Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Intervista a Dalia Gubbay: Israele è unito Intervista di Simona Bertuzzi
Testata: Libero Data: 22 giugno 2025 Pagina: 8 Autore: Simona Bertuzzi Titolo: ««Famiglie spaccate e paura dei missili. Ma Israele è unito»»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 22/06/2025, a pag. 8, con il titolo "«Famiglie spaccate e paura dei missili. Ma Israele è unito»", l'intervista di Simona Bertuzzi a Dalia Gubbay.
Dalia Gubbay, assessore alle scuole della comunità ebraica milanese
Mentre parliamo al telefono in un pomeriggio ordinario di città, a Tel Aviv un missile ha colpito una scuola, i vecchi scendono affannati le scale dei palazzi che portano ai rifugi blindati e i bimbi strapazzano le mamme domandando a che ora finiranno il buio e le sirene.
Le notizie corrono rapide sui canali telegram “Israele senza filtri” e “lion udler” e arrivano dritte a Milano. Una versione social dei vecchi bollettini di guerra. C’è tutto lì dentro, i feriti, le lacrime, il coraggio. Non dorme la notte Dalia Gubbay, assessore alle scuole della comunità ebraica milanese. Attaccata ai telefoni per raccogliere aggiornamenti e speranze, porta sollievo alle famiglie che sono rimaste in questo limbo di guerra adesso che hanno chiuso anche lo spazio aereo sopra Israele. Alcune al di qua del baratro e decise a rientrare in patria. Altre di là, martoriate dalla minaccia di Teheran ma convinte di essere dalla parte giusta della barricata.
Il momento più difficile forse. «Siamo già abbastanza fiaccati da quest’ultimo anno e mezzo. È un trauma recente il 7 ottobre, 53 ostaggi non sono ancora tornati a casa. E sono passati 624 giorni». Cosa pensa della guerra all’Iran? «Siamo stati bombardati da Houthi e da Hezbollah, sapendo bene che dietro queste azioni c’era sempre l’Iran. Ora ci viene chiesto se siamo d’accordo sull’attacco a Teheran? La riposta è che abbiamo compreso tutti che non si poteva attendere oltre, perché si avvicinava il momento in cui il regime oscurantista iraniano avrebbe usato l’arma nucleare. Il punto della loro carta è annientare Israele. Come per Hamas. Cosa avremmo dovuto fare? Questo attacco è un favore che Israele fa al mondo libero». In Israele come vivono queste ore? «Subiscono la reazione più forte di sempre. Con missili che fanno molto rumore ed esplosioni folli. Non tutti vengono intercettati dal sistema di difesa israeliano. E c’è il timore delle bombe a grappolo». Non ci si abitua mai alla guerra. «Le confesso che in questi anni la percezione del pericolo era molto più forte da parte nostra che loro. Sentivano le sirene, scendevano nei rifugi, e dopo poco uscivano e la vita ricominciava. Adesso è diverso: hanno chiuso le scuole. Ci sono bimbi da gestire. Anziani in difficoltà. Chi può va a lavorare ma ci vuole coraggio. Inoltre hanno chiuso l’aeroporto di Ben Gurion fino a nuovo avviso. Non era mai successo. Mia nipote che vive là ogni tanto prova a fare due passi nel parco sotto casa. Ma non si avventura lontano e mai per troppo tempo. Quando l’attacco è imminente inizia a suonare il cellulare di tutti in modo strano.
La mia amica l’altro giorno era al telefono col figlio, il cellulare ha fatto un suono sordo e lui le ha detto “mamma scappo perché bombardano”. Hai 10 minuti per metterti al riparo e non sai se quando tornerai la tua casa sarà sparita».
Come si sono attrezzati? «Qualcuno ha la stanza blindata che di solito corrisponde alla camera da letto dei bimbi. In alcuni palazzi invece c’è un unico rifugio. Si corre tutti in quella direzione con le prime cose che si riesce a prendere. È successo anche a me: ero in Israele per Natale, coi miei figli. Alle tre di notte scatta l’allarme. Ci siamo catapultati nel bunker dell’hotel in pigiama. Donne, uomini, odore di chiuso, i bimbi che piangevano». E i vecchi come fanno? «La mamma di una mia amica ha 90 anni e alla figlia ha detto “non posso continuare a scendere le scale e risalirle. Non ce la faccio. Resto in casa mia e se il missile mi becca muoio lì”. Poi ci sono le mamme coi bambini. La figlia di una signora che conosco ha appena partorito e ora si trova al terzo piano di una casa senza ascensore con l’assillo delle bombe e il neonato che piange. Succedono anche cose straordinarie. Due ragazzi si sono sposati dentro un garage dimesso, la musica, gli short, le canottiere semplici, ma erano felici. E ho visto un papà suonare il piano per i figli dentro la casa che grondava macerie e distruzione».
Ci sono anche famiglie spaccate dalla chiusura dello spazio aereo. «La figlia di un amico insegnante è venuta a trovare i genitori e sta cercando disperatamente di tornare dai 3 figli rimasti in Israele col padre. Altri dovevano fermarsi in Italia pochi giorni e sono rimasti spiazzati. E poi i 120 ragazzi orfani del 7 ottobre. Erano partiti per una vacanza e ora non sanno che fare. Un hotel di Canazei si è offerto di ospitarli».
Tanti saranno arrivati dopo il 7 ottobre. «Tanti che avevano amici e parenti qui. Abbiamo accolto 50 ragazzi a scuola. Li aiutavo come potevo poi uscivo la sera e mi chiudevo in macchina a piangere. Ricordo una famiglia sopravvissuta alla strage nel loro kibbutz. I bambini non si staccavano dalle gambe della mamma. Erano rimasti nascosti al buio otto ore in un armadio per sfuggire ai terroristi. E sa una cosa? Sono tornati in Israele». Mi dica di lei. «Sono nata a Milano ma mio padre è del Cairo e mia madre siriana. Mio marito invece appartiene a una famiglia libanese scappata dal Libano nel 76 per la guerra. Sono fortunata perché ho i miei 6 figli tutti qui». Dove trovate la forza? «La cosa affascinante è che gli ebrei sono un popolo. E vogliono tornare nel loro paese anche se è bombardato. Ci sono migliaia di israeliani sparsi nel mondo in questa situazione. Tanti hanno lasciato Israele in questo anno e mezzo. Ma per assurdo è più consistente il fenomeno contrario, l’Aliyah.
E anche da qui è un sentire viscerale».
Predomina la paura, l’orgoglio o la rabbia in chi è là? «Non vogliono sentire dire che sono spaventati perché c’è una fierezza incredibile, soprattutto nei ragazzi. Mio nipote mi ha scritto che “questa volta è sbatti zia... siamo angosciati ma orgogliosi di essere qui”. C’è un consenso fortissimo attorno a questa guerra, molto più forte che su Gaza». Cosa intende? «Credo dipenda dal fatto che nella guerra contro Hamas c’è il tema degli ostaggi che crea spaccature forti e mina l’unità». Conosce le loro famiglie? «Conosco Liran Berman che ha due fratelli gemelli ostaggio di Hamas. La mamma è annientata, lui spera ancora». È tornata in Israele?
«Diverse volte, il primo viaggio l’ho fatto il 7 febbraio del 2024. Siamo entrati nel kibbutz Nir Oz con gli elmetti e abbiamo visto la devastazione. Sul campo del festival Supernova invece abbiamo piantato un albero in ricordo dei ragazzi. Ho visitato anche una base militare e ho toccato con mano la difficoltà dei soldati. Hanno richiamato i riservisti e mancano armi e vestiario. Tra loro c’è chi non ama Netanyahu, ma è convinto che sia suo dovere combattere». In Italia venerdì c’è stato lo sciopero contro Israele. Non le sembra paradossale? «Siamo all’assurdo e le dico di più. Hanno aggredito due ragazzi di fronte alla sinagoga. E quanti ne hanno parlato? Ci mortifica il sostegno al regime iraniano e ai terroristi di Hamas. Si chiama antisemitismo. Pare che tutto quello che riguarda gli ebrei sia visto in un’ottica diversa. Se noi bombardiamo siamo assassini, se bombardano loro niente. E ai cortei vedo omosessuali sfilare contro gli ebrei, non capendo che un omosessuale in quei regimi lo impiccano». Sinistra miope? «Forse Israele ha perso la guerra della comunicazione. Loro mostrano le foto dei bambini di Gaza sapendo di fare breccia nell’emotività delle persone. Noi sul 7 ottobre avremmo cose orrende da mostrare al mondo. Ma per pudore non lo facciamo. Io sono fiera di essere ebrea e non voglio tornare agli anni 40. Chi ci attacca è antisemita non antisionista. C’è un’ignoranza incredibile». Ignoranti anche i politici? «Più che altro assenti. Da sinistra mai sentito una parola di solidarietà». E il risultato? «Che alla fine solo il centrodestra ci è vicino». Le ha fatto male sapere che un negozio in centro a Milano vietava l’ingresso agli ebrei? «Abbiamo rischiato di fare una rivolta. Tornare alla notte dei cristalli non è tollerabile». E il sindaco Sala? «Per i fratellini Bibas non ha acceso le luci del Comune. Per Gaza sì». Minacce? «Ce ne sono molte. Ci dicono di non portare la kippah il sabato, di non dare nell’occhio. Alcune ragazze ortodosse con la gonna lunga vicino alla sinagoga si sono sentite urlare contro “sporche ebree”. E qualcuno è stato inseguito con una bottiglia di vetro. Ma noi continuiamo la vita di sempre. E davanti alla porta ho tenuto la Mezuzah, la pergamena con i passi della torah». Cosa direbbe a chi vi critica? «Israele è una democrazia e vive per la pace, non a caso il suo esercito si chiama Israel Defense Forces. Ma siamo attaccati da sempre e lottiamo per sopravvivere».
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