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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero Rassegna Stampa
10.06.2025 Il flop del referendum è costato agli italiani 350 milioni!
Commento di Francesco Storace

Testata: Libero
Data: 10 giugno 2025
Pagina: 6
Autore: Francesco Storace
Titolo: «Il fallimento dei compagni ci è costato 350 milioni»

Riprendiamo da LIBERO di oggi 10/06/2025, a pag. 6, con il titolo "Il fallimento dei compagni ci è costato 350 milioni", il commento di Francesco Storace.


Francesco Storace

Urne vuote e anche il nostro portafogli piange. Perché i cinque referendum proposti dalla sinistra e votati da appena il 28% degli italiani, ci sono costati 350 milioni di euro.

Se non ci fosse questa sinistra andrebbe inventata.
Nemmeno il tempo di riprendersi dallo choc per la batosta referendaria che già pensano alla prossima volta. Ma non si scusano per il numero elevato di milioni di euro degli italiani che sono stati necessari per pagare la loro resa dei conti interna. Volevano un’Italia più straniera; volevano liquidare le leggi approvate da loro con Renzi; volevano ottenere più “Sì” referendari rispetto ai 12 milioni di voti del centrodestra del 2022; non uno di questi obiettivi è stato raggiunto.
In compenso, il salasso per gli italiani veleggia tra i tre e i quattrocento milioni di euro (dipenderà tutto dalla spesa a consuntivo legata all’allestimento dei seggi, alla stampa delle schede e del materiale elettorale, il compenso a scrutatori, e via discorrendo). Li pagheremo noi e non loro, una coalizione intera e non solo uno o due partiti. E per questo si beano anche di una sconfitta sonora.
Siamo al punto che, non contento, è Riccardo Magi, di +Europa, promotore del referendum più fallimentare, quello sulla cittadinanza agli immigrati, ne spara subito una, nemmeno tanto originale. Il quorum non si raggiunge: abbassiamolo... E qui bisogna intendersi ancora meglio. Perché sembra un obiettivo alla portata: con il 50% non si riesce ad arrivare a rendere validi i referendum? E lui, con tanta fantasia, dice di abrogare il quorum o magari di ridurlo a chissà quanto. Con lo straordinario risultato di una minoranza che raccoglie le poche firme necessarie a convocare la consultazione in cui far competere altrettante minoranze, se il numero delle sottoscrizioni resta così basso.
Ma, al solito, c’è un ma con cui Magi e suoi sodali devono fare i conti: per modificare quorum e numero di firme minime, bisogna fare una riforma costituzionale, perché è l’articolo 75 della nostra Carta a dettare le regole. In maniera molto chiara: «È indetto un referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge quando lo richiedono 500mila elettori o 5 Consigli regionali. La proposta è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti espressi».
E questo dovrebbe servire a far capire anche perché i costituenti misero un freno, il quorum, all’utilizzo strumentale dei referendum. Ci sono i numeri in questo Parlamento per entrambe le modifiche – quorum e firme soprattutto all’indomani di una consultazione che ci è costata quel botto di soldi (e per fortuna non si dovranno rimborsare spese elettorali non essendo risultati validi i referendum)? Di più, Magi insiste con supponenza e annuncia: «Proporremo alle forze in Parlamento di sostenere una proposta di riforma costituzionale che elimini il quorum». Ecco, «a partire dalle forze politiche» del sì, significa ricominciare con la solfa Pd, M5s e Avs. Ha capito davvero poco.
Sono solo chiacchiere per distrarre dal fallimento politico registrato dai promotori della convocazione a cui gli italiani hanno risposto in meno di un terzo. Tanto più che in certi ragionamenti si registra ancora la pretesa di aver «battuto» il governo modello 2022, quello degli oltre dodici milioni di voti ai partiti di maggioranza capitanati dalla Meloni. Ancora ieri pomeriggio, anziché smaltire la botta, Elly Schlein ha intonato la solita sintonia tipica degli sconfitti, intestandosi i 14 milioni che si sono recati alle urne. Ma in quegli elettori c’erano anche tutti quelli che hanno votato no nei referendum e che quindi non possono essere conteggiati nei Sì.
Per intenderci, se il referendum sui licenziamenti – quello più votato – si ferma appena sopra i 12 milioni di consensi, come si fa a cantare vittoria? La Schlein non ha visto arrivare i conti dello scrutinio, potremmo dire, nel disastro che ha provocato col suo partito con una mobilitazione senza capo né coda. È evidente che se la sinistra pensa di continuare in questa maniera, ben difficilmente si riusciranno a rendere valide le consultazioni referendarie. Vogliono privilegiare la logica del muro contro muro? Si accomodino pure ma non smetteranno di prendere musate contro la volontà del corpo elettorale.

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