Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Sul banco degli imputati Israele ha ancora diritto di raccontarsi Editoriale di Claudio Velardi
Testata: Il Riformista Data: 01 luglio 2025 Pagina: 1 Autore: Claudio Velardi Titolo: «Sul banco degli imputati anche quando è vittima Israele ha ancora il diritto di raccontare sé stesso?»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 01/07/2025, l'editoriale del direttore Claudio Velardi dal titolo "Sul banco degli imputati anche quando è vittima Israele ha ancora il diritto di raccontare sé stesso?".
Claudio VelardiDalla parte giusta, una serata del Riformista, con Fiamma Nirenstein, a seguito della raccolta delle firme per la difesa di Israele. Lo Stato ebraico è vittima di una gigantesca asimmetria informativa ed è bene che almeno Il Riformista, schierandosi apertamente dalla sua parte, contribuisca a riequilibrarla. Dalla parte giusta della storia.
Ma perché una scelta di campo così netta per Israele, ci hanno chiesto in tanti per settimane?
La risposta è stata la ricchezza dei contenuti emersi nella bellissima serata di ieri, l’evidenza delle ragioni morali, culturali, strategiche, geopolitiche che impongono di stare dalla sua parte.
Già, ma perché un organo di informazione come il nostro ne ha fatto una vera e propria bandiera, dedicandovi almeno una pagina al giorno, promuovendo raccolte di firme, appelli, organizzando manifestazioni?
Semplice.
Perché Israele da molto tempo è vittima di una clamorosa, evidentissima, gigantesca asimmetria informativa, che si manifesta nelle immagini, nelle parole, nei racconti.
Insomma in una narrazione - come si dice oggi - clamorosamente a senso unico.
Nei sistemi mediatici e politici occidentali – Italia in testa - si è ormai consolidato un riflesso condizionato quando si parla di Israele: ogni sua azione viene interpretata come eccessiva, sproporzionata, moralmente deprecabile.
Ogni reazione dei suoi nemici – anche la più brutale, anche la rivendicazione terroristica – è invece inquadrata come una conseguenza.
Come un effetto di ingiustizie precedenti, di sofferenze che l’Occidente non ha saputo ascoltare.
Questa asimmetria si manifesta prima di tutto con le immagini, vere o false che siano.
Le televisioni e i social mostrano con costanza e drammaticità le vittime civili palestinesi: i bambini, i pianti, le macerie, i corpi.
Le immagini israeliane, invece, sono fredde.
Nessun morto.
Nessun lutto.
Solo generali, portavoce, tecnologie.
È una scelta narrativa non neutra.
Perché l’empatia nasce dal volto, non dal comunicato.
E se il volto umano del dolore è sempre uno solo – quello palestinese – Israele finisce per essere percepito come macchina astratta, militare, senza anima.
Mentre, in realtà, ogni singolo razzo dei 18mila che hanno colpito Israele negli ultimi 15 anni, è stata una scommessa con la morte per le famiglie che corrono nei rifugi, le madri che abbracciano i figli, i sopravvissuti che raccolgono i pezzi delle loro vite dopo un attentato: sono storie che esistono, ma che non arrivano più allo spettatore occidentale.
E se non arrivano, non esistono.
Poi c’è il piano semantico.
Se Israele bombarda una postazione terroristica, “massacra”.
Se reagisce a un’azione armata, la sua è una “escalation”.
Se colpisce un covo di Hamas dentro un ospedale, è “barbarie”.
Quando invece sono i terroristi a compiere attentati, si parla tutt’al più di “tensione”, di “spirale di violenza”, di “resistenza armata”.
È come se per Israele non valesse il principio di autodifesa.
Come se, in quanto potenza riconosciuta, democratica, avanzata, avesse il dovere morale di farsi colpire e di non reagire mai davvero.
Un paradosso: più sei moderno e civile, più devi essere inerme.
Il terzo livello dell’asimmetria è storico.
Da tempo si è affermato un racconto secondo cui Israele sarebbe una potenza coloniale: un racconto che ignora (o cancella) la storia del sionismo, la Shoah, il rifiuto palestinese a ogni proposta di pace, le guerre subite da Israele fin dal 1948, le rinunce territoriali unilaterali, le continue minacce alla sua esistenza.
È un ribaltamento clamoroso.
La nazione nata per offrire un rifugio al popolo più perseguitato della storia è oggi raccontata come la causa di tutti i mali mediorientali.
Il piccolo Stato incastonato in un’area ostile è trasformato in superpotenza oppressiva.
L’unica democrazia funzionante della regione è processata in modo più severo dei regimi teocratici e militari che la circondano.
Intendiamoci, Israele si può criticare, è legittimo e doveroso.
Ma quando le critiche diventano monotematiche, ossessive, sbilanciate, e ignorano tutto il resto, non siamo più nella critica.
Siamo alla costruzione di un nemico simbolico.
Di una colpa perenne attribuita a uno Stato che ha il torto di esistere.
E dunque la vera domanda è: Israele ha ancora il diritto di raccontare sé stesso?
La risposta, al momento, è inquietante.
Israele è messo sul banco degli imputati anche quando ha ragione.
Anche quando è vittima.
Anche quando reagisce a un pogrom, come il 7 ottobre.
Non si guarda il contesto, non si ascoltano le prove, non si chiede conto agli altri.
È Israele, in quanto tale, a doversi giustificare.
E le giustificazioni non bastano mai.
Così lo Stato ebraico si trova a dover combattere due guerre.
Una, concreta, contro i nemici che lo vogliono distruggere.
L’altra, più sottile ma non meno pericolosa, contro un racconto pubblico che lo colpevolizza in partenza.
Questa seconda guerra si gioca sulle nostre televisioni, nelle Università, nei talk show, sui social network.
È lì che si forma l’opinione pubblica.
È lì che oggi si decide chi ha diritto a esistere, e chi no.
Ed è proprio contro questo racconto che noi continueremo ostinatamente a combattere, incoraggiati dalla splendida assemblea di ieri sera.
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