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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Informazione Corretta Rassegna Stampa
22.07.2025 Ritorno a Sion, il commento di Elisabetta Noè, docente a Ferrara
Recensione a Elber/Volli/Ferretti/DeBenedetti/Nirenstein

Testata: Informazione Corretta
Data: 22 luglio 2025
Pagina: 1
Autore: Elisabetta Noè
Titolo: «Ritorno a Sion, il commento di Elisabetta Noè, docente a Ferrara»

Ritorno a Sion, il commento di Elisabetta Noè, docente a Ferrara
Recensione a Elber/Volli/Ferretti/DeBenedetti/Nirenstein

L’obiettivo di questo libro è ambizioso e di non facile conseguimento: fornire un quadro agile e snello per i “non addetti ai lavori”, in cui affrontare gli snodi essenziali della complessa vicenda al cui centro si trova Israele e la sua storia, che è parte della millenaria storia del popolo ebraico.

Sia chiaro, questo non è un comodo Bignami del conflitto mediorientale, da consultare distrattamente.  È un testo sintetico, che invita però all’approfondimento, chiaro ed efficace ma senza cadere in schematismi e semplificazioni.

È soprattutto un testo necessario, e lo è in modo particolare a quasi due anni dal 7 ottobre 2023, il dies horribilis di Israele, il giorno del massacro di 1200 cittadini israeliani, le cui modalità atroci ed efferate rimandano ai numerosi pogrom di cui è stata costellata la storia degli ebrei nei paesi arabi: anche se i media lo hanno costantemente occultato dietro la retorica antisraeliana (e antisemita), ciò che è accaduto il 7 ottobre è stato a tutti gli effetti un atto di guerra, pianificato meticolosamente nei suoi dettagli da anni, da parte dell’esercito dei terroristi di Hamas, che dal 2007 governa la striscia di Gaza, né più né meno come se fosse uno “stato”, con un apparato amministrativo dotato persino di “ministeri”. È una guerra logorante, difficile per il contesto urbano in cui si sviluppa, dove una Gaza di superficie occulta la Gaza sotterranea, un reticolato di tunnel lungo 700 km,  forse anche più, dove non c’è edificio - scuola, ospedale, moschea, abitazione - che non possa essere adibito a scopi militari e dove gli aiuti generosi provenienti dai paesi arabi e da quelli occidentali sono serviti per accumulare armi da guerra di ogni genere, predisporre rampe di lancio di razzi e missili, organizzare i centri di comando di Hamas, le sue basi logistiche, i suoi “uffici”. E i tunnel, oltre ad essere depositi di armi, rifugi e vie per lo spostamento dei terroristi, sono anche i luoghi in cui vengono tenuti in condizioni indicibili gli ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre.

Ma Israele si trova al centro di un’altra tempesta, esplosa il giorno dopo il massacro,  quando ancora i contorni dell’orrore non erano pienamente delineati, la cenere dei kibbutz era ancora calda e i missili piovevano su tutto il paese, da sud, da Gaza, e da nord, dal Libano di Hezbollah.

È la tempesta scatenata con tempismo perfetto da un antisemitismo che, dalla fine della seconda guerra mondiale, non ha mai goduto come oggi di una salute così buona, di una popolarità così ampia, di una totale disinibizione nell’attaccare con violenza verbale e fisica gli ebrei, le persone, i luoghi, la cultura, la religione, e naturalmente lo Stato ebraico. E che è forte di risorse finanziarie, di strumenti mediatici, di un esercito di fedeli sostenitori nelle organizzazioni studentesche, nel mondo accademico, tra i cosiddetti “intellettuali”, nei media e nello spettacolo, nelle organizzazioni internazionali così come negli enti locali, nelle ONG, nel mondo del volontariato e delle associazioni, nei partiti prevalentemente di sinistra e nei sindacati… un elenco nutrito di soggetti individuali e collettivi che fanno rimbalzare nelle piazze, così come nei social, immagini e parole d’ordine, che, ripetute in modo parossistico (una in particolare, l’abominevole e infondata accusa di “genocidio”), hanno come scopo la delegittimazione e la demonizzazione del  Nemico, rendendone doverosa e necessaria  la sua distruzione.

Nel mirino c’è Israele, lo stato ebraico, anzi no, lo stato sionista, nell’accezione, ormai divenuta parte della vulgata corrente, in cui il sionismo, da nobile movimento teso a restituire una patria al popolo ebraico, e per questo affine per molti versi al Risorgimento italiano, è stato degradato a progetto “colonialista”, “razzista” e “imperialista”, grazie alla propaganda, orchestrata dall’Unione Sovietica già alla fine degli anni Cinquanta e ancor di più con la Guerra dei Sei giorni del 1967. Propaganda che ha rovesciato sugli ebrei l’accusa oscena di essersi trasformati nei loro stessi aguzzini, nei “nazisti” di oggi. Una propaganda sopravvissuta alla fine dell’URSS e anzi più che mai virulenta, grazie alla partecipazione ad essa di numerosi attori, in Occidente come nel mondo islamico. Quello cui stiamo assistendo sembra avvalorare l’idea di David Niremberg, «che l’antigiudaismo non debba essere inteso come un ripostiglio arcaico e irrazionale nel vasto edificio del pensiero occidentale: di fatto è uno degli strumenti fondamentali con cui quell’edificio è stato costruito» (L’antigiudaismo. La tradizione occidentale).

Acquista così ancor più significato il titolo, Ritorno a Sion, di questo volume, scritto a più mani da ricercatori, storici e giornalisti, quali Claudia de Benedetti, David Elber, Niram Ferretti e Ugo Volli, con la prefazione di Fiamma Nirenstein.

Il libro si sviluppa sul piano cronologico; anche se il lettore può trovare cenni alle epoche precedenti, si dà spazio soprattutto alla vicenda storica di Eretz Israel, a partire dalla nascita del sionismo, nella seconda metà del XIX secolo, fino al 7 ottobre 2023 e alla guerra che ne è seguita. È dalla sconfitta dell’impero ottomano e dall’istituzione del Mandato britannico per la Palestina che si gettano le basi della legalità dello Stato di Israele, sfacciatamente negata dall’apparato propagandistico antisraeliano e antisemita. Uno spazio importante è dato al rifiuto arabo nei confronti di Israele, ancor prima della nascita dello stato nel 1948 - rifiuto in cui ha avuto un ruolo di primo piano il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin Al Husseini, entusiasta sostenitore del Terzo Reich e della “soluzione finale” -, così come alle guerre scatenate dagli eserciti arabi e al terrorismo palestinese, al fallimento degli accordi di pace, al ruolo dell’Iran alla testa dei sette fronti di guerra, che hanno cercato di stringere Israele, a partire dal 7 ottobre, in una morsa letale.

Il libro, corredato da una cronologia e da un’appendice relativa alla demografia, si conclude con un capitolo sulla demonizzazione di Israele come ennesima manifestazione di odio antiebraico: “l'itinerario storico-politico che abbiamo offerto al lettore, tra le altre cose, ha voluto mostrare come, dal 1948 ad oggi lo Stato ebraico sia stato sottoposto a costanti tentativi di distruzione e a una perenne delegittimazione che la guerra iniziata contro Hamas a seguito del 7 ottobre, non ha fatto che incrementare” (Conclusioni).

Dunque cosa significa “tornare a Sion”, alla collina che designa la parte alta di Gerusalemme e per estensione tutta la città, e con essa tutto il popolo di Israele? A mio parere, esso non va inteso solo come “ritorno” alla terra da cui si è stati espulsi più volte, ma che non è mai stata abbandonata e che è parte integrante della storia, della cultura, della religione del popolo ebraico. Un ritorno che ha lo scopo di fondarvi un “focolare”, come è scritto nella Dichiarazione Balfour del 1917, quello che sarà poi uno stato moderno, libero e democratico.

Occorre tornarci, insieme agli autori di questo libro, per dire una parola di verità, frutto di conoscenza, di analisi e di riflessione sulle fonti storiche e sulla contemporaneità, per contrastare lo tsunami di menzogne, che è invece frutto di falsificazione, omissione e deformazione della realtà. L’ignoranza del divenire storico va del resto a braccetto con la “mostrificazione” di Israele, che nell’antisemitismo dei nostri giorni ricopre il ruolo che l’ebreo, sia come individuo che come collettività, hanno avuto nella lunga storia dell’odio antiebraico dei secoli passati. Per questo, ci uniamo alla speranza espressa nella Prefazione da Fiamma Nirenstein, che questo libro si possa “vedere presto sotto il braccio degli insegnanti della scuola superiore: perché con pazienza, dovizia di particolari, modestia, riprende il filo della memoria storica fatta di documenti e di fatti, e smonta il castello ideologico per cui Israele e il popolo ebraico sono parte della grande e non mai abbastanza vituperata tribù degli oppressori, quella che secondo l'ideologia woke deve essere sconfitta in un tripudio di libertà da parte dei popoli oppressi”


takinut3@gmail.com

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