Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Femministe e benpensanti d'Italia sono finiti nei recinti della sharia".

Giulio Meotti

Troppo impegnate a imbrattare la statua a Milano di Indro Montanelli o a perorare nuove crociate per la “scrittura inclusiva” e i “pronomi neutri”, non fiatano sull’unica vera apartheid.
Milano, manifestazione per il rito dell’Ashura, commemorazione tradizionale islamica sciita. Migliaia di fedeli riuniti nel quartiere della Stazione Centrale per una cerimonia autorizzata dalle autorità.
Donne e uomini separati. Le donne collocate in un’area vigilata da un servizio d’ordine femminile, una specie di polizia morale tipo quella in Iran. Tutte coperte da veli integrali e schermate da un telo nero in una sorta di recinto.
Non parliamo di un rito religioso all’interno di una moschea, ma di manifestazioni in piazza pubbliche, palazzetti dello sport, parchi, università. Un rito pubblico che ostenta la segregazione di genere e la visione islamica della donna come essere inferiore.
Davvero falso, per non dire paranoico, chi dice che “anche per cristiani e ebrei è o è stato così”. Soltanto per i musulmani il credo e lo stato coincidono e determinano la condizione femminile (alla stregua di bestiame). Nelle società occidentali le ritualità religiose, millenarie, sono un complesso di regole e consuetudini che appartengono al rapporto tra l’essere umano e il suo Dio. Convivono perfettamente con quella che chiamiamo “società aperta” e “liberale”. Nell’Islam, invece, equivale, ancora oggi, alla rappresentazione spietata di quel modello di società in cui politica e religione, da Gaza a Teheran, da Kabul alla Mecca, si sovrappongono e non si sono mai separate.

Stesse scene nella capitale.
A Roma, nel giorno della chiusura del Ramadan, all'esterno della stazione della metropolitana C, le donne sono rinchiuse in un recinto, non devono neppure guardare gli uomini chini verso la Mecca.

Stesse scena a Carpi.
Stessa scena a Lodi.

Stessa scena a Mestre.

Stessa scena nei piccoli borghi del vicentino.

E non sono risparmiate le università.
Come la preghiera islamica del venerdì organizzata a Palazzo Nuovo, sede dell’Università di Torino. Anche qui, le donne separate da una rete.
Dove sono le femministe? Hanno visto le foto? In queste foto non c’è l’apartheid israeliana, c’è l’apartheid islamica. Dove sono i corsivisti? Dov’è il dibattito politico, lasciato in mano alle solite forze di destra?
L’Islam politico è capace di parlare la lingua dei propri nemici per manipolarli meglio. Ha preso il linguaggio dell'Occidente, l'ha spogliato, svuotato e l'ha usato come una maschera (inclusione, diversità, pluralismo, tutte cose che non esistono nei paesi islamici). E dietro questa maschera: una barbarie che si autodefinisce “vittima”. In questo Occidente addolcito che si scusa di esistere, che ama i suoi carnefici e odia i suoi alleati, ai giovani viene insegnato che la verità non esiste, che tutto è narrazione. E l’Islam conosce il suo pubblico. Trasforma i campus in madrasse inerti dove vengono recitati i dogmi della lotta tra razze e generi.
C'è una tragica bellezza in quest'epoca. Quella delle democrazie che tendono la mano a chi vuole sottometterle. Quella degli intellettuali che piangono Auschwitz al mattino e difendono Hamas nel pomeriggio. Quella degli umanisti che sognano la pace, anche con chi ti vuole morto.
E ora delle femministe che s’alleano con i peggiori oscurantisti sulla terra.
Per capire questa mentalità perdente dobbiamo andare, come spesso capita, a Parigi.
In un lodevole sforzo per combattere le molestie sui mezzi pubblici, l’autorità dei trasporti e la regione dell’Île-de-France hanno lanciato una campagna di tre manifesti.
Appare una giovane donna con in mano un cavo ferroviario. Il fondale marino, una grotta oscura e una foresta altrettanto oscura. Dietro la donna, predatori minacciosi, pronti a sbranare la preda. I lupi, che attaccano in branco nelle foreste dove gli umani si perdono. Poi l'orso, l’enorme e possente plantigrado pronto a schiacciare la preda. E lo squalo, il grande squalo bianco. Caccia vicino alle spiagge, lungo le rive dove le folle di vacanzieri amano bagnarsi.
Trasformando l’Uomo con la maiuscola in una belva feroce, i nostri benpensanti sono scivolati nella fiaba, dimenticando l’oppressione reale, religiosa e culturale, che logora le società occidentali.
Una volta è il Ramadan, un’altra l’Eid, ora l’Ashura e ormai sembra di stare veramente in Eurabia, tutte felicə e contentə.
La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).
Abbonarsi alla sua newsletter costa meno di un caffè alla settimana. Li vale.
Per abbonarsi, clicca qui