Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Khamenei, basta una spallata che viene giù Analisi di Luca Longo
Testata: Il Riformista Data: 24 luglio 2025 Pagina: 7 Autore: Luca Longo Titolo: «Khamenei teme la spallata finale. L’Iran è piegato dopo la tempesta tra instabilità, rovine e recessione»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, a pagina 7, l'analisi di Luca Longo, dal titolo: "Khamenei teme la spallata finale. L’Iran è piegato dopo la tempesta tra instabilità, rovine e recessione"
Dopo aver perso la guerra contro Israele, l'Iran è in rovina. L'Ayatollah Khamenei si fa vedere e sentire sempre meno, vive nascosto, teme la spallata finale. E speriamo che qualcuno gliela dia! Il regime iraniano è il responsabile di tutti i conflitti contemporanei del Medio Oriente.
L’operazione israeliana contro l’Iran, completata dal bombardamento statunitense sui siti nucleari già colpiti da Tel Aviv, ha avuto un impatto devastante sulla Repubblica islamica. In pochi giorni, Teheran ha subìto una pesante perdita di vite umane e danni alle sue infrastrutture vitali. Tra militari e civili, oltre 1.200 persone hanno perso la vita, mentre quasi 4.500 sono rimaste ferite. Le forze israeliane hanno distrutto i sistemi di difesa iraniani, preso il controllo dello spazio aereo e decimato la leadership militare e scientifica del Paese, uccidendo almeno nove scienziati coinvolti nel programma nucleare, oltre a numerosi comandanti del Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica.
L’impatto economico: la crisi della valuta e la recessione Il conflitto ha avuto effetti devastanti anche sull’economia iraniana.
Durante i combattimenti, le autorità hanno chiuso la Borsa di Teheran per evitare turbolenze. La riapertura ha subito messo in luce la gravità della crisi economica che il Paese sta affrontando. La valuta nazionale, il rial, ha ripreso a deprezzarsi e il tasso di cambio ha raggiunto i 900.900 rial per un dollaro, segnando un ulteriore peggioramento rispetto ai livelli già critici. Nel primo giorno di apertura della Borsa, il 99% delle aziende quotate ha visto un calo del valore delle azioni, con vendite di titoli pari a 416,7 milioni di dollari. Questi segnali negativi potrebbero rappresentare un ostacolo significativo per Ali Madanizadeh, il nuovo ministro dell’Economia, che dovrà affrontare una situazione difficile e una crescente pressione sul suo mandato. La nomina di Madanizadeh, avvenuta durante il conflitto, rappresenta un’importante vittoria per la componente moderata del governo iraniano, che ha sempre sostenuto il dialogo con l’Occidente. Tuttavia, le sfide economiche potrebbero complicare notevolmente il suo compito.
Cambiamenti sociali e ideologici: la retorica nazionalista in ascesa Sul fronte interno, la guerra ha portato a un cambiamento negli equilibri politici.
Le autorità iraniane hanno intensificato la retorica nazionalista, al contempo mettendo sotto traccia la tradizionale retorica islamica. Un esempio di questo nuovo orientamento è stato il richiamo al mito di Arash l’Arciere, figura simbolica della Persia antica, e l’uso di canti nazionalisti anche da parte di esponenti religiosi. L’invocazione di un’identità preislamica appare come una strategia per unire la popolazione sotto valori comuni, riducendo l’enfasi sui temi esclusivamente religiosi che hanno caratterizzato la Repubblica islamica dal 1979 ad oggi. Nonostante le aspettative di un cambiamento di regime a seguito degli attacchi israeliani, è emerso un fenomeno interessante: anche i dissidenti interni e la diaspora iraniana si sono stretti attorno al Paese in questo momento di difficoltà. Questa unità non è tanto un rinnovato consenso verso il governo di Khamenei, quanto piuttosto una risposta all’aggressione contro la sovranità nazionale. Ma - come avevamo previsto sul Riformista del 3 luglio - il cambiamento di retorica non è stato accompagnato da una distensione interna. Il regime ha infatti intensificato la repressione, ha sostenuto di aver sgominato la rete del Mossad che infiltra i gangli politici e militari del Paese arrestando oltre 700 cittadini (in gran parte migranti afgani) e processandoli sommariamente come spie. È stata inasprita la legge contro la collaborazione con Israele e Stati Uniti, e il Parlamento ha approvato una legge che consente la pena di morte per chiunque collabori con nemici dichiarati della Repubblica islamica. Infine, le minoranze interne, in particolare la comunità curda, sono state duramente colpite dalla repressione, con numerosi arresti e un incremento della presenza militare nelle zone curde.
La politica interna e la transizione di potere
Sul piano politico, alcuni analisti suggeriscono che la guerra abbia segnato l’inizio di un processo di transizione dentro il regime iraniano. Nonostante le iniziali riserve del leader supremo Ali Khamenei, il Paese ha avviato contatti con gli Stati Uniti, e durante il conflitto la Guida suprema si è nascosta in un bunker con la sua famiglia, cedendo una parte significativa dei poteri decisionali al Consiglio supremo del Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica. La gestione del conflitto e la trattativa per il cessate il fuoco hanno rivelato un progressivo trasferimento di poteri alla componente militare del governo iraniano, suggerendo che la leadership politica e religiosa stia perdendo parte del proprio controllo. Il Parlamento ha anche approvato una legge che sospende la cooperazione con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), una decisione che segna un ulteriore passo verso l’isolamento del programma nucleare iraniano dalla supervisione internazionale. Questo sviluppo potrebbe aprire la strada a una fase ancora più oscura e imprevedibile nella questione nucleare iraniana.
La crisi nucleare e il futuro della deterrenza iraniana
Proprio dal punto di vista nucleare, il conflitto ha avuto ripercussioni significative. I bombardamenti sui siti di Fordow, Natanz, Isfahan, ma anche sugli impianti minori e sui centri di ricerca nucleare, hanno causato danni rilevanti. Sono state interrotte, almeno temporaneamente, le procedure di arricchimento. Ma i danneggiamenti hanno fermato per sempre il programma nucleare di Teheran. Prima dell’attacco, l’Iran ha trasferito 408 kg di uranio arricchito al 60% in località segrete - secondo alcune fonti, in tunnel ancora integri situati in profondità sotto il sito di Isfahan - che potrebbero diventare fondamentali per la costruzione di alcune armi atomiche e per una futura negoziazione. Anche se i canali diplomatici sono stati riaperti, la posizione iraniana sembra essere molto chiara: l’uscita dal Trattato di non proliferazione nucleare e il rapido ripristino della propria capacità nucleare potrebbero essere gli unici due fattori ancora spendibili per ristabilire la deterrenza contro attacchi futuri. Tuttavia, il dialogo con gli Stati Uniti non è ancora arrivato a una soluzione positiva, nonostante l’ambigua proposta di Trump di allentare le sanzioni sul petrolio iraniano in cambio di un impegno per il programma nucleare civile.
Le relazioni con il Golfo e il ruolo di Cina e Russia
Nel contesto regionale, l’Iran sta cercando di ricostruire i suoi legami con i Paesi del Golfo, ma la guerra ha minato questi sforzi. L’attacco contro la base statunitense di al-Udeid in Qatar ha fatto scattare una serie di reazioni negative da parte degli altri membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Paesi come il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita hanno condannato l’azione iraniana, mentre il Qatar ha chiuso il proprio spazio aereo, creando notevoli problemi economici. Tuttavia, Doha ha svolto un ruolo cruciale come mediatore tra Teheran e Tel Aviv, favorendo il raggiungimento del cessate il fuoco. Nel frattempo, la possibile fornitura da parte di Mosca del sistema a lungo raggio S-400 – in sostituzione dell’obsoleto S-300 - non è avvenuta, e l’Iran si sta orientando verso una crescente cooperazione con la Cina, che ha fornito armi efficaci durante il conflitto tra India e Pakistan. A maggio, la visita del ministro della Difesa iraniano al suo omologo cinese ha aperto la strada a possibili nuovi accordi in campo difensivo. L’Iran si trova in una fase di transizione difficile, con sfide interne, diplomatiche e di sicurezza che definiranno il suo futuro nei prossimi anni. Se da un lato l’isolamento internazionale aumenta, dall’altro la resilienza strategica e il tentativo di riorientare le alleanze potrebbe rappresentare un modo per il Paese di sopravvivere in un contesto geopolitico in continua evoluzione. È il momento buono per una spallata finale.
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