Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.
Con gli USA serve trattare Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 09 maggio 2025 Pagina: 1 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «La lezione di Londra: con gli Usa serve trattare»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 09/05/2025, a pag. 1, con il titolo "La lezione di Londra: con gli Usa serve trattare ", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Regno Unito e Usa siglano un accordo di libero scambio dopo la minaccia dei dazi americani. Segno che con Trump serve trattare, nonostante il primo impatto brutale non ci si deve fare intimidire. E magari si ottiene qualcosa di meglio.
Ieri è arrivato nuovo e abbondante materiale per la riflessione delle persone ragionevoli e – all’opposto – per la crisi isterica dei soliti noti. O, se vogliamo metterla in un altro modo, abbiamo avuto la plastica rappresentazione di cosa fare e di cosa non fare rispetto all’offensiva trumpiana sui dazi.
Era infatti scontato che, dopo una fiammeggiante pars destruens, e cioè la minaccia americana di imporre dazi elevati, sarebbe arrivata da Washington la pars construens, ovvero la disponibilità a realizzare accordi convenienti e di buon senso.
Da prima – dunque – erano possibili due diversi atteggiamenti da parte degli interlocutori del Presidente Usa. Per un verso (scelta saggia ad esempio caldeggiata dal governo italiano), si poteva manifestare disponibilità a trattare, e contestualmente cercare di togliere dal tavolo le barriere (tariffarie e non) elevate da anni contro i prodotti americani: un modo per mostrarsi aperti e anche per offrire a Trump una sorta di disarmo bilaterale. Per altro verso (scelta isterica), si poteva – come si è fatto in Ue – cominciare a far volteggiare nell’aria le parole “bazooka”, “vendetta” e “rappresaglia”. Esercizio tuttora in pieno corso, come vedremo tra poco.
I risultati dei due opposti approcci sono da ieri sotto gli occhi di tutti. La Gran Bretagna, dialogante e non aggressiva, ha siglato un buon accordo con gli Usa, il primo grande “deal” concluso dagli Stati Uniti in questa fase. Risultato? Borse su, aziende e consumatori rassicurati, ed effetti positivi per due governi – a Londra e a Washington – di segno politico opposto. Naturalmente restano zone d’ombra e perplessità, e alcuni aspetti dell’intesa appaiono ancora parziali (accordi più dettagliati verranno discussi nelle prossime settimane, ed è ad esempio immaginabile che gli allevatori inglesi non saranno contenti dell’azzeramento dei dazi sull’import in Uk di carne americana): ma è di sicuro un passo positivo e importante nella direzione del libero commercio.
Al contrario, l’Ue continua a sparare a palle incatenate in modo insensato. L’altro ieri (come Libero è stato l’unico a notare ieri mattina) il documento Macron-Merz conteneva una parte apertamente provocatoria verso gli Usa («garantire risposte decise ad azioni avverse che colpiscano l’Europa»), in palese contrasto con i toni ultraconcilianti del testo franco-tedesco verso Pechino. Quindi, una carezza ai cinesi e una gomitata in faccia agli americani: il che non sembra un buon modo di porsi rispetto a un tipo come Trump.
E ieri Bruxelles ha addirittura rincarato la dose, minacciando – in caso di mancato accordo – l’imposizione di tariffe aggiuntive sulle importazioni dagli Usa, mettendo nel mirino migliaia di beni di tutti i tipi (auto, aerei, moto, alcoolici, elettrodomestici, prodotti agricoli). Esattamente il contrario di una tattica negoziale conciliante nel metodo e liberale nel merito: in quest’ultimo caso, si sarebbero spazzati via i propri dazi e le proprie barriere, per indurre la controparte a fare altrettanto. E invece no: si minaccia di fare ancora peggio, innescando una specie di escalation. E, per rendere l’operazione ancora più surreale, nel mega-elenco diffuso dalla Commissione Ue dei prodotti che potrebbero essere oggetto di ritorsione sono stati inseriti pure gli smartphone: un dito nell’occhio degli Usa e un altro nell’occhio dei consumatori europei.
Ma il masochismo bruxellese è qualcosa di inimmaginabile: nell’elencone sono stati inseriti anche vino e whisky americani. Piccolo dettaglio: l’Ue importa alcool dagli Usa per appena 300 milioni di euro l’anno, mentre esportiamo lì beni dello stesso tipo per un valore di 5 miliardi l’anno (di cui circa 2 dall’Italia). Ha senso imbarcarsi in una guerra in cui chi ha così tanto da perdere siamo noi?
E questo ci porta inevitabilmente a un ulteriore confronto con la Gran Bretagna: il Regno Unito si trova in una posizione migliore non solo in virtù della storica “relazione speciale” con gli Usa, ma pure grazie a Brexit, che l’ha disancorata dalle follie Ue. Da questo punto di vista, pur senza uscire dalla gabbia bruxellese, anche noi in Italia dovremmo cercare di essere più flessibili: lavorare insieme all’Ue quando è possibile, negoziare da soli quando è necessario o più conveniente.
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