Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Testata: Libero Data: 08 luglio 2025 Pagina: 1/2 Autore: David Zebuloni Titolo: ««Io, giornalista ebreo linciato sui social perché porto la kippah»»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/07/2025, a pag. 1/2 con il titolo «Io, giornalista ebreo linciato sui social perché porto la kippah» la cronaca di David Zebuloni.
David Zebuloni
David Zebuloni, firma molto nota ai nostri lettori, per i suoi articoli su Libero e su Bet Magazine, è stato preso di mira dai pro-Pal. Perché indossa la kippah. Il pretesto, ora, è il suo articolo riguardo le fake news palestinesi sul ferimento della giornalista Bayan Abu Sultan. Ma ogni pretesto è buono per attaccare un giornalista ebreo.
Circola in rete una serie di insulti razzisti che mi attaccano in quanto ebreo (e in quanto tale sarei un giornalista non imparziale): si mette in questione la kippah che indosso, si maledice il sionismo che mi ha «rubato l’anima». Il tutto perché, sulle pagine di questo quotidiano, la scorsa settimana ho scritto un articolo sul coinvolgimento della giornalista palestinese Bayan Abu Sultan in un raid israeliano.
Secondo quanto riportato dai media italiani, con tanto di testimonianze fotografiche, Bayan sarebbe rimasta gravemente ferita in un attacco delle Idf. Nelle immagini divulgate, infatti, la giornalista palestinese appare insanguinata. Tuttavia, in un filmato girato in rete, si vede la stessa giornalista sana e integra ridere divertita, accudita da persone che le toccano il viso e i capelli. E in un secondo filmato circolato in rete la si vede di fronte allo specchio, mentre si stacca il sangue dal volto.
Mi permetto di fare alcune considerazioni: 1) Quando si ha il volto insanguinato, si presuppone che il sangue sgorghi da qualche ferita. Tuttavia, nel primo filmato, Bayan ha il volto perfettamente integro, senza ferite, graffi, escoriazioni né cerotti.
Nel secondo filmato Bayan si stacca il sangue dal volto. Non lo pulisce e non lo scrosta: lo stacca. E il suo sangue non lascia tracce. La pelle torna liscia e pulita. Infine, Bayan ride. Legittimo, certo. Chi non ha il diritto di ridere? Eppure è strano: a differenza della fotografia in cui appare disperata, nel filmato ride a crepapelle. E tutti intorno a lei sembrano altrettanto divertiti. Ecco, nel mio articolo ho provato a sollevare legittime perplessità basate su numerosi casi precedenti di manipolazione della realtà per mano della propaganda di Hamas.
Apriti cielo: il web è insorto, i media si sono adontati. Come osi mettere in dubbio che Bayan sia stata colpita?- protestano i miei accusatori - insinui forse dire che i palestinesi non muoiono? I palestinesi in guerra muoiono, certo, così come muoiono gli israeliani, anche se non se ne parla. Io ho soltanto sollevato dubbi circa la veridicità del coinvolgimento di Bayan.
2) Secondo il fact checking di Open, basandosi sulle immagini divulgate, si può affermare con certezza che la giornalista palestinese si trovava nel luogo dell’attacco, il Café Al Baqa sulla spiaggia di Gaza, e non avrebbe avuto il tempo di truccarsi per farsi fotografare. Il fatto che lei fosse lì, però, non è mai stato in discussione.
Per quanto riguarda il trucco invece i dubbi persistono.
Quanto ci vuole per truccarsi?
Esiste un tempo standard?
Non è tutto: anche se la tesi sostenuta da Open fosse corretta, non risponderebbe comunque ai quesiti sollevati dai filmati nei quali Bayan sta benissimo.
3) Un’altra tesi sostenuta da Open e da altri siti minori riguarda la cronologia della pubblicazione dei filmati. Si sostiene che i video sono stati condivisi successivamente all’attacco israeliano, per riportare le condizioni della giornalista non prima, ma dopo la strage.
Temo, però, che il momento della pubblicazione dei filmati non riveli molto (anzi, che non riveli nulla) dell’effettivo momento in cui sono stati realizzati. Dunque, mi sono permesso di trarre due conclusioni importanti.
La prima è rivolta agli italiani che finiscono con il tutelare Hamas più di quanto tutelino il popolo palestinese. D’altronde, il mio articolo non metteva in dubbio la sofferenza del popolo palestinese, ma condannava piuttosto la manipolazione narrativa che l’organizzazione terroristica fa sistematicamente di tale sofferenza. Pal-lywood non lo ammette.
Lo stesso sito Open ha infatti ripetutamente smascherato la propaganda propal online, dimostrando per esempio che la clip di un presunto bambino palestinese, disperato per la scomparsa della sorella, proveniva da un servizio del 2014 girato in Siria. E ancora, secondo Il Riformista, le principali testate internazionali hanno riferito che, lo scorso giugno, le Forze di difesa israeliane avrebbero ucciso circa 30 civili durante una distribuzione di aiuti a Gaza. La notizia, diffusa in tutto il mondo, si è presto rivelata falsa. L’Ong coinvolta, la Gaza Humanitarian Foundation, ha smentito e le indagini ufficiali e i video mostrano che a sparare sui civili sono stati terroristi di Hamas, escludendo un coinvolgimento israeliano.
La seconda conclusione riguarda la partigianeria dell’indignazione. Molti utenti infatti contestano la sfumatura di sangue presente sulla maglietta di Bayan, ma nessuno si esprime circa le esternazioni sconcertanti della giornalista in questione sulla strage del 7 ottobre. Come ho riportato nell’articolo precedente, il 10 ottobre 2023, appena tre giorni dopo la strage in Israele che ha dato il via alla guerra in Medio Oriente, Bayan aveva scritto sul suo profilo X: «Quando vi sentite affranti, riguardatevi i filmati del 7 ottobre». Frase che inneggia esplicitamente al terrorismo di Hamas, ma non ha scalfito tante coscienze. Anzi, molti italiani oggi abbracciano virtualmente l’innocente giornalista in quanto palestinese.
La definiscono un’eroina, chiudendo un occhio (anzi, entrambi) sul suo passato e presente ambigui. Se non è malafede e non è ipocrisia, è ideologia.
Per inviare la propria opinione a Libero, telefonare 02/999666, oppure cliccare sulla e-mail sottostante