Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Ovvio che l’Iran non è finito… Editoriale del Jerusalem Post
Testata: israele.net Data: 28 giugno 2025 Pagina: 1 Autore: Editoriale del Jerusalem Post Titolo: «Ovvio che l’Iran non è finito…»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - l'editoriale del Jerusalem Post del 26/06/2025 dal titolo 'Ovvio che l’Iran non è finito…'.
L'Iran rimane anche ora una minaccia costante per Israele, benché debilitato militarmente e odiato dalla sua stessa popolazione che non ne più del regime teocratico
Dopo 627 estenuanti giorni a Gaza, la “vittoria totale” che il primo ministro Benjamin Netanyahu aveva promesso alla traumatizzata nazione israeliana potrebbe essere arrivata da una direzione diversa: l’Iran. Si consideri la portata della minaccia. L’Iran aveva accumulato un arsenale impressionante di 2.000-3.000 missili balistici, molti dei quali in grado di penetrare in profondità nel territorio israeliano e infliggere danni catastrofici ai centri civili. Questi missili erano stati deliberatamente disseminati sul vasto territorio iraniano, rendendo qualsiasi attacco preventivo carico del rischio di una seconda ondata devastante. Si trattava di una classica strategia di deterrenza. Eppure, in soli 12 giorni Israele ha infranto quel deterrente. L’Operazione Rising Lion rappresenta una delle campagne militari più audaci e strategicamente compatte nella storia israeliana. Attraverso una combinazione di attacchi aerei di precisione, sabotaggi guidati dal Mossad e uccisioni mirate – in stretto coordinamento con gli Stati Uniti e con il presidente Donald Trump – Israele ha provocato una degradazione pressoché totale dell’infrastruttura nucleare e militare di Teheran. Le conseguenze regionali e geopolitiche sono a dir poco sismiche. Lanciata il 13 giugno, la campagna ha colpito siti nucleari chiave a Natanz, Fordow e Isfahan. Poco dopo, gli Stati Uniti si sono uniti all’uno-due con formidabili munizioni anti-bunker, per completare l’opera. Immagini satellitari e rapporti di intelligence confermano distruzioni su vasta scala: cruciali sistemi di alimentazione sono stati interrotti, sono state distrutte centrifughe, gli impianti sotterranei di Fordow hanno subito quelli che l’AIEA ha definito “danni molto significativi”. La scritta in ebraico “morte a Israele” su un missile balistico iraniano Ghadr, esibito a Isfahan Sebbene l’entità totale dei danni rimanga segreta, gli esperti stimano che la tempistica iraniana dell’arricchimento dell’uranio sia stata posticipata di mesi, se non di anni. Parallelamente a questi attacchi, c’è stata una campagna silenziosa ma altrettanto devastante: l’eliminazione di almeno 14 importanti scienziati nucleari iraniani (inquadrati nel Corpo delle Guardie Rivoluzionarie ndr). La perdita di questo serbatoio di know-how non solo ostacola le capacità tecniche immediate, ma instilla anche una psicologica di paura, dissuadendo altri dal prenderne il posto. E’ stata una guerra non solo di acciaio e fiamme, ma anche di memoria e determinazione. Non basta. Israele ha anche neutralizzato gran parte delle difese anti-aeree e delle reti missilistiche dell’Iran. Utilizzando droni, guerra elettronica e risorse stealth, le forze israeliane hanno sistematicamente smantellato le capacità offensive dell’Iran. Una base segreta di droni del Mossad dentro l’Iran ha permesso di colpire con precisione dall’interno, facendo collassare le capacità di ritorsione della Repubblica Islamica prima che potessero dispiegarsi completamente. Si è trattato di una guerra ibrida – fisica, digitale e psicologica – al massimo grado, eseguita con un coordinamento sbalorditivo. Israele ne è uscito con i suoi obiettivi chiaramente raggiunti: il programma nucleare iraniano è in stallo, la sua minaccia missilistica è seriamente indebolita, le sue difese anti-aeree sono state smantellate. Netanyahu e Trump hanno descritto l’esito come un successo sia militare che diplomatico, ottenuto senza trascinare gli Stati Uniti in una lunga guerra. I mercati hanno reagito di conseguenza. I prezzi del petrolio si sono stabilizzati. Gli attori regionali sono rimasti in pausa. Il messaggio è stato chiaro e forte: il ricorso alla forza, quando necessario, non deve necessariamente sfociare nel caos. Ovviamente, l’Iran non è finito. Rimangono centrifughe nascoste. Esistono ancora scorte di uranio arricchito. Le ambizioni del regime non sono cancellate. Ma la finestra temporale è decisamente cambiata. Israele ha guadagnato tempo cruciale: tempo per prepararsi, per dissuadere, per re-impegnare il mondo da una posizione di forza anziché di disperazione. Questa operazione segna una svolta nella dottrina israeliana. Segnala il passaggio verso una deterrenza proattiva, integrata e multidisciplinare. Inoltre ricorda al mondo che Israele non aspetterà il consenso internazionale quando è in gioco la sua stessa esistenza. Agirà rapidamente, con decisione e da solo, se necessario. Il Medio Oriente, come sempre, rimane sul filo del rasoio. Ma l’equilibrio si è spostato. Il progetto nucleare iraniano è allo sbando. Il regime si trova ad affrontare non solo perdite materiali, ma anche una crisi di fiducia. Nel frattempo Israele si è riaffermato, non solo come potenza militare regionale, ma come un soggetto sovrano, pronto a farsi carico dell’onere della propria sopravvivenza. L’Iran si ricostruirà? Probabile. Ma lo farà sotto sorveglianza, sotto costrizione e sotto un rischio costante. Israele ha dimostrato che il regime iraniano non era e non è inattaccabile. In questo intervallo di tempo a Israele, agli Stati Uniti e al mondo si apre la possibilità di rimodellare l’arco di questo conflitto che avvampa da troppo tempo. Per un paese da sempre logorato dalla guerra, “vittoria totale” non deve necessariamente significare la distruzione totale del nemico. Può significare qualcosa di più semplice: anche questa volta siamo sopravvissuti. Abbiamo superato la minaccia. Abbiamo visto cosa stava per accadere e abbiamo fatto ciò che andava fatto. Il mondo potrebbe non riconoscerlo pubblicamente, potrebbe persino non capire il potenziale Armageddon che è stato scongiurato. Lasciamo che gli altri discettino, temporeggino, equivochino. Israele ha agito. E in questo lucido coraggio sta l’essenza della vittoria. (Da: Jerusalem Post, 26.6.25)
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