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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio Rassegna Stampa
05.07.2025 Dal Gulag a Gerusalemme
Commento di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 05 luglio 2025
Pagina: III
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Dal Gulag a Gerusalemme»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/07/2025, a pagina III, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo: "Dal Gulag a Gerusalemme".

Informazione Corretta
Giulio Meotti

Natan Sharansky, una vita per la libertà. Otto anni in una prigione sovietica, poi emigrato in Israele e divenuto uno dei più ferventi sostenitori della democrazia in Medio Oriente. E' stato ministro e consigliere di Sharon. 

Quando nel 1996 il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton chiese al ministro dell’Industria israeliano Natan Sharansky come mai si fosse presentato alla Casa Bianca senza cravatta, lui rispose senza mostrare imbarazzo: “In Israele c’è una legge che esonera dall’obbligo della cravatta chiunque sia stato più di otto anni in una prigione russa”.

Lo zio di Anatoly “Natan” Sharansky venne arrestato dagli scagnozzi di Stalin per “attività sionista”, la stessa accusa che avrebbero rivolto al nipote. Una settimana prima che Anatoly venisse al mondo, il più grande regista ebreo, Solomon Michoels, fu assassinato dalla polizia segreta sovietica. Sharansky e i suoi organizzarono una rete clandestina che mantenne in vita la cultura e la religione ebraica sotto il comunismo, che doveva essere ateo e materialista. Tenevano corsi segreti di ebraico. Arrestarono Sharansky con l’accusa di essere una “spia”, perché voleva che gli ebrei sovietici potessero emigrare in Israele. Sharansky disse al giudice che “il mondo non ha ancora accettato il fatto che il popolo ebraico non scomparirà dalla faccia della terra”. Negli anni in cui organizzava un movimento di resistenza alla repressione sovietica, sulla stampa ufficiale il sionismo era bollato come “pornografia”. La tv di stato russa definì i refuseniks “mercanti di anime”. Quando fu condannato a tredici anni di prigione da scontare nel Gulag siberiano Perm-36, fuori dal tribunale decine di ebrei intonarono l’inno di Israele, l’Hatikvah, la speranza. In prigione, Sharansky per le feste ebraiche accendeva le candele in segno di protesta. E ogni volta veniva punito. Si ammalò gravemente, rischiando di morire, gli furono confiscati i libri di ebraico che Avital gli faceva arrivare da Gerusalemme. Il grande fisico Edward Teller da New York lo definì uno dei “martiri” del ’900. Gli dissero che rischiava il plotone di esecuzione, ma se avesse accettato di aiutare a smantellare il movimento ebraico per l’emigrazione in Israele sarebbe stato liberato e avrebbe potuto ricongiungersi con la moglie. Sharansky decise che non l’avrebbe data vinta ai suoi carcerieri. E per non perdere le facoltà mentali, in carcere giocò a scacchi con se stesso: senza pezzi né scacchiera (in Israele, da uomo libero, avrebbe sconfitto il campione del mondo Karpov).

Minuto, con un colbacco in testa e un sorriso tirato, Sharansky in un gelido febbraio del 1986 percorse da est ad ovest il “ponte delle spie” a Berlino, lo stesso che, in senso inverso, aveva imboccato anni prima Rudolf Abel, la spia sovietica la cui storia è raccontata in un film di Steven Spielberg. Sharansky si concesse un ultimo gesto di disobbedienza: il militare sovietico che lo accompagnava gli aveva ordinato di marciare dritto verso il settore occidentale e lui, a sorpresa, avanzò zigzagando.

Sharansky, che ora ha 77 anni, è oggi un importante sostenitore internazionale della libertà e della democrazia.

Secondo Sharansky, le dittature dipendono fondamentalmente dalla paura per mantenere il controllo sulla popolazione, mentre la maggior parte delle persone sono coloro che lui definisce “double thinkers”, coloro che non credono né sostengono la dittatura, ma che rimangono in silenzio per paura.

“Ci sono molte ragioni per essere ottimisti sull’Iran”, dice Sharansky al Foglio. “Lo si vede da quanto sia difficile per gli iraniani oltrepassare la linea che separa i ‘double thinkers’ e il dissenso, coloro che mentono sapendo di mentire e chi dissente apertamente. C’è molta sofferenza davanti a noi”. Nel 2007, a Praga, ci fu la conferenza internazionale sulla democrazia e sulla sicurezza, con Sharansky, George W. Bush, Vaclav Havel, il campione di scacchi Garry Kasparov e José Maria Aznar. C’era anche Amir Abbas Fakhravar. I suoi guai con la rivoluzione khomeinista iniziarono subito. A chi gli ordinava di lanciare slogan contro il “Grande Satana”, Fakhravar rispose che per lui la bandiera a stelle strisce era la stessa “che hanno piantato sulla luna e che rappresenta il progresso della razza umana”. L’opposizione al regime gli è costata una prigionia di cinque anni e giorni di terribili torture nella prigione di Evin, fra cui la “tortura bianca”, una forma di privazione del sonno molto usata nelle segrete degli ayatollah. Amnesty International, quando era ancora Amnesty, descrisse così la sua condizione: “La sua cella non aveva finestre, era completamente bianca, come i suoi abiti. Per cibo riceveva riso bianco. Le guardie non emettevano rumore. Gli era proibito parlare con chiunque”.

“Nel 2007 accettai con Aznar e altri di lanciare il meeting dei dissidenti da decine di paesi a Praga, arrivarono dal medio oriente, dalla Russia, dalla Cina e altrove”, ci racconta Sharansky. “E tutti eravamo d’accordo che il paese maturo per il cambiamento era l’Iran: ci sono organizzazioni studentesche, sindacati e altri attori essenziali per il cambiamento della società e un cambio di regime. In una società totalitaria, ci sono tre tipi di persone. Ci sono coloro che stanno con il regime; ci sono i dissidenti, i pochissimi che parlano apertamente; e la maggioranza, i ‘pensatori doppi’, che non credono nel regime, non lo vogliono, ma hanno paura di parlare apertamente. L’Iran era l’unico tra i paesi dittatoriali del medio oriente ad avere una società civile molto sviluppata”.

Poi arrivò il tradimento. “Quando nel 2009 ci fu l’Onda verde fu chiaro che il momento era arrivato per la fine della Repubblica islamica iraniana. Poi però Obama scelse la strada del dialogo con l’Iran e il regime, e per me fu un tradimento. Gli americani ci fecero capire che ogni sostegno esterno al cambio di regime sarebbe stato un danno. Il mondo libero tradì il dissenso iraniano. I leader stranieri hanno scelto di collaborare con il regime piuttosto che sostenere attivamente i suoi oppositori. Obama citò gli avvertimenti della Cia secondo cui il sostegno americano avrebbe messo in pericolo, anziché aiutare, i dissidenti iraniani. I dissidenti stessi sostenevano il contrario. Secondo coloro con cui parlai all’epoca – e qui riecheggiava direttamente ciò che io e i miei colleghi dissidenti sentivamo nell’Unione sovietica – il sostegno americano era cruciale, e ciò di cui avevano più bisogno durante le proteste era che l’Amministrazione dichiarasse chiaramente di essere dalla loro parte e di sostenere i loro obiettivi. Al contrario, la posizione di Obama

Condannato a tredici anni di carcere sovietico, Natan Sharansky venne scambiato a Berlino sul famoso “ponte delle spie” “Nel 2007 a Praga, dove ci trovammo con Bush, Aznar, Havel e altri, dicemmo che il paese maturo per il cambio di regime era l’Iran” “La sopravvivenza delle comunità ebraiche europee è in dubbio. Ma c’è da temere anche per la sopravvivenza dell’Europa stessa” “L’idea di ‘occidente’ ha sconfitto l’Unione sovietica senza sparare un colpo. Avevano paura di questa idea e lo sapevamo”.

sembra aver incoraggiato il regime a lanciare una massiccia repressione contro i suoi oppositori. Da allora ci sono stati alti e bassi e l’Iran nell’ultimo anno ha represso il dissenso come mai prima: tre impiccagioni al giorno, arresti e attacchi. Questo significa che il regime sente la propria debolezza e di essere in pericolo. La dittatura oggi è molto debole. Tutte le loro dichiarazioni sulla ‘vittoria’ contro Israele e l’America servono a cementare il regime all’interno. Se un piccolo gruppo smette di avere paura e scende in piazza, è un rischio. Se molte persone pensano che sia possibile e milioni smettono di avere paura, è la fine del regime. E spero lo vedremo nei prossimi mesi”.

Ci sono due ragioni per la loro guerra a Israele. “C’è una dimensione ideologica, ovvero credono nella superiorità islamica e nel diritto divino a controllare questa parte del mondo. Vogliono cacciare i sionisti, così come hanno ripreso le vecchie colonie dalla Francia e altri paesi. Ma c’è un altro aspetto: le dittature hanno bisogno di nemici esterni per tenere il popolo in una mobilitazione permanente. Mobilitano le persone con slogan islamici e anti israeliani. Hanno bisogno di nemici esterni, come l’Unione sovietica. Meno le persone sono ideologiche, meno il regime ha presa sulla popolazione. Gli iraniani sembrano molto meno anti israeliani e antisemiti degli europei”.

E qui veniamo al sostegno occidentale. “Mentre il sostegno all’islamismo in medio oriente cala, questo aumenta in Europa. Hezbollah sta scomparendo fisicamente e ideologicamente. In Siria è caduto il regime. In Iran gli ayatollah sono in crisi. Le persone hanno paura di Hamas, ma se potessero manifesterebbero contro gli islamisti a Gaza. E mentre c’è questo cambiamento tettonico in medio oriente, queste forze sono sempre più popolari in Europa. I nemici hanno capito come inserirsi nell’agenda progressista. Dopo il 7 ottobre, nei campus americani abbiamo visto che il pogrom è stato salutato come una ‘liberazione’. Judith Butler, la leader del femminismo woke, vent’anni fa disse che Hamas e Hezbollah erano parte della sinistra progressista. Questa idea di un’alleanza fra islamismo e progressismo è molto forte, specie ora che ci sono molti immigrati musulmani in occidente. E al tempo della guerra fra terrore e democrazia, questa alleanza è forte”.

E c’è un parallelo con il sostegno degli intellettuali occidentali che sostenevano il comunismo. “Come George Bernard Shaw, a cui piaceva tanto Stalin”, ci dice Sharansky. “Allora l’Unione sovietica era un paese chiuso, il New York Times di Walter Duranty vinse un Pulitzer scrivendo menzogne sull’Holodomor, il genocidio per fame ucraino. C’erano isolamento, niente tv né satelliti o internet. Ai miei tempi far uscire una notizia sulla persecuzione sovietica era difficilissimo. Oggi non ci sono segreti: tutti vedono la persecuzione. Come può essere giustificata questa cecità? I leader dei partiti comunisti francese e italiano negavano i Gulag. Oggi non è possibile. E’ una scelta ideologica, contro Israele e contro l’occidente. Gli utili idioti che non ne volevano sapere del comunismo oggi devono fare uno sforzo davvero intenso per negare. Non sono idioti, sono sostenitori del male”.

L’antisemitismo divampa in tutta Europa. Dieci anni fa, l’allora presidente dell’Agenzia ebraica Sharansky disse che “stiamo assistendo all’inizio della fine della storia ebraica in Europa”. Gli ebrei europei, ha continuato, “possono avere più Europa in Israele. Israele è il luogo che lotta per i valori europei. L’Europa morirà qui e sopravviverà in Israele”. In un’intervista al programma di i24News Le Grand Oral, il celebre storico Georges Bensoussan qualche settimana fa ha fornito un’analisi spaventosa della situazione degli ebrei in Francia. “Trent’anni fa, si parlava di 600 mila ebrei in Francia; oggi, 400 mila”. Ricorda che in venticinque anni 100 mila ebrei sono partiti per Israele, senza contare quelli emigrati altrove. Secondo Bensoussan, gli ebrei sono “in prima linea” in una “crisi sistemica” che riguarda l’intera società. E Menachem Margolin, presidente dell’Associazione ebraica europea (Eja), ha appena rivelato che altri “40 mila ebrei hanno lasciato l’Europa senza alcuna intenzione di tornare”. “Il futuro degli ebrei europei è davvero oscuro”, dice al Foglio Sharansky. “La sopravvivenza delle comunità è in dubbio. Ma qualche anno fa ebbi una conversazione con Alain Finkielkraut, il filosofo. Gli chiesi se aveva paura per il futuro degli ebrei in Francia. Mi rispose che aveva paura del futuro della Francia in Francia. C’è un pericolo enorme per la cultura europea. E’ sempre più chiaro che c’è un pericolo per gli ebrei europei, ma un pericolo ancora più grande per l’Europa liberale e democratica. Ma voglio credere che la maggioranza degli europei non sia pronta a cedere le proprie libertà. E che siano pronti a difendersi. E possono imparare da Israele, un piccolo paese circondato da nemici e da terroristi. E’ una battaglia spirituale”.

L’occidente non si porta più molto, è quasi una parolaccia, ma per Sharansky la sua sopravvivenza deve essere garantita lottando. “Certo che l’idea di ‘occidente’ deve essere difesa”, conclude al Foglio. “A un certo punto, gli occidentali dovranno capirlo. Questa idea ha sconfitto l’Unione sovietica senza sparare un colpo. Al tempo sapevamo che avevano paura di questa idea e che c’erano gli utili idioti. Per noi, il sostegno di Ronald Reagan fu decisivo. Era una battaglia ideologica e il suo ottimismo veniva dal potere delle idee occidentali. Oggi l’occidente è in pericolo. E dovete battervi per esso”.

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