Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Israele e Thunberg: dramma e farsa Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 10 giugno 2025 Pagina: 1/11 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «Israele dona alla Thunberg pane e la verità su Hamas»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 10/06/2025, a pag. 1/11, con il titolo "Israele dona alla Thunberg pane e la verità su Hamas", l'editoriale di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
La farsa: la Marina israeliana regala un panino (nella plastica) a Greta Thunberg. Una figura di attivista e influencer che può essere sia tragica che comica, una testimonial delle cause politicamente corrette, invitata da tutti i poteri forti occidentali.
Bifronte come certe figure della mitologia greca, Greta Thunberg ha ormai due maschere: una farsesca e una tragica.
Volete quella farsesca?
Basta accostare le sue dichiarazioni frignanti di ieri secondo cui lei, l’equipaggio e la sua barchetta sarebbero stati nientemeno che «kidnapped», cioè rapiti e sequestrati dall’esercito israeliano, con la foto di lei – sempre lei, mica una sosia – tutta contenta di ricevere un sandwich da un soldato Idf. Ma come? Il sequestratore che passa la pagnottella alla povera eroina sequestrata? E lei, la coraggiosa attivista, la pasionaria indomita, che si fa irretire da una merenda? Già qui verrebbe voglia di far calare il sipario.
Anzi: prima di stendere un velo pietoso, vale la pena di riandare con la memoria alla lunga serie di capi di stato e di governo, di banchieri, di personalità che per anni pendevano dalle labbra della ragazzina. Andavano a omaggiarla e a chiederle una benedizione. Andavano a scusarsi e a farsi legittimare. E lei – severissima e implacabile – rispondeva a suon di sganassoni metaforici: «Ci state deludendo, ma gli occhi di tutte le generazioni future sono su di voi, e se sceglierete di fallire non vi perdoneremo mai». E più la ragazzina scagliava anatemi, più riceveva inchini e ringraziamenti.
Finalmente in Israele ha trovato – è proprio il caso di dire – pane per i suoi denti. L’hanno rifocillata (bene), l’hanno adeguatamente presa in giro (il governo israeliano ha definito la sua barchetta un «selfie yacht», cioè un’imbarcazione per farsi le foto). E poi le hanno impartito una lezione di vita vera e seria, invitandola ad assistere a un lungo video sui crimini commessi da Hamas il 7 ottobre.
Avrà capito? Forse no.
Ma almeno qualcuno l’ha messa in condizione di farlo, spiegandole il confine tra sceneggiate (le sue) e tragedie (quelle provocate da coloro che – più o meno consapevolmente – difende).
A proposito di tragedie: e qui siamo al secondo volto di Greta. Ieri l’autorevole Telegraph, quotidiano di Londra, ha sparato la notizia secondo cui ad aver contribuito a organizzare la spedizione navale di Greta sarebbe stato un uomo accusato da anni di essere un operativo di Hamas basato a Londra, Zaher Birawi (il quale ha sempre negato con forza questa circostanza).
OMBRE
Ovviamente si tratta di capire se l’indiscrezione sarà confermata e se le accuse si riveleranno fondate. Ma – se così fosse – tutta l’operazione assumerebbe contorni assai più cupi. E soprattutto l’angelica Greta – più o meno conscia di esserlo – si confermerebbe simile a una sorta di scatola vuota variamente utilizzabile, nel passato come nel presente e magari anche nel futuro. Un tempo ricorderete la quantità di sponsorizzazioni e marchi, con aziende di mezzo mondo che ritenevano utile essere accostate all’attivista green. Oggi – oplà – al posto di quel tipo di marketing potrebbe essercene un altro. Né trasparente né verde, ma opaco e inquietante.
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