Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La politica di Trump mette a rischio Israele Commento di Antonio Donno
Testata: Informazione Corretta Data: 12 maggio 2025 Pagina: 1 Autore: Antonio Donno Titolo: «La politica di Trump mette a rischio Israele»
La politica di Trump mette a rischio Israele Commento di Antonio Donno
Trump riapre al dialogo con l’Iran e firma un accordo con gli Houthi, ma Israele resta fuori. Gerusalemme teme un isolamento strategico, mentre l’assenza di una visita di Trump in Israele rafforza i timori. Trump non commetta gli stessi errori che sta facendo in Ucraina!
Trump si muove nell’area mediorientale con incontri, negoziati, accordi. L’accordo concluso con il gruppo terroristico degli Houthi, che controllano, situati nello Yemen, l’ingresso nel Mar Rosso, proteggerà le navi americane, ma non quelle di altre nazionalità. In questo modo, anche le imbarcazioni israeliane continueranno ad essere sottoposte agli attacchi degli Houthi, per quanto essi abbiano ricevuto una dura reazione da parte dell’aviazione americana, costringendoli a firmare l’accordo con Washington. Quindi lo Stretto di Bab-el-Mandeb resterà estremamente pericoloso per la navi di Gerusalemme. Ma l’accordo tra gli americani e gli Houthi sta ad indicare anche una svolta nella politica di Washington verso il Medio Oriente, una svolta che allarma Israele, perché tende ad isolarlo in un contesto sempre difficile per lo Stato ebraico.
Tutto è iniziato con il progetto trumpiano di riprendere i contatti politici con l’Iran e tornare a firmare con Teheran un trattato sul nucleare, che lo stesso Trump aveva precedentemente cancellato. Questa iniziativa ha allarmato il governo di Netanyahu, che in questo modo si ritroverebbe a confrontarsi con un nemico che lo scorso anno e nei primi mesi del 2025 aveva profondamente colpito nei suoi gangli tecnologici vitali. Israele era pronto, a questo punto, a scatenare un attacco decisivo nei confronti del regime degli ayatollah, cancellando definitivamente un regime che alimentava i gruppi terroristici che negli anni hanno assediato Israele nei suoi confini settentrionali e meridionali. Ora, la disponibilità del presidente americano a trattare con Teheran sul nucleare blocca, di fatto, il progetto israeliano di sconfiggere pesantemente il suo nemico iraniano e i suoi accoliti.
In sostanza, i colpi durissimi che Gerusalemme ha inflitto agli Hezbollah filo-iraniani ed a Hamas, pur restando un dato militare di grande importanza, rischiano di perdere una parte del loro significato politico nel caso in cui Trump dovesse concludere un accordo con Teheran sul nucleare, un accordo che avrebbe, per gli ayatollah, un peso politico importante. Esso, infatti, costringerebbe Israele a rinunciare al suo progetto anti-iraniano per non venire in contrasto con la politica che Trump sta mettendo in atto nel Medio Oriente, a partire, appunto, dagli accordi con Teheran, il nemico numero-uno di Gerusalemme. Insomma, ciò che il presidente americano intende concludere con gli ayatollah indebolisce gravemente i piani politici di Netanyahu, che vedono nella sconfitta pressoché definitiva dell’Iran un riassetto del Medio Oriente più favorevole alla sicurezza di Israele. Ma questo esito non è nei programmi di Trump.
Il prossimo viaggio di Trump in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti potrebbe riservare riflessi importanti sull’eventuale nuovo assetto della politica americana nel Medio Oriente. Questo viaggio non prevede una sosta in Israele per colloqui con Netanyahu, fatto di per sé significativo. I palestinesi, infatti, potrebbero considerare tutto questo come un processo di incrinamento dei rapporti Usa-Israele, in previsione – così si dice in alcuni settori della politica internazionale – del riconoscimento, da parte di Trump, di uno Stato di Palestina. La cosa non avrebbe alcun senso, perché in concreto non esiste alcuno Stato palestinese nella carta geografica del Medio Oriente. È molto probabile che si tratti di una boutade giornalistica, ma tutto è possibile nelle mente irresponsabile del presidente americano.
Israele è in attesa dei prossimi passi di Trump, un’attesa ricca di insidie. Se nel passato lo Stato ebraico aveva vissuto pesanti difficoltà a causa dei suoi acerrimi nemici arabi, ma aveva potuto contare sull’amicizia americana, oggi la realtà si è invertita. Dopo aver sostenuto e incoraggiato l’attacco israeliano alle postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza, ora Trump tende a rivedere le sue posizioni cercando di concretizzare un trattato con l’Iran, nei fatti – come si è detto – impedendo a Gerusalemme di saldare definitivamente i conti con Teheran. Quanto questo possa favorire in futuro un riequilibrio dell’assetto della regione a favore dell’Iran e, di conseguenza, dei gruppi terroristici sostenuti da Teheran è tutto da vedere. Oggi si può dire che la politica mediorientale di Trump può soltanto danneggiare Israele nella sua difesa contro i suoi nemici.