il mio lavoro. Un giorno non ci sarà più 'pane bianco’”. “Pane bianco” è il termine dispregiativo usato per indicare i tedeschi etnici.

Mi domando: se abbiamo insegnato a una generazione a pensare alla propria cultura, storia, identità e società come inique, sfruttatrici, razziste, militariste, islamofobe e coloniali, perché meravigliarsi se poi non vogliono difenderle e difendersi?

Demografia in declino, conformismo della paura, oikofobia, languore dello status quo.

Ecco perchè maggioranze sempre più consistenti di occidentali, gente ben pasciuta, odia tanto Israele: perchè è l’ultimo stato occidentale che si difende.

In un saggio per la rivista Commentaire, Ran Halevi ha scritto che “Israele è l’unico paese occidentale che si sta evolvendo contro la nuova fede in un’umanità senza confini”. Ci si dimentica troppo spesso, infatti, che il liberalismo, la tolleranza, la democrazia e il pluralismo, tutte queste belle cose a cui tengono gli occidentali, esistono grazie al fatto che a proteggerli c’è un muro, proprio come accadde nell’Atene di Aristofane, e un popolo disposto a sacrificarsi per esso.

Intanto il sindaco socialista di Parigi ha appena approvato il finanziamento di un progetto di “coccole con i porcellini d'India” per bambini. Il municipio di Anne Hidalgo ha stanziato per l'associazione Pat à Pas (Zampa a Passo), la cui missione è promuovere il benessere attraverso il contatto con la natura, in particolare attraverso la “terapia assistita dagli animali”. Il progetto prevede centinaia di ore di sessioni con i bambini per nutrire e coccolare i porcellini d'India.

Qualcosa mi dice che se l’Occidente è quello di Ole Nymoen, del frate domenicano, degli autogrill antisemiti e dei porcellini d’India, cederemo prima noi dei nostri nemici. E lo faremo all’insegna di un nuovo motto:

“Meglio tutto che morti”.

La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).

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