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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista Rassegna Stampa
04.06.2025 Israele è la culla degli Lgbt in fuga da Hamas. Ma al Pride si sfila al grido di «Free Palestine»
Commento di Alessandro Ricci

Testata: Il Riformista
Data: 04 giugno 2025
Pagina: 3
Autore: Alessandro Ricci
Titolo: «Israele è la culla degli Lgbt in fuga da Hamas. Ma al Pride si sfila al grido di «Free Palestine»»

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 04/06/2025, a pagina 3, il commento di Alessandro Ricci, dal titolo: "Israele è la culla degli Lgbt in fuga da Hamas. Ma al Pride si sfila al grido di «Free Palestine»".

Solita ipocrisia dei gay pride. Israele accoglie gli omosessuali in fuga dalla Palestina, che Hamas ucciderebbe senza pensarci due volte. Eppure nelle piazze occidentali i movimenti Lgbt manifestano al grido di Free Palestine!

Voglio abbandonare per un attimo il vortice geopolitico che accelera ogni giorno di più, per concentrarmi su un tema altrettanto divisivo, che rischia di trasformarsi in un paradosso sempre più inquietante.
Siamo a giugno: il mese del Pride.
Nato come momento di rivendicazione civile e inclusione, oggi rischia di diventare, in alcuni contesti, l’ennesima occasione per mettere sotto accusa l’unico Paese del Medio Oriente che garantisce pienamente i diritti alla comunità Lgbt+, trasformandosi in un tribunale ideologico.
Eppure, sempre più spesso, nei manifesti ufficiali dei vari Pride, Israele viene definito non solo – come purtroppo siamo ormai abituati a leggere – “Stato genocida”, ma anche razzista, equiparando il sionismo a una forma di discriminazione.
In diverse occasioni, anche sui social, ci hanno accusato di razzismo, ma quello dei social è un altro capitolo.
Una narrazione, questa, che purtroppo esisteva già prima del 7 ottobre, ma che oggi, alla luce degli eventi in corso, è semplicemente emersa con maggiore forza ed è tornata al centro del dibattito.
Vi ricordate quella foto del soldato israeliano che, nel mezzo delle atrocità della guerra, ha deciso di stendere la bandiera rainbow con scritto “In the name of love”?
Quell’immagine racchiude tutto il paradosso di cui parliamo.
Mentre i miliziani di Hamas giurano di sterminare gli omosessuali, c’è chi, nell’Esercito israeliano, pur in uniforme e in guerra, non rinuncia a difendere i valori di uguaglianza e di speranza.
Vorrei, per questo motivo, spendere poche parole ma chiare su questo tema.
Una certa sinistra, soprattutto in Italia, così attenta a rivendicare i diritti Lgbt+, sembra essersi dimenticata di un dettaglio tutt’altro che irrilevante: in Israele queste battaglie non sono solo slogan, ma diritti concreti.
Il mio obiettivo è invitare alla riflessione, rivolgendomi non a chi ormai usa l’odio per Israele come cavallo di battaglia per proprio tornaconto, sfruttando la situazione di estrema difficoltà di Israele, soprattutto a livello di immagine, (mi riferisco ai politici, in particolar modo) ma ai giovani: studenti e non studenti, attivisti, queer e non.
Perché Studenti per Israele rappresenta proprio questo: la nuova generazione, rivolgendosi a chi ancora non è stato corrotto dall’ideologia cieca e dall’odio.
Non mi stupisce più che l’irrazionalità emotiva di fronte a ciò che sta succedendo in questo terribile conflitto abbia contagiato persino chi sapeva che Israele, oltre a essere un baluardo di democrazia in Medio Oriente, è l’unico Paese in cui un omosessuale non rischia la lapidazione.
Per non parlare dei diritti per la parità di genere: in Israele le donne possono votare, guidare, denunciare una violenza e ricevere giustizia.
Ogni anno assistiamo allo stesso paradosso: cortei che, in nome dell’inclusione, marchiano come “razzista” l’unico Stato della regione che garantisce quei diritti che loro stessi rivendicano, trasformando il Pride in un tribunale ideologico.
Una certa sinistra sembra dimenticare che in Israele il matrimonio egualitario è riconosciuto dal 2006, che le adozioni per coppie omosessuali sono legali, che i diritti delle persone transgender sono tutelati, e che Tel Aviv ospita uno dei Pride più partecipati al mondo.
È di pochi mesi fa la sentenza di un tribunale di Tel Aviv che ha riconosciuto il diritto d’asilo a palestinesi omosessuali in fuga da territori dove rischiavano la vita.
Mentre Israele offre rifugio a chi fugge dalle persecuzioni, in Europa si discute se bandire la sua bandiera dai cortei del Pride.
E dal 2022, le coppie gay israeliane hanno accesso alla maternità surrogata, un diritto ancora negato in molti Paesi che oggi puntano il dito contro di loro.
E proprio qui emerge l’inversione più preoccupante: un movimento nato per combattere le discriminazioni finisce per discriminare proprio chi quei diritti li ha conquistati.
Con l’accusa di “pinkwashing”, si insinua che riconoscere i progressi di Israele significhi giustificare ogni scelta politica.
Dopo il 7 ottobre, l’antisemitismo ha assunto anche le vesti della militanza queer.
Proprio l’anno scorso David Keshet Italia, l’organizzazione ebraica Lgbt+ del nostro Paese, ha scelto di non partecipare ad alcuni Pride per timore di aggressioni.
A giugno KeshetUK, la più grande organizzazione ebraica Lgbt del Regno Unito, si è ritirata dal Pride di Londra perché i suoi membri non si sentono più al sicuro.
Spesso anche nella mia università, ma non solo in ambito accademico, vediamo giovani impegnati nella difesa dei diritti femminili riversare su Israele accuse infondate.
Mi sorge spontanea solo una domanda: dove sono le femministe quando Hamas stupra e riduce in schiavitù le donne?
Il potere del pregiudizio antisemita è riuscito a zittire perfino l’orgoglio Lgbt+.
Da studente universitario, che combatte sinceramente il patriarcato e crede nella libertà, mi rivolgo alle ragazze che, in nome della “Palestina libera”, si ergono a paladine dei diritti delle donne, eleggendo quei territori a simbolo di resistenza.
I palestinesi, come molte popolazioni oppresse, meritano libertà.
Ma spesso non è chiaro, neppure a loro, chi sia davvero il loro oppressore.

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