martedi` 22 luglio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



Clicca qui






Libero Rassegna Stampa
22.07.2025 Sala resta, Milano s’arresta e celebra il suo funerale politico
Editoriale di Mario Sechi

Testata: Libero
Data: 22 luglio 2025
Pagina: 1/2
Autore: Mario Sechi
Titolo: «Sala resta, Milano s’arresta»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 22/07/2025, a pag. 1/2 con il titolo "Sala resta, Milano s’arresta" l'editoriale di Mario Sechi.


Mario Sechi

"Le mie mani sono pulite", dice il sindaco Giuseppe Sala. Ricorda qualcuno? Siamo tornati a Tangentopoli, ma stavolta nel mirino c'è il sindaco-simbolo della sinistra. Resta in sella, ma così condanna politicamente la sua parte

Pomeriggio soleggiato, temperatura di 30 gradi centigradi, campo di Palazzo Marino in perfette condizioni. Arbitra la procura di Milano, pubblico numeroso sugli spalti, pagano i milanesi. «Sala resta, Milano s’arresta», questo è il titolo di una tragedia piena di momenti comici.
Non entravo nella sala del Consiglio comunale dai tempi di Mani Pulite, un’era di sedute scandite dal tintinnare delle manette, l’effetto all’ingresso è quello del déjà vu, ma solo negli arredi e in qualche volto dei colleghi più anziani, «che ci fai tu qui?», bella domanda alla Bruce Chatwin, la memoria è quella delle «storie di whisky andati» (album ad alta gradazione di Sergio Caputo, 1988) e i capelli, anche quelli, sono andati, in compenso sono arrivate le rughe e decine di chili di esperienza. E allora, rieccoci tutti qui, il 21 luglio del 2025, con il taccuino in mano, stretti stretti nei banchi della “Stampa”, in attesa dell’ingresso di Beppe, un’ora prima c’è già il tutto esaurito, fuori fa un caldo della Madonnina, gruppi di rivoluzionari con i soldi di papà urlano prima di andare in vacanza, dentro siamo sulla scena con William Shakespeare, tra la “Commedia degli errori” e un “Giulio Cesare” «interruptus», dove perfino l’assassinio dell’imperatore Sala non riesce a trovare un Bruto capace, perché il copione prevede la trasformazione del sindaco in zombie politico.
Parto dalle conclusioni perché la notizia va in testa al pezzo, cribbio. Il Consiglio comunale di Milano è un match dove perdono tutti: il sindaco Beppe Sala, che s’imbullona alla carica di primo cittadino, sapendo di essere ormai come il visconte dimezzato del romanzo di Italo Calvino (dove il protagonista Medardo viene spezzato in due da una palla di cannone); il Pd e gli alleati, che fanno sfoggio di ipocrisia dopo aver pugnalato e poi zombificato il loro campione che fu, sapendo che da oggi ogni progetto sarà lettera morta; il Comune di Milano su cui s’annuvola una crisi lunga e dolorosa; la Procura che continuerà il balletto del mattone fino a farla cadere, la Giunta è moribonda.

COMINCIA LA PARTITA

Il racconto della seduta è la radiografia di una frattura, dottore mi dica, guarirò?
Ehm, mi spiace, lei non correrà più, zoppicherà e le serviranno le stampelle per un lungo periodo di riabilitazione e comunque, niente bicicletta che il ginocchio non regge proprio. Nell’aula il “Sant’Ambrogio a cavallo” del manierista Ambrogio Figino (1531, pennello da “effetto wow”) sembra voler uscire dalla cornice, uscire da Palazzo Marino e imbucarsi proprio là di fronte, al Teatro La Scala dove lo spettacolo è di prima classe, altro che il “Pierino contro tutti” di Palazzo Marino.
Emiciclo, tribuna stampa e tribuna del pubblico sono pieni, la sinistra ha provveduto a riempire le poltrone dietro i giornalisti con un gruppo nutrito di supporter dove ondeggia la chioma di Simona Malpezzi (Pd), brilla il pizzetto con taglio da Sandokan di Ivan Scalfarotto (Italia Viva), luccicano gli occhioni di Silvia Roggiani (Pd), si scaldano a fondo campo i presidenti di sinistra di vari municipi, osservano con l’angoscia in gola i rappresentati delle famiglie che hanno pagato l’appartamento e lo vedono come un’araba fenice.
Politica e mattone, élite e popolo, gran casino. Silvia Sardone ha un Alberto da Giussano per capello e mitraglia dichiarazioni alle telecamere, mentre arriva da Roma Francesco Bei di Repubblica che prende le coordinate dalla sveltissima Federica Venni (sempre Rep), mentre quel furetto di Carmelo Caruso (il Foglio) fa domande innocenti che trasformerà in durlindana, da perfetto siculo che s’è fatto piè veloce a Milano, Niccolò Zancan della Stampa scruta silente i banchi in cerca del dettaglio, Chiara Campo del Giornale marca la Venni che marca la Campo, io cerco acqua come un rabdomante, s’avvicina un fotografo: «Direttore... sono Bettolini». Il nome mi scaraventa come un gancio di Nino Benvenuti a circa 30 anni fa, quando ero capocronista del Giornale e a Palazzo Marino c’era il sindaco leghista Marco Formentini, una brava persona catapultata in un territorio nemico devastato da Tangentopoli. E oggi chi c’è? «Tel chì», c’è Beppe Sala e tutti cercano la sagoma dell’assessore alla Rigenerazione urbana, Giancarlo Tancredi, il capro espiatorio di questa faida tutta a sinistra, la cotoletta alla milanese da servire in tavola. Eccolo, il Tancredi, giacca scura, camicia bianca, niente cravatta, entra in aula alle 16:24, Egli c’è e qualcosa dirà. Sala balena alle 16:30 in punto, la cravatta bordeaux d’ordinanza, il viso teso. Silenzio totale.
S’ode solo il colpo a ripetizione di una macchina fotografica posata perfettamente sul mio timpano sinistro, una tortura cinese.
Campanello, appello dei consiglieri, «Sala Giuseppe», si parte. I lampadari circolari della sala emettono una luce gialla da film di Zorro, cerco il sergente Garcia e non lo trovo, figuriamoci un paladino del popolo, quello di cui ci sarebbe bisogno in questa storia. Il sindaco parte in attacco, fa un preambolo istituzionale «ciò che ho fatto è nell’interesse dei cittadini» e si capisce che il primo bersaglio è la magistratura, «non esiste una singola azione che possa essere attribuita a mio personale vantaggio. Le mie mani sono pulite» e «ho appreso di essere indagato dai media». Il passaggio ha il pregio di non essere cerchiobottista, la voce è tirata, un tono sotto la vibrante protesta, «la giustizia farà il suo corso» ha il significato del provateci pure, non troverete niente su di me. Sala è prima di tutto un «ragiunatt», uomo di conti e d’azienda, ricorda con perfida “nonchalance” che quando arrivò in Comune i conti non erano a posto («nel 2016 divento Sindaco.
Capisco subito che i conti del Comune non sono affatto rassicuranti e, tra le altre cose, metto in atto un piano di dismissioni di immobili») e il dettaglio che governava il sindaco Giuliano Pisapia diventa una sberla.

ACCUSE DEI PM

Sala si fionda sull’accusa di “induzione indebita a dare o promettere utilità” e snocciola le cifre sulla storia del “Pirellino” che in sintesi diventa un esercizio di profitti (senza perdite) nel settore immobiliare: nel 2018 viene messo al bando per «la cessione, con una base d’asta a 106 milioni di euro. Asta caldissima fra cinque gruppi, che si sfidano, rilancio su rilancio, fino ad un’aggiudicazione a 193 milioni». Il saldo è di +87 milioni, non proprio noccioline. Qui parte una storia di Tar e Consiglio di Stato, dove il Comune viene condannato per non aver fatto gli interessi del costruttore, Sala scaglia un dardo potente e afferma che il Comune non ha favorito i costruttori, anzi si è «sbilanciato in favore dell’interesse pubblico, talmente tanto da incorrere in una condanna del Consiglio di Stato per avere sacrificato illegittimamente le aspettative del costruttore».

POLEMICA STERILE

Buon inizio, sul pezzo, poi Sala sceglie di andare ai materassi quando prende a colpi di clava il consigliere Marcora che ha postato sui social (poi ha cancellato tutto) «una mia foto in versione da galeotto» e rivela di aver «segnalato il suo gesto ai vertici del suo partito, nella fattispecie al Presidente del Consiglio e al Presidente del Senato». Marcora alza i decibel, Sala gli ha offerto un momento da Marcora e si passa ai colpi fuori dal regolamento, Beppe è furioso, così si leva in aula un «se la forza politica a cui lei ha aderito, l’ennesima forza politica a cui lei ha aderito, le farà fare carriera vorrà dire che condivide e appoggia il suo comportamento. Se invece ciò non avverrà vorrà dire che il suo partito, un partito che governa la nostra nazione, a un minimo di rispetto istituzionale ci tiene. Vedremo...». Momento da duello con la Colt sulla via polverosa di Tombstone. Sala ne poteva fare a meno (e anche Marcora quando ha pubblicato quell’immagine). Va bene, stendiamo un velo pietoso, ma la politica?
Sala deve declinare la sua decisione, spiegarla, assicurare che quello che è stato fatto (e disfatto) era nel segno del Progresso, la parola emerge quando il sindaco evoca «un indirizzo decisamente progressista», quando dice che «abbiamo agito sempre nella direzione di apertura al progresso» e gestito Milano «nel segno di tutte le grandi città nazionali e internazionali governate dai progressisti». Bello, il Progresso, caro sindaco, ma se tutto è così meravigliosamente progressista, politicamente corretto, idilliaco e viva il Sol dell’Avvenire, come mai nella sua maggioranza c’è chi chiede «cambiamenti»? Questo dilemma non viene sciolto, resta sospeso a mezz’aria, è qui che l’intervento di Sala suona come una supercazzola di Ugo Tognazzi che però aveva il pregio infinito di far ridere.
E il grattacielo? Quelle torri per i suoi alleati “descamisados” sono il simbolo «delle destre», i “majorinizzati” del Pd sotto e sopra lo pensano e i Verdi che ve lo scrivo a fare, farebbero un concorso d’idee per dimezzarle, le torri, e poi dire che anche questo è Progresso. Sala pone una domanda come un maestro alle scuole elementari: «Ci fa paura la verticalizzazione di Milano? Penso sia sbagliato averne paura». Infatti i suoi alunni non ne hanno paura, tirano di cerbottana, fanno volare le cosce di pollo a mensa, a loro City Life e compagnia torreggiante fa ribrezzo, fa venire le bolle rosse in faccia e poi tutte quelle banche e assicurazioni con i loro loghi che svettano rischiano di svegliare il proletariato immaginario di Elly Schlein.

AVANTI, MA COME?

Lui, Sala, si fa pedagogo dei suoi compagni coltelli e spiega per «guadagnare più spazio per la socialità, per il verde, per la rivitalizzazione della città» occorre delegare «alla verticalità funzioni dell’abitare e del lavoro».
Sembra una puntata di Quark sull’architettura con Alberto Angela che mostra le virtù dei pilastri d’acciaio. Quando il sindaco cita Lega Ambiente a suo favore gli scappa un lapsus e dalle labbra esce un «Lega Lombarda» che strappa la risata in una seduta che oscilla tra il corteo funebre e il carro carnevalesco. E sì, perdinci, «bisogna fare di più» (intanto sullo stadio di San Siro si rimanda tutto a settembre, la polvere finisce sotto il tappeto perché non c’è un accordo politico nella maggioranza) e il sindaco è in dirittura d’arrivo “et voilà”, ecco il coniglio senza sorpresa: «Io ci sono con tutta la passione, con tutta la voglia, con tutto l’amore per questa città di cui sono capace». Veniva da dire amen e riposi in pace. Poi è arrivato l’assessore Tancredi a spargere qualche verità nell’aula di Palazzo Marino, a spegnere l’ipocrisia. Prende la parola, è scosso, si sente colpito alle spalle e... miracolo a Palazzo Marino, lo dice: «Oltre che amareggiato per questa inchiesta e per il lavoro che non potrò portare a termine, sono sconfortato e molto deluso per quella che in questi giorni è stata la posizione espressa da alcune forze di maggioranza di questa città». Eccoli qua, i pugnalatori della sinistra.
Tancredi, la sua tragica uscita, ricorda il problema politico a sinistra e il fatto ineludibile che la sciagura è altrove, fuori dall’aula la tempesta s’addensa, l’andare avanti, quel «io ci sono» che Sala si riserva come chiusura del suo discorso, sembrano l’eco di un mondo parallelo che non sente le voci che filtrano dalla Procura di Milano, un curioso botta e risposta tra Palazzo Marino e Palazzo di Giustizia: per tutto il giorno le agenzie battevano notizie in questurese, stralci di verbali, intercettazioni, indiscrezioni, un tam tam che proveniva dalla foresta giudiziaria. Il successore di Tancredi firmerà con mano sicura le delibere e gli atti sull’edilizia? Sala resta, Milano s’arresta. Ho la netta impressione che non sia solo nel senso di fermarsi, perché in questa storia l’altra faccia del fatale immobilismo è l’attivismo (della Procura di Milano). Che bel funerale, ieri a Palazzo Marino.

Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@liberoquotidiano.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT