Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
L’intervento del Papa sulla guerra a Gaza Analisi di Andrea Morigi
Testata: Libero Data: 21 luglio 2025 Pagina: 13 Autore: Andrea Morigi Titolo: «L’intervento del Papa sulla guerra a Gaza»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 21/07/2025, a pag. 13 con il titolo "L’intervento del Papa sulla guerra a Gaza", l'analisi di Andrea Morigi.
Andrea Morigi
Un richiamo alla pace, ma non fazioso. Il messaggio di Leone XIV per Gaza non chiama vendetta per i cristiani uccisi, ma chiede la fine del conflitto. A differenza del cardinal Parolin (segretario di Stato) che continua, come il predecessore Francesco, ad accusare solo e sempre Israele.
Tutto quel sangue versato a Gaza non chiede vendetta, altrimenti sarebbe stato un sacrificio inutile, ma «che si fermi subito la barbarie della guerra e che si raggiunga una risoluzione pacifica del conflitto».
Dopo l’Angelus recitato da Castel Gandolfo, ieri, tutte le vittime dell’attacco israeliano alla parrocchia cattolica della Sacra Famiglia sono state ricordate per nome e cognome da Papa Leone XIV: Saad Issa Kostandi Salameh, Foumia Issa Latif Ayyad, Najwa Ibrahim Latif Abu Daoud. Sono persone, affidate alla misericordia di Dio come chi è rimasto in vita e chi è ancora prigioniero nei tunnel di Hamas dal 7 ottobre 2023.
Lo riconosce anche il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, parlando con i media vaticani: «Evidentemente, nei nomi di queste vittime sono presenti tutte le vittime della tragedia di Gaza» e dunque «non c’è assolutamente distinzione tra gli uni e gli altri», poiché «tutti sono oggetto di una violenza inaccettabile, tutti sono vittime di un conflitto che deve terminare al più presto. Li prendiamo, li sentiamo davvero tutti presenti nel nostro cuore e per tutti, per tutti, imploriamo la pace di Dio e soprattutto, grazie al loro sacrificio, al loro sangue, anche la fine di questa tragedia».
«Sono particolarmente vicino ai loro familiari e a tutti i parrocchiani. Tale atto, purtroppo, si aggiunge ai continui attacchi militari contro la popolazione civile e i luoghi di culto a Gaza», aggiunge il Pontefice, che assicura «ai nostri amati cristiani mediorientali», ringraziandoli per la loro «testimonianza di fede», di essere «vicino alla vostra sensazione di poter fare poco davanti a questa situazione così drammatica. Siete nel cuore del Papa e di tutta la Chiesa».
Perciò invita i fedeli «a fermarci soltanto per un minuto a pregare, chiedendo al Signore di illuminare i nostri governanti e ispirare in loro progetti di pace».
Alla comunità internazionale rivolge «l’appello a osservare il diritto umanitario e a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione».
A Gerusalemme, l’eco delle parole del Santo Padre arriva attutita, ma non viene ignorata. Non solo perché il premier Benjamin Netanyahu è stato colpito da una gastroenterite dopo aver mangiato cibo avariato e dovrà rimanere a riposo per almeno tre giorni. Non riuscirà nemmeno a testimoniare al processo che lo vede imputato per corruzione e il tribunale ha accettato di rinviare temporaneamente le due udienze programmate per oggi e martedì.
Perché i negoziati vadano in porto ci vorrà un ultimo sforzo e forse qualche intervento soprannaturale ulteriore, se è vero quanto affermato ieri dall’inviato speciale statunitense per gli ostaggi, Adam Boehler, alla Cnn: «Dopo che Israele ha sconfitto l’Iran, c’è l’opportunità di raggiungere un accordo, Israele lo desidera». Se non fosse che «Hamas è molto rigido. Gli sono state fatte molte proposte che avrebbero dovuto accettare, ed è ora che rilascino gli ostaggi. Sono più ottimista di prima, quello che vorrei vedere ora è che Hamas agisca.
Se non lo fa, Israele procederà con le operazioni militari».
Ieri, l’esercito israeliano ha ordinato ai residenti di Deir al-Balah, nella striscia di Gaza, di lasciare la zona. Tsahal ha dichiarato di voler lanciare un’intensa operazione nella zona contro i terroristi, chiedendo alla popolazione di recarsi nel grande accampamento di tende nella zona di Muwasi, sulla costa meridionale di Gaza, dichiarata zona umanitaria, ma ancora sottoposta a raid aerei israeliani. Finora, durante la guerra, Israele non ha schierato forze di terra nella zona di Deir al-Balah, temendo di mettere in pericolo la vita degli ostaggi israeliani che si troverebbero proprio nella zona.
Durante le recenti operazioni condotte dalla 401ª Brigata Corazzata nella zona sono stati demoliti 2,7 chilometri di tunnel nell’area. I cunicoli sotterranei erano profondi circa 20 metri, secondo Tsahal, e sono stati distrutti dai genieri.
Fonti negli ospedali della Striscia hanno riferito inoltre della morte di 115 palestinesi, 92 dei quali erano in attesa di aiuti umanitari vicino a centri di distribuzione. Tsahal ha risposto di aver sparato colpi di avvertimento «per rimuovere una minaccia immediata per le truppe» e che i dati forniti sulle vittime non sono accurati. L’esercito israeliano ha sostenuto che i fatti siano oggetto di ulteriori indagini e di «attribuire la massima importanza al trasferimento di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e di lavorare per consentire e facilitare la consegna degli aiuti in coordinamento con la comunità internazionale». La quale farebbe meglio a cessare di credere a Hamas, per evitare l’espulsione subita da Jonathan Whittall, capo dell'ufficio regionale dell’agenzia di coordinamento umanitario dell’Onu (Ocha), che aveva dichiarato: «Stiamo assistendo a una carneficina. All’uso della fame come arma. A deportazioni forzate».
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