Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La difesa multi-strato di Israele Analisi di Luca Longo
Testata: Il Riformista Data: 03 giugno 2025 Pagina: 3 Autore: Luca Longo Titolo: «La difesa multistrato d’Israele, dai 60mila rifugi antimissili all’Iron Shield: lo scudo di Davide e la difesa del diritto ad esistere»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 03/06/2025, a pagina 3, l'analisi di Luca Longo, dal titolo: "La difesa multistrato d’Israele, dai 60mila rifugi antimissili all’Iron Shield: lo scudo di Davide e la difesa del diritto ad esistere"
Iron Dome è la più celebre difesa anti-missile di Israele, ma è solo una delle tante componenti di un sistema stratificato, integrato con un'ottima difesa civile. E questa è l'unica ragione per cui in Israele non ci sono stragi di civili tutti i giorni.
Il conflitto in Medio Oriente e la sicurezza di Israele sono temi centrali nell’attuale scenario geopolitico. Mentre nelle piazze e nei gabinetti di governo ci si concentra su come Israele sta contrattaccando, questo approfondimento – in tre parti – analizza come lo Stato ebraico si difende da minacce complesse e in costante evoluzione. Inizieremo esplorando la difesa multistrato israeliana, per poi analizzare i sofisticati sistemi antimissile che proteggono il Paese e, infine, affronteremo la risposta della comunità internazionale alle azioni di difesa.
L’esagramma che dal 1947 campeggia sulla bandiera dello Stato di Israele – e che gli ebrei erano obbligati a cucirsi sul petto durante la barbarie nazifascista – ha origini antichissime: lo ritroviamo anche nelle decorazioni della sinagoga Khirbet Shema, realizzata nel nord di Israele tra il primo e il terzo secolo della nostra Era. Questo simbolo è spesso impropriamente chiamato “Stella di David”. In realtà, il suo vero nome è Magen Dawid, che in ebraico significa “lo scudo di Davide”. Un esagramma che rappresenta la millenaria lotta per la sopravvivenza del popolo ebraico e la difesa del loro diritto ad esistere. Quando pensiamo alla difesa di Israele, ci vengono subito in mente le IDF, le Forze di Difesa Israeliane: l’esercito popolare in cui tutti i cittadini sono obbligati a servire per almeno 32 mesi (gli uomini) o 24 (le donne). Tuttavia, la prima linea di difesa di Israele è costituita dall’addestramento di tutta la popolazione, dai sistemi di intercettazione delle minacce in arrivo e dai sistemi di allarme, dagli oltre 60.000 rifugi antimissile presenti in ogni casa, in ogni posto pubblico e lungo le strade, per non parlare della rete di intelligence che ha il compito di individuare e prevenire le minacce terroristiche (la stessa che ha clamorosamente fallito il 7 ottobre, ma ne parleremo un’altra volta). Un cittadino di Israele sa che potrebbe essere attaccato in qualsiasi momento e sa altrettanto bene che, in quell’istante, potrà contare solo su sé stesso, sull’aiuto dei suoi compagni e sulle IDF. Non certo su parole di solidarietà internazionale.
In una regione dove le tensioni restano costantemente alte, Israele ha costruito per la propria sopravvivenza uno dei più sofisticati e articolati sistemi di difesa antimissilistica al mondo. Un’architettura multilivello progettata per contrastare minacce aeree provenienti da nemici che, come l’Iran, Hezbollah, Hamas, i ribelli Houthi dello Yemen e altre bande fanatiche, sono votati alla distruzione dello Stato di Israele a qualsiasi costo. Sebbene la pioggia di razzi provenienti da Gaza, Libano, Cisgiordania e Yemen non si sia mai veramente fermata, dal 7 ottobre 2023 ad oggi si sono verificati numerosi attacchi di ampia portata. Un punto di svolta nelle strategie di difesa aerea e nella cooperazione militare tra Israele, Stati Uniti e i partner regionali del Medio Oriente si è avuto il 13 aprile 2024, quando, in risposta a un attacco senza precedenti da parte dell’Iran, composto da oltre 300 vettori offensivi – tra droni, missili balistici e da crociera – si è attivata una complessa architettura di difesa multilivello, pazientemente costruita in decenni di esercitazioni congiunte e cooperazione tecnica. L’operazione difensiva israeliana è stata battezzata “Iron Shield”: ancora uno scudo, stavolta di ferro.
L’attacco iraniano si è inserito in un contesto già estremamente teso, con il conflitto israelo-palestinese in corso da oltre un anno, e con la crescente attività delle milizie iraniane nella regione. L’elemento scatenante immediato è stato un attacco israeliano di precisione chirurgica il primo aprile a Damasco, che ha visto la morte di sette alti ufficiali iraniani del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi: una figura chiave per il coordinamento delle operazioni proxy in Siria e Libano. L’Iran ha lanciato la rappresaglia nella notte tra il 13 e il 14 aprile, utilizzando una rete di lancio coordinata fra i territori iraniani, siriani, iracheni e yemeniti.
Le forze iraniane hanno impiegato tre ondate successive: la prima composta da circa 170-185 droni a lungo raggio Shahed-136 e Shahed-238, seguita da 30-35 missili da crociera e oltre 110-120 missili balistici, tra cui Shahab-3, Emad, Dezful e Kheibar. L’attacco del 13 aprile ha rappresentato il più grande stress test reale per un sistema di difesa missilistico multilivello e multinazionale. Ha validato anni di esercitazioni congiunte, come Juniper Oak, Juniper Falcon e Austere Challenge, che avevano coinvolto migliaia di truppe e centinaia di velivoli. L’integrazione militare di Israele in CENTCOM (2021) e i progressi diplomatici avviati con gli Accordi di Abramo (2020) hanno consentito un coordinamento regionale senza precedenti, anche con Paesi che non riconoscono formalmente Israele, come l’Arabia Saudita.
Nonostante la riuscita difensiva, i comandi militari israeliani e statunitensi hanno riconosciuto che rimangono margini di miglioramento, soprattutto nella condivisione in tempo reale delle informazioni d’intelligence. Tuttavia, l’operazione Iron Shield rappresenta un punto di riferimento operativo e strategico per la sicurezza collettiva nel Medio Oriente, dimostrando che un’architettura difensiva multilivello e interstatale è non solo possibile, ma necessaria. Nelle prossime due parti vedremo di quali elementi si compone questa difesa multistrato.
Mappa sintetica di tutte le difese anti-missile di Israele
Attualmente, Israele dispone di cinque principali sistemi missilistici operativi: Iron Dome, David’s Sling, Arrow 2, Arrow 3 e il sistema americano THAAD, quest’ultimo recentemente schierato dagli Stati Uniti per rafforzare ulteriormente la difesa israeliana. Ciascun sistema è calibrato per intercettare minacce aeree, creando una barriera che consente una risposta flessibile a una vasta gamma di vettori offensivi, dai razzi di corto raggio ai missili balistici intercontinentali. Secondo fonti militari, Israele avrebbe di nuovo impiegato tutte queste risorse il 1° ottobre 2024, quando ha dovuto respingere un nuovo massiccio attacco missilistico dall’Iran, composto da oltre 180 missili. Alcuni hanno comunque colpito il territorio israeliano, sebbene l’IDF abbia rivendicato l’intercettazione del 99% dei proiettili iraniani lanciati nell’offensiva del 13 aprile. Tuttavia, il sistema di difesa non è impenetrabile. Il 13 ottobre, un drone lanciato da Hezbollah ha colpito una base militare israeliana nel nord del Paese, uccidendo quattro soldati e ferendone decine.
Iron Dome: lo scudo più noto
Tra i sistemi impiegati, Iron Dome è il più conosciuto. Sviluppato da Rafael Advanced Defense Systems e Israel Aerospace Industries, con il sostegno degli Stati Uniti, è operativo dal 2011. Calibrato per contrastare razzi di corto raggio, granate di mortaio e proiettili d’artiglieria, funziona in un raggio compreso tra i 4 e i 70 chilometri. Ogni batteria Iron Dome è composta da tre o quattro lanciatori, con 20 missili intercettori ciascuno. Il sistema, dotato di radar, calcola quali tra i razzi in arrivo rappresentano una minaccia per aree popolate e li abbatte, lasciando che gli altri cadano in aree disabitate. Secondo l’IDF, il sistema ha un tasso di successo del 90%. Ogni missile Tamir, utilizzato per l’intercettazione, ha un costo stimato di circa 50.000 dollari. Iron Dome è stato ampiamente utilizzato durante i numerosi attacchi provenienti dalla Striscia di Gaza, in particolare dal 2023 in avanti.
David’s Sling: la fionda per minacce più distanti
David’s Sling (la “fionda di Davide”) è progettato per contrastare razzi a lungo raggio, missili da crociera e missili balistici a medio e lungo raggio fino a 300 km. Nato da una collaborazione tra Rafael e l’americana Raytheon, è entrato in servizio nel 2017. Il sistema utilizza il missile “Stunner”, dal costo stimato intorno al milione di dollari ciascuno. Come Iron Dome, seleziona solo le minacce dirette verso centri abitati. Entrambi i sistemi sono anche in grado di neutralizzare droni e aerei nemici.
Arrow 2, operativo dal 2000, è stato sviluppato dopo la Guerra del Golfo del 1991, quando l’Iraq lanciò decine di missili contro Israele. Il sistema è progettato per colpire missili balistici a corto e medio raggio, mentre transitano nella parte superiore dell’atmosfera. È in grado di individuare missili fino a 500 km di distanza e di colpirli entro un raggio massimo di 100 km. Ogni missile viaggia a una velocità nove volte superiore a quella del suono e il sistema può ingaggiare simultaneamente fino a 14 bersagli.Arrow 3, invece, è stato sviluppato per contrastare missili balistici a lungo raggio nella fase più alta della loro traiettoria, addirittura fuori dall’atmosfera terrestre. Il sistema ha una portata di circa 2.400 km ed è stato utilizzato per intercettare un missile lanciato dai ribelli Houthi verso la città costiera di Eilat nel 2023. Progettato da Israel Aerospace Industries, con il supporto dell’americana Boeing, Arrow 3 rappresenta il vertice più avanzato della difesa israeliana.
In risposta agli attacchi iraniani dell’autunno 2024, gli Stati Uniti hanno deciso di rafforzare le difese israeliane dispiegando un sistema THAAD (Terminal High-Altitude Area Defense). Questo sistema intercetta missili nella fase terminale del volo, sia all’interno sia all’esterno dell’atmosfera, con un raggio d’azione compreso tra i 150 e i 200 km. Ogni batteria è composta da sei lanciatori automontati, con otto missili ciascuno, un radar avanzato installato su un mezzo mobile e una centrale di tiro e comunicazione, anch’essa autocarrata. Per la mobilità e l’operatività di ciascun sistema, sono sufficienti un centinaio di militari addestrati. Il THAAD è operativo nelle forze armate statunitensi dal 2015, ed è stato venduto anche all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti.
La crescente intensità degli scontri in Medio Oriente, unita all’evoluzione delle minacce – dai droni ai missili balistici intercontinentali – ha reso indispensabile un approccio integrato alla difesa aerea. Israele, con il sostegno degli Stati Uniti, continua a investire nella protezione del proprio spazio aereo, affinando una rete di difesa estremamente efficace.
In un’epoca in cui la guerra si combatte sempre più nei cieli e nello spazio cibernetico, il caso israeliano offre spunti anche per altri Paesi, alle prese con nuove minacce asimmetriche e ad alta tecnologia. E nella prossima e ultima parte, vedremo proprio come reagisce la comunità internazionale.