Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
L’iraniana Mahi: “Gli attacchi di Israele uno squarcio di luce nel buio" Intervista di Luca Sabolone
Testata: Il Riformista Data: 04 luglio 2025 Pagina: 3 Autore: Luca Sabolone Titolo: «L’iraniana Mahi: “Gli attacchi di Israele uno squarcio di luce nel buio del regime, ayatollah via con supporto internazionale esterno”»
Riprendiamo dal RIFORMISTA l'intervista di Luca Sabolone alla dissidente iraniana Mahi Tavabeghavami, dal titolo: "L’iraniana Mahi: “Gli attacchi di Israele uno squarcio di luce nel buio del regime, ayatollah via con supporto internazionale esterno”".
Luca SaboloneMahi Tavabeghavami, dissidente iraniana in esilio in Italia
Da Teheran a Parma, Mahi Tavabeghavami porta con sé il peso di un’infanzia segnata dalla repressione e da una lotta senza sosta contro il regime iraniano. Una battaglia per cui è stata schedata e arrestata. Fuggita 9 anni fa grazie a un visto da studentessa e al coraggio di un’amica, oggi guida l’Associazione culturale Italo-persiana per dare voce al popolo soffocato dagli ayatollah.
Mahi, la tua vita a Teheran è stata un inferno. Quelle cicatrici si sono rimarginate o sono ferite ancora aperte?
«Le ferite che si aprono da bambina sono difficili da far rimarginare. Specialmente se ogni giorno della tua vita il regime, al quale devi sottostare, non ti permette di avere alcuna speranza nel poterle far rimarginare. Anche se ormai vivo fuori dal mio Paese, gli obbrobri che ho visto – come persone uccise davanti a me o donne incinte torturate nella stazione di polizia dove ero stata trattenuta per le mie proteste – non mi lasceranno mai».
E poi nel 2016 sei arrivata in Italia. Chi ti ha aiutata a fuggire? «Sono arrivata in Italia regolarmente con un visto da studentessa. Sono potuta uscire dal mio Paese grazie all’Università di Parma, che ha accettato la mia iscrizione a Scienze motorie. Ma devo anche ringraziare una persona, mia amica, che è riuscita a cancellare parte dei miei report in possesso della polizia. Senza questo intervento, non sarei mai riuscita a passare i controlli di sicurezza. Non potete immaginare quanto ho pianto quando l’aereo si è staccato da terra! Pianto di grande dolore».
In questi 9 anni hai mai pensato di tornare in Iran?
«A Teheran ho la mia famiglia, mio padre, mio fratello, le mie amiche. Certamente mi piacerebbe tornare, ma fin quando ci sarà questo regime i rischi sono troppo alti. La Repubblica islamica sa tutto quello che sto facendo contro di lei, e rientrare in patria significherebbe essere subito arrestata».
Come hai reagito di fronte agli attacchi di Israele e Stati Uniti contro i siti nucleari iraniani?
«Come ho sempre detto, la guerra non è mai bella ma, per noi iraniani, che fino ad oggi abbiamo sempre protestato a mani nude e ne abbiamo subìto le conseguenze, questi attacchi ci sono apparsi come uno squarcio di luce nel buio del regime oppressivo degli ayatollah».
Eppure Khamenei sostiene di aver vinto la guerra…
«La propaganda è sempre stata lo strumento usato dalla Guida suprema. Questa retorica è un potente strumento di distrazione dalle gravi problematiche interne: crisi economica, corruzione dilagante, mancanza di libertà civili e politiche, violazioni dei diritti umani».
Credi nel regime change?
«La morte dell’attuale Guida suprema, Ali Khamenei, o una successione contestata, potrebbe creare un vuoto di potere o una lotta interna che indebolirebbe ulteriormente il regime. Un supporto internazionale discreto ma efficace ai gruppi della società civile, ai movimenti per i diritti umani e ai media indipendenti iraniani potrebbe aiutarli a coordinarsi e a far sentire la propria voce per arrivare al cambio di regime».
Comunque è difficile immaginare che improvvisamente arrivi la democrazia…
«Una volta che il regime attuale dovesse vacillare, il passaggio a una Repubblica democratica sarebbe estremamente delicato. Inizialmente ci sarebbe, probabilmente, un periodo di grande incertezza, con possibili lotte intestine tra fazioni diverse. Le forze armate regolari (Artesh) e i Guardiani della Rivoluzione (Pasdaran) avrebbero un ruolo cruciale. Sarebbe necessario un governo provvisorio, idealmente formato da figure di spicco del movimento democratico come giuristi, intellettuali e rappresentanti delle diverse componenti della società iraniana, incluse le minoranze etniche. Insomma, bisognerebbe intraprendere un percorso che potrebbe durare anche anni ma che porterebbe a un Iran libero e democratico, come anche tutta l’area del Medio Oriente».
Ma gli iraniani sono pronti, determinati per dare il colpo di grazia agli ayatollah?
«L’insoddisfazione verso il regime è estremamente diffusa in Iran. Le proteste recenti dimostrano una profonda frustrazione per la repressione, la crisi economica, la corruzione e la mancanza di libertà. Sondaggi hanno mostrato che la maggioranza degli iraniani desidera un cambio di regime e una forma di governo democratica. Le proteste di quest’anno indicano un malcontento elevato e diffuso su questioni economiche e sociali, che stanno facendo aumentare la consapevolezza della popolazione iraniana nel voler dare una definitiva spallata agli ayatollah. Detto ciò, gli iraniani non sono attrezzati per poterlo fare da soli. Per questo, un supporto internazionale esterno potrebbe aiutarli».
Pahlavi può guidare la transizione. Ha il giusto consenso in patria o è un’illusione dell’Occidente?
«Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo cercare di capire la composizione delle etnie iraniche. L’Iran è composto dal 55% circa dai persiani, dal 25% dagli azeri, circa un 7% di curdi, luri, beluci e arabi che costituiscono, assieme, circa il 10% della popolazione. Al di fuori dei curdi, i quali ambiscono a una loro indipendenza, le altre etnie rappresentate sono a favore di Pahlavi. Questo anche in virtù del fatto che lo stesso Pahlavi ha ottimi rapporti diplomatici con molti Paesi stranieri, tra i quali l’America, Israele e l’Europa».
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