Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La tregua in Iran getta nel panico le sinistre Editoriale di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 25 giugno 2025 Pagina: 1/18 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Le vedove di Khamenei sono nel panico ma ci sono sei ragioni per essere contenti»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 25/06/2025, a pag. 1/18, con il titolo "Le vedove di Khamenei sono nel panico ma ci sono sei ragioni per essere contenti", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele CapezzoneLa sinistra italiana ha puntato tutto sul terrorismo islamico travestito da rivoluzione e sull'odio nei confronti di Israele per accattare briciole di consenso e ora che Khamenei ha subito una sconfitta militare da parte di Israele e Usa si dispera.
Tutti a commentare il Donald furioso che a un certo punto della giornata di ieri sbotta contro le violazioni incrociate del “cessate il fuoco”. Ma la notizia del giorno qui più vicino a noi- è l’angoscia dei progressisti italiani, in Parlamento come nelle redazioni. Panico a sinistra: l’ayatollah ha perso. Panico ancora peggiore: i “perfidi” Netanyahu e Trump hanno spettacolarmente vinto. Sta tutto qui il dramma di quelle che potremmo chiamare le “bimbe” (e ovviamente anche i “bimbi”) di Khamenei. Per dodici lunghissimi giorni, non ne hanno azzeccata una, ma ancora parlano. Non ci hanno capito una mazza, come si direbbe a Oxford (o forse a Cambridge), ma in compenso - risistemati trucco e parrucco- si ripresentano in tv a spiegare (dopo) quello che non avevano compreso (prima).
«Scoppierà la Terza Guerra Mondiale», proclamavano. Non è scoppiata.
«L’incendio si propagherà», sdottoreggiavano. E invece è già stato quasi completamente spento. «Il domino coinvolgerà gli altri paesi islamici e arroventerà le piazze musulmane», puntualizzavano.
Risultato? I vicini islamici sono compiaciuti delle disgrazie iraniane e le piazze islamiche non sono mai state così fredde.
«Sarà una guerra lunga», pontificavano. È durata meno di due settimane.
«Russia e Cina entreranno in campo». E invece Putin e Xi si sono tenuti alla larga, lasciando mano libera a Trump e Netanyahu e limitandosi al minimo sindacale della solidarietà verso un regime al tracollo.
Potremmo continuare così per una paginata intera, ma non vogliamo infierire, perché la realtà è già stata abbastanza crudele. Poi- certo, come si diceva all’inizio - la giornata di ieri è stata carica di tensioni e incertezze, con ripetute violazioni del “cessate il fuoco”. Ed è ancora presto per esultare.
7 OTTOBRE COME PEARL HARBOR E tuttavia almeno sei evidenze appaiono innegabili. Primo: Netanyahu ha mostrato che il 7 ottobre, per Israele, si è rivelato simile a ciò che fu Pearl Harbor per l’America: l’innesco di una risposta e di una riscossa inevitabili.
Secondo: Trump ha marginalizzato le componenti più isolazioniste della sua cerchia, senza con ciò imbarcarsi in pericolose avventure “boots on the ground”. Quindi ha colpito, lo ha fatto rapidamente ed efficacemente, ma senza dispiegare truppe sul terreno.
Terzo: è stata ricostituita la deterrenza americana, nel senso che un po’ tutti, da Pechino a Mosca, hanno constatato che il guardiano del mondo c’è e non si è distratto.
Quarto: il regime di Teheran, che puntava da anni a egemonizzare la regione, è oggi in ginocchio.
Quinto: ci sono le condizioni, sulla scia di quanto era stato seminato dal Trump-uno con gli Accordi di Abramo, per un Medio Oriente più stabile, basato sui due pilastri di Gerusalemme e Riad.
Sesto: a questo punto, anche dal punto di vista israeliano, può essere più vicina (o meno lontana) la fine delle ostilità a Gaza, con quel che rimane di Hamas che ha perduto i padrini iraniani.
Preveniamo le obiezioni: no, certo che il mondo non è istantaneamente diventato un posto meraviglioso. Però questo sì - è divenuto un luogo un pochino meno pericoloso. Ne hanno merito un uomo di nome Bibi e un altro di nome Donald.
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