Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Perché ci vuole così tanto tempo per sconfiggere Hamas? Analisi di Maayan Hoffman
Testata: israele.net Data: 11 luglio 2025 Pagina: 1 Autore: Maayan Hoffman Titolo: «Perché ci vuole così tanto tempo per sconfiggere Hamas? Un mix di ragioni aiuta a spiegare come mai Hamas è ancora al potere quasi 21 mesi dopo il 7 ottobre»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - la traduzione dell'analisi di Maayan Hoffman su YnetNews, dal titolo: "Perché ci vuole così tanto tempo per sconfiggere Hamas? Un mix di ragioni aiuta a spiegare come mai Hamas è ancora al potere quasi 21 mesi dopo il 7 ottobre".
Maayan HoffmanIl peso del 7 ottobre grava ancora pesantemente sulla psiche nazionale
Ci si domanda: se Israele è riuscito a conseguire rapidamente i suoi più importanti obiettivi nelle battaglie contro Hezbollah e Iran, cosa non ha funzionato a Gaza?
Secondo gli esperti, ci sono diversi fattori in gioco. Ecco una serie di differenze cruciali tra la guerra a Gaza e gli altri conflitti che Israele ha dovuto combattere negli ultimi mesi e anni.
Obiettivi non solo militari. Uno degli obiettivi dichiarati della guerra a Gaza è la distruzione sia dell’ala militare che di quella civile di Hamas. Ciò contrasta con gli obiettivi più ristretti definiti da Israele nelle sue recenti campagne contro Hezbollah e Iran.
Secondo Adi Schwartz del Misgav Institute for National Security and Zionist Strategy, “si tratta di uno scopo molto più ampio” di quelli in Libano o in Iran, focalizzati esclusivamente su obiettivi militari.
A Gaza, Israele si è proposto di smantellare un’intera struttura di governo, sia militare che politica.
In buona parte, Israele è riuscito a indebolire militarmente Hamas e a rintuzzare le sue operazioni terroristiche in modo simile a quanto ottenuto con Hezbollah e con le capacità nucleari dell’Iran. Tuttavia, Hamas mantiene ancora il controllo sulla popolazione nella Striscia.
Il 7 ottobre ha cambiato tutto. Dal 7 ottobre 2023 gli israeliani hanno compreso appieno la reale minaccia rappresentata da Hamas.
Quel giorno, più di 6.000 palestinesi della Striscia di Gaza – poco più della metà dei quali terroristi di Hamas – violarono il confine israeliano, uccisero in poche ore 1.200 persone e ne rapirono altre 251. Migliaia di persone rimasero ferite o mutilate.
A differenza delle altre recenti battaglie di Israele, l’attacco del 7 ottobre ha reso questa guerra profondamente personale ed esistenziale per ogni singolo cittadini israeliano. “È una guerra a tutto campo”, dice Schwartz.
Non si tratta semplicemente di fare giustizia. Gli israeliani, soprattutto quelli che vivono vicino ai confini (potenzialmente la stragrande maggioranza della popolazione, calcolando anche i confini a nord con Libano e Siria e quello a est con la Cisgiordania ndr), non possono riprendere la loro vita con un minimo di sicurezza finché non saranno convinti che gruppi terroristi come Hamas e Jihad islamica non possono in alcun modo riorganizzarsi e lanciare altri attacchi.
Il dilemma degli ostaggi. Fin dal primo giorno, Israele ha dovuto operare con notevoli limitazioni a causa degli ostaggi trattenuti a Gaza.
“C’erano alcuni quartieri e città che Israele faceva molta attenzione a non attaccare o bombardare, perché le Forze di Difesa ritenevano che vi fossero trattenuti gli ostaggi – spiega Schwartz – Se lo sappiamo voi ed io, ovviamente lo sapeva anche Hamas. Il che significa che potevano approfittare di quegli ostaggi e assicurarsi intere aree in cui continuare a combattere”.
Schwartz definisce gli ostaggi una sorta di “copertura di sicurezza” per l’organizzazione terroristica.
E’ della stessa opinione il generale di brigata (in congedo) Amir Avivi, dell’Israel Defense and Security Forum, secondo il quale c’è stata una continua tensione tra i due obiettivi centrali: riportare a casa gli ostaggi e sradicare Hamas. A volte, dice Avivi, questi obiettivi erano in conflitto diretto fra loro, esattamente per le ragioni descritte da Schwartz.
Tuttavia, Avivi afferma che se un cessate il fuoco temporaneo potesse riportare a casa il maggior numero possibile di ostaggi, Israele dovrebbe cogliere l’opportunità, anche se significa prolungare la missione militare contro Hamas, purché l’obiettivo ultimo sia preservato.
“L’idea è che l’esercito rimanga in posizione, non ci ritiriamo – spiega Avivi – Cioè: avere un cessate il fuoco, dopo il quale andremo avanti. Se ci ritiriamo e i terroristi si riorganizzano nelle zone che abbiamo già espugnato, questo diventerà un grosso problema”.
Tunnel, tunnel e ancora tunnel. Combattere Hamas è fondamentalmente diverso dal condurre attacchi aerei contro l’Iran o anche dal lanciare un attacco di terra contro Hezbollah. Uno dei motivi principali è l’elaborato ed esteso sistema di tunnel di Hamas.
Il gruppo ha costruito più di 200 miglia (320 km) di tunnel sotterranei, molti dei quali rinforzati con cemento e ferro, creando un campo di battaglia nascosto che ha reso le operazioni di Israele notevolmente più complicate e pericolose per i soldati.
Avivi spiega che questi tunnel sono stati utilizzati dai terroristi per una quantità di scopi: nascondere ostaggi, immagazzinare centinaia di razzi, lanciarazzi RPG e ordigni esplosivi, fornire copertura a combattenti e comandanti di Hamas (tutto meno che dare rifugio ai civili palestinesi, ndr).
I tunnel hanno anche neutralizzato molti dei vantaggi dell’esercito israeliano sul campo di battaglia, come la superiore capacità di raccolta di informazioni, gli attacchi aerei di precisione e le evolute unità di combattimento corazzate.
Il nemico è letteralmente sparito sottoterra, diventando più difficile da colpire e sconfiggere.
Niente Stato, niente regole, niente opposizione interna. Un’altra sfida a Gaza è l’assenza di un qualunque interlocutore legittimo.
In Libano, sebbene circa un terzo della popolazione sia sciita e tenda a supportare Hezbollah, un altro terzo è cristiano e un altro terzo è musulmano sunnita, comunità tendenzialmente avverse a Hezbollah. Questa diversità consente un certo livello di equilibrio politico interno.
“In Libano c’è un governo che ci sta provando – afferma Schwartz – Non sappiamo ancora se avrà successo o meno, ma almeno c’è qualcuno con cui lavorare all’interno del Libano per cercare di arginare le attività di Hezbollah”.
Al contrario, Gaza non offre tale opportunità. “Nella Striscia di Gaza, la quasi totalità della popolazione è pro-Hamas o almeno ne condivide l’ideologia”, spiega Schwartz.
Inoltre, a differenza del Libano o dell’Iran, Israele non sta combattendo uno Stato, ma un’enclave costiera dominata da un’entità terroristica che non rispetta nessuna regola di guerra (tanto per dire, i missili iraniani non erano immagazzinati sotto gli ospedali).
“C’è una grande differenza tra una guerra contro uno Stato e una guerra contro un’organizzazione terroristica – afferma Harel Chorev, ricercatore senior del Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies – Fin dall’inizio, si è sbagliato a paragonare la Guerra del Kippur del 1973 o la Guerra dei Sei Giorni del 1967 con la guerra di Gaza. Questa non è una guerra convenzionale con carri armati contro carri armati o fanteria contro fanteria”.
Doppi standard. Schwartz sostiene che da Israele si pretende uno standard diverso rispetto ad altre nazioni: Israele è tenuto a fornire cibo, acqua ed elettricità a un’area controllata e utilizzata da un’organizzazione terroristica, cosa che si è tradotta in un involontario sostegno a Hamas.
“Israele, più di qualsiasi altro paese al mondo, è stato costretto a rifornire il nemico – afferma Schwartz – Israele è sottoposto a enormi pressioni affinché fornisca aiuti, prolungando la guerra. Mettere sotto assedio una zona è un classico e legittimo strumento previsto dal diritto di guerra. Non ho mai sentito di un esercito o di un paese che cerchi di vincere una guerra e allo stesso tempo debba garantire questi rifornimenti al nemico”.
Secondo Schwartz, l’incapacità di gestire efficacemente questa situazione deriva da due fattori: l’incessante pressione internazionale e la mancanza di un piano concreto da parte dell’esercito israeliano per gestire un simile scenario.
Una guerra su più fronti. Fin dall’inizio, Israele è stato tirato in più direzioni. Da un lato l’amministrazione americana imponeva significative restrizioni, dall’altra l’esercito era costretto a dirottare risorse per combattere altri nemici.
Dal primo razzo lanciato da Hezbollah l’8 ottobre 2023, le Forze di Difesa israeliane hanno dovuto schierare un gran numero di soldati al confine settentrionale e infine impegnarsi in combattimenti dentro il Libano. Poco dopo, la caduta del regime di Assad ha creato grande instabilità al confine siriano, richiedendo anche lì forze aggiuntive.
Intanto arrivavano nuove minacce da parte degli Houthi e dell’Iran, assorbendo ulteriori energie e risorse.
“Per la prima volta in questa guerra, adesso il baricentro è concentrato su Gaza – dice Avivi – Credo che il fatto che le Forze di Difesa israeliane siano riuscite a neutralizzare l’asse, con Hezbollah, Siria, Iran, Iraq e Houthi molto indeboliti, permetta ora di concentrarsi davvero su Gaza”.
E gli esperti concordano: vincere è l’unica opzione.
Chorev ribadisce che nessun israeliano sarà disposto a vivere nelle comunità prossime a Gaza (o ad altri confini) se Hamas non verrà eliminata.
Inoltre, lasciare Hamas al potere rappresenterebbe un pericolo non solo per Israele, ma per l’intera regione, affermano sia Schwartz che Avivi.
“Qualsiasi scenario che lasci Hamas nella Striscia di Gaza è un disastro – conclude Schwartz – Il messaggio sarebbe devastante: che un’organizzazione terroristica jihadista radicale, affiliata ai Fratelli Musulmani, per quanto limitata può dichiarare guerra a uno degli attori più forti del Medio Oriente e uscirne viva, cantando vittoria. Non possiamo permetterlo”.
(Da: YnetNews, 1.7.25)
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