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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Libero Rassegna Stampa
12.06.2025 Trump e Musk fanno pace
Commento di Giovanni Sallusti

Testata: Libero
Data: 12 giugno 2025
Pagina: 1/18
Autore: Giovanni Sallusti
Titolo: «Trump e Musk fanno pace, per fare guerra al woke»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 12/06/2025, a pag. 1/18 con il titolo "Trump e Musk fanno pace, per fare guerra al woke" il commento di Giovanni Sallusti.

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Giovanni Sallusti

Dopo che son volati gli stracci, in pubblico, a colpi di commenti insultanti sui social network, è di nuovo pace fra Trump e Musk. Perché hanno troppi nemici in comune per combattersi fra loro. Ma quanto durerà?

Ci piace vincere facile, e anticipare qui la spiegazione che il Giornalista Collettivo darà del riavvicinamento tra Elon Musk e Donald Trump: squilibri umorali, con allusioni moralistiche al consumo di sostanze da parte del primo. Per chi volesse oltrepassare questo grado zero dell’analisi, ribadiamo l’ovvio: il rapporto tra il presidente degli Stati Uniti e l’uomo più ricco del pianeta attecchisce in un groviglio di potere politico, forza economica, visioni condivise, interessi reciproci. Poiché ognuna di queste variabili è allo stesso tempo significativa e parziale, conviene seguire il filo della cronaca.
Il primo passo lo fa colui che aveva strappato violentemente, Elon Musk. Ovviamente, su X: «Mi rammarico per alcuni miei post sul presidente Donald Trump. Sono andati troppo oltre».
Per qualcuno con la sua consapevolezza di sé, è un atto clamoroso. Qui conta perfino poco la profondità del “pentimento” nel foro interiore, la relazione Trump-Musk è per sua natura pubblica e ultrapolitica, decisiva per la polis americana. E quello che oggi è fuori dallo Studio Ovale si è probabilmente rammentato del motivo per cui si è (e ha) tanto speso per riportarci dentro l’altro. L’adesione di Musk al trumpismo (e anche il tentativo in parte velleitario di indirizzarlo) poggia anzitutto su quella che per l’imprenditore-visionario è una necessità epocale della civiltà americana (e occidentale). Con sintesi estrema: farla finita con l’abbaglio suicida Woke («ho giurato di distruggere il virus mentale Woke», ha proclamato più volte l’ex Doge). Attenzione: per lui è allo stesso tempo una necessità di business e di idee. Corrisponde a un trauma dell’esistenza, quello del figlio Xavier che ha ultimato un percorso di transizione farmacologico e chirurgico per diventare Vivien (secondo Musk condizionato precocemente dall’ideologia della fluidità di genere). E s’incardina in una problematica aziendale: Tesla si è trasferita in Texas per la iper-regolamentazione e la iper-tassazione californiane, funzionali ad alimentare l’apparato assistenzialista politicamente corretto a favore delle “minoranze” più disparate.
Dal punto di vista di Musk, il Wokismo è una minaccia esiziale all’essenza stessa del sogno americano: la libertà dell’individuo di autodeterminarsi, senza la quale non esistono nemmeno l’impresa, il mercato, la ricchezza, la corsa prometeica allo spazio. Se questa è la battaglia delle battaglie, Musk sa che politicamente il cavallo-Trump è senza ritorno. Non ce n’è un altro pronto all’uso, visto che The Donald è esattamente il ruggito dell’America profonda (l’“elegia” cantata da JD Vance) contro la follia wokista costiera, ingegneristica, tutta dem.
Allora, una riconciliazione almeno parziale tra i due sta nelle cose, nella “verità effettuale” machiavelliana, nei fatturati e nei valori. Lo sa bene anche Trump, che in un forum sul New York Post ha dichiarato: «Non provo alcun rancore» e «penso di potermi riconciliare».
Anche al presidente conviene non spezzare il legame con la potenza finanziaria, tecnologica, comunicativa che rappresenta il creatore di SpaceX. Una convivenza, o quantomeno una non belligeranza, che poggia sul permanere delle differenze.
Il tecno-libertarismo antistatalista di Musk non può sovrapporsi perfettamente all’agenda di Trump, che è anzitutto l’agenda della working class americana, nuovo blocco sociale del nuovo Partito Repubblicano, quindi l’agenda della re-industrializzazione anche forzata e interventista.
Ma il nemico è lo stesso, è quello che stava uccidendo il sogno, e senza il sogno non esistono né le fabbriche della Rust Belt né le astronavi per Marte.

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